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Visioni dell’antico Egitto presso le rive del Tevere (1914)

“(A proposito del gran ballo egizio dato dalla Società Romana)”

Da La Donna, Anno X, N. 224, 20 aprile 1914.
Di Anton Giulio Bragaglia.

” ■ Notti voluttuarie, nella mollezza blanda delle luci colorate più esangui o barbariche, nel velame dei vapori e degli incensi, nel fulgore abbacinante delle luci vive. E tante signore, belle come tante Salomè, come tante Erodiadi, come le antiche Regine.

“La festa egizia a Roma: UN SUPPLICE (La contessa Piccolomini).”

■ La velata luminosità dei sogni più fantasticamente sfarzosi, aureolando la maravigliosa bellezza ieratica della baronessa Nata-Blanc, la dea creatrice della evocazione grandiosa e lussuosa, ha vestito di un’aura fatata i saloni incantati, ove cento principesse romane imperavano.
■ La trionfale pompa dei costumi orientali più fastosi, e il favoloso pregio dei gioielli donde erano cariche le signore convenute innanzi alla misteriosa imponenza muta della Sfinge colossale, tutta evocavano la suggestività delle visioni sacre dell’antico Egitto, che la baronessa Blanc ha voluto far risorgere in una notte d’incantesimo.
■ Le stoffe preziose, le armature più belle, tra le tende orientali pieganti in alto e cadenti, tra gli abbigliamenti fantastici dei personaggi del Sogno di Bit-Anati, creavano una macchia decorativa di tono armoniosissimo, pur essendo essa costituita dai colori più selvaggiamente ardenti. Ogni particolare tendeva a difendere i veli del bel sogno. Così gli schiavi Numidi, e quelli di Siria, vestiti di pelli ferine, ancor essi erano ritti presso ogni porta delle sale interne, nel palazzo egiziano, a rappresentare i loro eguali antichi.

“Una ancella. (Fot. Gustavo Bonaventura – Roma).”

■ E tutte le sale erano egizie. Velluti, rasi, veli constellati, piume, serpenti verdi, merletti, ricami d’oro, pompe di tutto un sogno imperiale e divino, ridevano su le pareti e sul corpo delle principesse, fuggivano verso gli angoli delle alte sale, avvolgevano la sommità dei simboli, si profondevano negli angoli misteriosi di buio, apparivano e scomparivano tra le gigantesche piante esotiche, si muovevano sotto gli architravi, invadevano i soffitti.
■ I personaggi, solenni e belli, incensavano i misteriosi iddii, si immolavano con religiosità profonda, nella magnificenza nobilissima dell’ambiente ove fumavano gli aromi bruciati nei tripodi altissimi.
■ I lampadari dalla soave luce diffusa, non facevano meno stupefacenti le fughe di paesaggi egiziani, avvolti nelle nebbie sorte dalla valle del sacro Nilo, mentre gli antichi iddii rigidi e dritti, incassati nelle alte muraglie del palazzo favoloso, miravano, pietrificati, lo splendore della evocazione.
■ Gli strani idoli solenni, carichi di gemme sacre, vestiti d’oro e di porpora, quasi proteggevano con i misteriosi gesti bizzarri ed ambigui le belle principesse inchine. E i presenti, già stupiti, miravano la fantasticità della visione meravigliosa.
■ Però in fondo alla sala, in alto, nella mistica atmosfera, il fascino della regina Bit-Anati, sfarzosamente vestita tutta d’oro e di perle, riposava in un superbo letto egizio tra le pelli di leone, mentre quattro piccoli neri, immobili, le stavano accovacciati ai piedi, e mentre la tutta verde dorata principessa del soglio stava ritta presso il trono imperiale, incidendosi nella nera vastità dello sfondo.

“La contessa Piccolomini. (Impressione di G. Bonaventura – Roma).”

■ La bellezza di donna Nata-Blanc aveva prestato il suo fascino alla regina Bit-Anati per l’incantesimo dei presenti, e donna Margherita Ruspoli-Blanc aveva voluto parimenti vestirsi d’oro verde, nel personaggio del sogno. Intanto gl’idoli solenni si muovevano nelle eccelse nicchie.
Iside, la splendente baronessa Montanaro — Amset, il conte Enea Silvio Piccolomini, scolpito nell’indaco — Neont, la velata marchesa Dusmet, ornata dagli ori più gialli — Nephthys, donna Stefania Paternò, meravigliosa, muovevano le sacre persone tra i cento altri iddii: Maat, Anulus, Thout, Nhator, che celavano molte signorine e signore e signori, come le signorine di Sangro e Pignatelli, Mrs. Stoiceno, il barone Hye, Ms. Harricon.
■ Le dee si muovono e la folla di gente d’Asia e d’Africa agita le mitre, le armature, gli sciamanni, le braccia ignude, innanzi al favoloso spettacolo.


■ La favola, genialmente pensata dalla baronessa Blanc, comincia a svolgersi nel scintillante e variopinto salone.
■ La regina Bit-Anati, adagiata sull’alto letto, si è abbandonata al sonno, ed il suo sogno comincia a sfolgorare mentre l’atmosfera della scena è ancora immersa nelle profondità cupamente azzurre che la sacerdotessa della dea Bastit — la contessa Piccolomini — tra il fumo dei tripodi, comincia a rischiarare con le luci degli altri tripodi incendiati.
■ I fuochi azzurri e purpurei di questi vestono allora la sacerdotessa, vagante intorno alla dormente Regina, e i vapori si elevano e i canti sommessi si spandono nella notte azzurra.
■ Tra le zampe colossali della sfinge, intanto, si desta la Memoria della Sfinge — la baronessa Maria Blanc — ed è tutta fremente, ancora, delle recenti visioni.
■ Albori pavonazzi e azzurrini e violacei, precedono le luminosità rosee dell’aurora imminente. La vibrante vita comincia a palpitare intorno, e quindi, fattosi il giorno vivo, echeggiando una solenne marcia trionfale, Ramsete II, il figlio del sole, Mai-Amon, quattrocentoventiquattresimo re d’Egitto, si avanza ed appare, superbo delle vittorie e del bottino mostruoso e dei prigionieri avvinti dalle pesanti catene.
■ Appresso al carro del vincitore s’avanza, prigione, la regina di Mount, circondata da venti guerrieri e trascinante catene d’oro.
■ Il vincitore — principe Rospigliosi — è così entrato con la prigioniera, marchesa della Gandara, circondata dal duca di Montragone, dal conte Middliton, dal marchese de Alcedo, dal barone A. Kanzler, dal conte Gisiti, dal marchese Buti Rossi, dal barone Skrhenskv, dal conte G., Chiassi, dal marchese Campanari, da don Mondo Chigi, dal sommo sacerdote conte Thaon de Revel.

“La baronessa Blanc, organizzatrice della festa, nella parte della Regina Bit-Anati. (Fot. Gustavo Bonaventura – Roma).”

■ Le musiche si profondono nelle vastità mistiche dei toni religiosi. La dea Bastit — donna Margot-Ruspoli, tanto bella nel suo costume azzurro — accenna con il miracoloso scettro, e allora, superba, magnifica, entra in una lettiga ornata da fregi d’oro Semiramide, vestita di nero e di oro, scortata dagli arcieri d’Assiria.
■ Da Babilonia la leggendaria imperatrice viene a inchinarsi ai piedi mostruosi della solenne Sfinge, affinché il popolo cosmopolita, spettatore, possa bearsi della bellezza di lady Rodd, ambasciatrice d’Inghilterra, nella veste della favolosa regina di Babilonia. Il comm. Adolfo Apolloni, alto e imponente, ornato di corazza e di arco, guida il corteo nel quale il prete assiro, barone Kanzler, il principe di Liechtenstein, il conte Zsepticki, il barone di Rothenan, il conte Negroni Morosini, il barone Ermanno Kanziler, fanno magnifica figura come personaggi meravigliosamente ridestati, dopo 1200 anni.
■ Però la geniale e squisita fantasia della baronessa Blanc non certo qui fa cessare le visioni suggestive.

“La baronessa De Renzis. (Impressione di R. Bettini – Roma).”

La Regina di Saba, d’Akum e dell’Homyar, tutta d’oro, entra seguita da nuovo corteggio: uno stuolo di principesse e uno di schiave impagabili. Con la bellezza di madame Terry, vengono così la duchessa di Castoria, donna Isabella Ruffo, la principessa di Cuttò, coronata di serpi, la marchesa Gourbon del Moute, la marchesa Spalletti, la contessa Szepiuschi e un Astrologo dal capo ornato di infule. La Regina di Saba s’inchina a Salomone — il principe di Lobkovitz, bianco-azzurro — e poi riparte, lasciando una tra le impressioni più belle.
■ Una sottile musica di arpe, preannunzia allora una bizzarrissima danza di piccoli neri. Poi l’elegantissimo e lento incesso di due snelle sacerdotesse di Tamit, vestite d’oro, recanti i turiboli fumanti — le signorine de Bildt e Walderen Rengers — precede Salambò, in costume bianco guarnito d’argento, che va a ringraziare, con le proprie sacerdotesse e i guerrieri, la immane Sfinge per la conquista del Sacro Velo.
■ La principessa di Castagneto, seguita da donna Rosalia Boncompagni, da donna Maria Sofia di Trabia, da donna Teresa Patrizi, da donna Ilda Orsini, giovani e piene di fascino, è entrata protetta dai guerrieri: don Andrea Boncompagni, marchese Dunnet, signor Barzeto, ecc.
■ Però Cleopatra, simboleggiata dalla principessa di Teano, che tutto poteva donare alla favolosa bellezza della domatrice di Cesare e nulla farle perdere, si avanza tra un tumultuoso popolo di guerrieri, di principesse, di ancelle, di coppieri, di sacerdotesse, di schiavi che portano cofani preziosi, uccelli rari, farfalle, palme, parasoli, e doni, doni, doni.
■ È circondata dalle più mirabili bellezze: la principessa Potenziani, la marchesa di Bugnano, la baronessa Aliotti, donna Giuseppina Giorgi Menotti, la signora Marconi, mrs. Parr, miss Lorillard Ronalds, la duchessa di Presenzano, donna Anna Camporeale, la contessina Bianconcini, donna Annarella Grazioli, e, tra gli uomini, il barone Campagna, don Giulio Torlonia, il principe di Solofra, che era un imponente etiope, il conte Palmieri, il principe d’Abro, Tyrwith, ecc.

“La Regina. (Impressione di G. Bonaventura – Roma).”

■ Passa Cleopatra ed entrano Erode ed Erodiade, dopo il nuovo cenno di donna Margot Ruspoli: la dea Bastit.
■ Don Guido Antici Mattei, dal costume sfarzoso, entra con madame Nelidow, conducendo Salomè innanzi alla muta Sfinge, per impetrare dalla onnipotente la grazia di perenne giovinezza alla bella adolescente. E Salomè è la signorina De Alcedo, che eseguisce innanzi alla dea una danza sacra, di assai squisita grazia, mentre una soave nenia egizia, modulata dalla gola di velluto di miss Clark, si spande dolcemente nell’aria muta e piena di fremiti.

“La duchessa di Castoria. (Impressione di R. Bettini – Roma).”

■ La Memoria della Sfinge si vela, si affoga nelle turchine profondità cupe dello sfondo e la visione muore.
■ Con le più accecanti luci, il valtzer della Vedova Allegra squarcia ad un trattol’atmosfera incantata.


■ Nei quadri plastici, quasi le medesime visioni sono state ripetute dagli stessi personaggi. La Regina di Saba è apparsa innanzi al trono di Salomone. Semiramide si è aggirata nei giardini pensili di Babilonia. Salomè ha danzato la sua danza e la principessa di Teano ha guidato questo spettacolo assai riuscito per la perfetta organizzazione.
■ Sarebbe temerario voler dire lo squisito buon gusto che ha inspirato le signore nel fasto dei loro costume; la ricchezza dei fiori e della decorazione; la finezza delle gioie, della musica e dei profumi, e la genialità delle idee che hanno composta così magnifica festa.

“Gruppo generale dei favolosi personaggi che hanno partecipato al Gran Ballo di beneficenza organizzato dalla Baronessa Blanc al Grand Hôtel di Roma.
(Gutavo Bonaventura, Roma)”

■ La baronessa Blanc non meglio poteva far trionfare la propria bellezza e la propria squisita fantasia, se non sognando questo bel sogno di Regina e adunando così eletta e sfarzosa folla di amici.”

L’automa giuocatore di scacchi (1883)

Da La Scienza per Tutti, Anno III, N. 7, 17 febbraio 1883.

” ■ Il barone di Kempelen, gentiluomo ungherese ed appassionato cultore di meccanica, dopo aver assistito ad una seduta di magnetismo data dal francese Pelletier alla corte di Vienna, asserì che si credeva capace di fabbricare una macchina molto più maravigliosa di quelle che gli avean fatte vedere. L’imperatrice lo prese in parola, e gli espresse il desiderio di vederlo mettersi subito all’opera. Quel desiderio era un comando, perciò il barone si ritirò nelle sue terre, a Presburgo, e, sei mesi dopo, presentò un automa che giuocava una partita agli scacchi col primo venuto e la guadagnava quasi sempre.
■ L’automa di grandezza naturale, vestito alla turca, era — seduto sopra una sedia collocata dietro ad un banco di legno, sul quale veniva collocato lo scacchiere. Prendeva i pezzi colla mano per giuocare, girava la testa a dritta ed a sinistra per meglio vederli, abbassava tre volte la testa quando dava scacco al re, due quando lo dava alla regina e finalmente levava il pezzo mal collocato deponendolo fuori dello scacchiere e giocava il suo. Ad ogni movimento del Turco si udiva il rumore prodotto dal muoversi interno degli ingranaggi, e ad ogni dieci o dodici mosse sì vedeva l’espositore, che si trovava presso l’automa, caricare il meccanismo e qualche volta rimettere a posto alcune ruote.

“L’automa giuocatore di scacchi di Robert Houdin – (Da una fotografia).”

■ Alcune porte aperte nel banco e nel corpo della figura mostravano che internamente non esistevano che meccanismi, ed una calamita, ad arte collocata in evidenza sui tavolo, faceva supporre che il magnetismo, allora in gran voga e tutto pieno di misteri, avesse la parte preponderante.
■ Fra le molte ipotesi formulate in proposito e discusse in due libri pubblicati l’uno nel 1785, l’altro nel 1789, due sembrarono le più verosimili: l’ una, che il corpo del Turco nascondesse un nano straordinariamente piccolo, l’altra, che il direttore agisse sull’automa mediante influenze magnetiche.
■ Queste due spiegazioni non chiarivano bastantemente il fatto, e le opinioni rimasero dubbiose e confuse sino a qualche anno fa, quando la pubblicazione di un libro anonimo portò la luce e svelò completamente l’arcano.
■ Daremo prima la descrizione esatta dell’apparecchio e della successione delle operazioni eseguite dall’espositore, quindi la spiegazione del giuoco.
■ Il banco od armadio, di tre piedi e mezzo di lunghezza, due di larghezza e due di altezza, era munito di porte e di cassetti di cui vedremo poi l’uso. La parte anteriore della seggiola era fissa al banco, e la posteriore poggiava al suolo con due piedi muniti di rotelle come i quattro del banco. La mano diritta del fantoccio poteva moversi sulla piattaforma superiore dell’armadio formante tavolo, e al principio dell’operazione brandiva una pipa, che poi veniva levata e collocata sopra un cuscino posto sulla tavola in una posizione determinata. Lo scacchiere situato dinanzi al giocatore aveva 18 pollici quadrati.

“Automa giuocatore di scacchi. – Disegni esplicativi della macchina.”

■ Passiamo alle manovre dell’espositore.
■ Questo grave personaggio munito d’una lampada, comincia col far esaminare agli spettatori l’interno dell’apparecchio. Egli apre la porta A (fig. 1) e la porta B (fig. 2) situate l’una rimpetto all’altra, introduce la lampada nell’interno dalla parte B in modo che gli spettatori, collocati dall’altra, possono vedere brillare la luce attraverso una serie di congegni e meccanismi che occupano tutta la larghezza dell’armadio. Chiude poscia a chiave la porta B, ritorna dinanzi alla macchina, apre il cassetto G (fig. 1) dal quale estrae una scatola contenente i pezzi del giuoco e il cuscino che fa scorrere sotto il braccio sinistro dell’automa; così il cassetto sembra fatto espressamente per contenere quegli oggetti. Infine apre le due porte C C che veggonsi nella parte anteriore dell’armadio, ed allora sì scorge un grande spazio vuoto colle pareti laterali coperte da una tenda scura e contenente due piccole cassette disuguali L e M varie cinghie e puleggie, destinate in apparenza a mettere in moto i meccanismi chiusi nelle cassette. Passa di poi nuovamente al di dietro, apre la porta D (fig. 2), introduce nell’interno la lampada per far vedere che non vi ha un doppio fondo e la chiude poscia immediatamente; poi ripete l’operazione colla medesima chiave sulle porte A e C. Fa quindi girare tutto l’apparecchio sulle rotelle sottoposte alle gambe per mostrare al pubblico la parte posteriore, rappresentata nella figura 2. Poscia solleva le vesti del Turco, ed apre le porte E ed F’ praticate nel dorso e nella coscia della figura, affinché il pubblico si convinca che là dentro non c’è nascosto nessuno. Queste due porte rimangono sempre aperte.
■ Dopo ciò rimette il Turco nella sua posizione primitiva, cioè colla faccia rivolta agli spettatori, porta via il cuscino e la pipa, e la partita può cominciare.
■ Spiegheremo ora, colla maggior possibile chiarezza, come la partita venga giuocata da un uomo nascosto nell’armadio il quale riesce a celarsi mediante una serie di spostamenti successivi, combinati coll’aprirsi delle diverse porte dell’apparecchio.
■ Il cassetto G, quando è chiuso, non giunge sino alla parete posteriore dell’armadio, laonde rimane uno spazio vuoto O, che non è mai mostrato agli spettatori, e che misura 14 pollici in larghezza, 8 in altezza e 2 piedi e 11 pollici in lunghezza (fig. 9, 10 e 11).
■ Il piccolo armadio che va da A in B è diviso in due da una cortina oscura S (fig. 8) che si alza quando sì apre la porta B e si abbassa quando vien chiusa. La parte anteriore dell’armadio è occupata dagli ingranaggi che figurano di far muovere l’automa, e la parte posteriore è vuota ed è separata dal grande armadio, rinchiuso dalle porte C, da un sipario R che pende liberamente, attaccato soltanto pel lembo superiore.
■ Il grande armadio C C ha una parte Q del fondo (quella che è collocata davanti al Turco), mobile intorno ad un asse orizzontale e caricata verso l’interno di un peso sufficiente per farla riprendere da sé stessa la posizione verticale. Nell’armadio la cassa L è mobile e serve a nascondere un foro aperto nella parete posteriore dell’armadio stesso, mentre la cassa M è fissa, ma senza tondo e copre un altro foro che si apre sopra lo spazio O. L’interno dell’automa è disposto come lo indicano le figure 8, 10 e 11. Finalmente la parete laterale del banco, situata alla destra del Turco, scorre entro scanalature orizzontali convenientemente nascoste, in guisa da permettere l’ingresso da questa parte nella camera R.
■ Si comprende che, se un uomo di piccola statura s’introduce da questo lato nel banco, potrà mettere le sue gambe nello spazio vuoto nascosto dietro al cassetto, e collocare il resto del corpo nell’armadio K, come lo mostra la figura 5. Spingendo poi il sipario che gli sta dinanzi e spostando la cassetta mobile L, può prendere la posizione indicata nelle figure 3 e 4. Egli colloca le estremità dei suoi piedi nella cassa M, ed è in questa posizione che attende che incominci la rappresentazione.
■ Come abbiamo veduto, la prima operazione dell’espositore consiste nell’aprire la porta A; il pubblico non vede che il meccanismo e dietro di esso la tenda oscura S, della quale non può apprezzare la distanza. Passa in seguito ad aprire la porta B, e contemporaneamente si alza la tenda S, laonde, quando introduce la lampada fra i varii congegni del meccanismo, il pubblico è convinto che là non vi può essere nascosto nessuno.
■ Chiude allora questa porta B a chiave, poi, ritornato dinanzi, apre il cassetto G ed eseguisce diverse operazioni per lasciar tempo al compare di prendere la posizione indicata nella figura 5. Essendo la cassetta L ritornata al suo posto e ricaduto il sipario R, quando si aprono le porte C il pubblico non vede che un armadio vuoto, e sebbene sia rimasta aperta la porta A, non può vedere il corpo del compare, poiché al chiudersi della porta D la tenda S è ritornata al suo posto. E allora che l’espositore, introducendo la lampada per la porta D, fa vedere che il grande armadio non ha un doppio fondo.
■ Le porte C vengono nuovamente chiuse colla stessa chiave, e ciò per far credere che le diverse chiusure sieno rese indispensabili dalla necessità di ritirare la chiave. Finalmente si fa vedere che il corpo del Turco è vuoto aprendo le due porte E ed F.
■ Dopo tutte queste operazioni l’espositore carica lentamente la macchina con grande fracasso d’ingranaggi, e frattanto il compare solleva il fondo mobile Q, ritira le gambe che teneva dietro al cassetto, introduce la parte superiore del corpo in una parte del fantoccio atta a dare alle sue reni un appoggio comodo e si siede sulla cassa L come lo si vede nelle figure 6 e 7. La partita può allora incominciare, ed il vero giuocatore segue il suo giuoco attraverso la stoffa trasparente, che costituisce la veste del Turco davanti ai suoi occhi. Perchè il compare possa facilmente introdurre il suo braccio destro in quello dell’automa, bisogna dare a quest’ultimo una posizione speciale che si giustifica coll’aggiunta della pipa nella mano e del cuscino sotto il gomito, oggetti che si levano al cominciare della partita.
■ Una semplice cordicina permette di far muovere una delle dita del fantoccio in guisa che possa prendere o lasciare i pezzi del giuoco. Il braccio sinistro del compare, che è rimasto nella macchina, è impiegato a far muovere la testa ed a produrre lo strepito dei meccanismi ad ogni movimento.
■ In realtà, nell’automa di Kempelen, era il braccio sinistro che faceva muovere i pezzi, ma ciò avveniva semplicemente perché il giuocatore nascosto era mancino. A questo proposito fu immaginato un romanzo molto commovente, nel quale si raccontava che l’uomo rinchiuso era un ufficiale polacco, che si era compromesso in una rivolta contro la grande Caterina, e che aveva perduto le gambe combattendo. Raccolto da Kempelen, questi l’aveva così bene nascosto dalle ricerche della polizia russa che l’infelice proscritto poté portarsi alla reggia e vincere al giuoco la sua sovrana.
■ Le figure che accompagnano il presente articolo sono una riproduzione fedele di quelle che si trovavano inserite nell’opera anonima che abbiamo menzionato.
■ Il prestigiatore Roberto Houdin portò alcune modificazioni all’apparecchio testé descritto, ed ora diremo in che cosa consistono.
■ Nell’automa di Kempelen, il cassetto inferiore non occupa che una parte della profondità del banco; mentre nell’automa francese (vedi figura) quando il cassetto è aperto sembra avere tutta la profondità del mobile. Però, quando lo si spinge per chiuderlo, la parete verticale del fondo è trattenuta: da un fermaglio, e mentre essa sta immobile, il piano orizzontale del cassetto e le pareti laterali continuano ad internarsi. L’illusione è completata dallo scacchiere che entra con tutti i suoi pezzi in piedi nella cassetta A, che non ha parete posteriore, e dalla cassetta D che s’interna nella C spingendo la parete verticale di essa, mobile intorno al suo spigolo orizzontale superiore. Di più il grande scompartimento, sulla sinistra dell’automa, presenta un tamburo mobile, dipinto in nero non lucido come il fondo, che può essere spinto in modo da contenere la parte superiore del corpo del giuocatore vivente quando si protende innanzi. Questa operazione vien fatta nel tempo brevissimo in cui la grande porta resta chiusa, poiché dopo viene immediatamente aperta, ciò che non ha luogo nell’automa Kempelen.
■ Houdin introdusse nella macchina molti altri perfezionamenti destinati, come si direbbe, a gettar la polvere negli occhi del pubblico, perciò moltiplicò le ruote, le leve ed i congegni di ogni sorta, e sopratutto studiò di rendere veritiero il movimento della mano che giuoca, mediante una serie di sottili balene che entrano nelle dita del guanto e si prolungano nella macchina.”

La donna pesce (1883)

Da La Scienza per Tutti, Anno III, N. 5, 3 febbraio 1883.

” ■ Miss Surlina, la Regina delle acque — così diceva il colossale avviso applicato sul baraccone — è uno dei singolari esempi di persone che possono restare sott’acqua per un lasso di tempo relativamente lungo senza pericolo d’asfissia.

■ Ordinariamente lo acquario in cui si mostra il fenomeno ha 5 metri di lunghezza sulla facciata più grande e 2 metri d’altezza, è formato da lastre di vetro e pieno d’acqua leggermente colorata in verde. Cinque o sei lampade ossidriche munite di riflettori l’illuminano fortemente per trasparenza.
■ La donna-pesce si immerge, nuota e mangia sott’acqua, passa attraverso le gambe di una seggiola ed eseguisce altri consimili esercizj.
■ Ad un dato istante, cessa la musica, la giovinetta fa alcune poderose inspirazioni, poi si lascia cadere sul fondo dell’acquario ove si inginocchia colle braccia in croce. Il suo espositore osserva un orologio e conta i cinque mezzi minuti che deve durare l’immersione battendo sui vetri con un martello. In mezzo al generale silenzio, interrotto soltanto dai colpi del martello, i minuti sembrano eterni, gli spettatori provano una specie d’ angoscia, e molti di essi sentono un vero sollievo allorché la donna risale alla superficie dell’acqua (vedi figura).
■ Per ben capire cosa sieno due minuti e mezzo trascorsi senza respirare, ognuno può farne l’esperimento sopra sé stesso, e trattenere la respirazione il maggior tempo possibile mentre osserva un orologio a secondi. Ben pochi saranno quelli che resisteranno un minuto, anzi per la massima parte dovranno respirare prima che sieno trascorsi quarantacinque secondi, e solo per eccezione e con estrema difficoltà qualcuno toccherà il minuto e un quarto.
■ I pescatori di spugne, di madreperla, di ostriche perlifere del Mediterraneo, del mare delle Indie e del golto del Messico, ordinariamente rimangono sott’acqua più dì due minuti. Esempi di immersioni volontarie più lunghe di tre minuti non furono mai autenticati coll’orologio alla mano, e la durata media di quelle che questi uomini impiegano pei loro lavori è di un minuto a un minuto e mezzo. Il mestiere del palombaro, anche in tali condizioni è penosissimo. Uscendo dall’acqua essi ordinariamente rimangono per qualche tempo immobili colla faccia congestionata, cogli occhi injettati, e di sovente si vedon recere sangue proveniente dalla rottura di qualche vaso sanguigno dei polmoni. Questi operai non campano molto, alle volte muojono colpiti d’apoplessia all’uscire dall’acqua, e non di rado perdono la vista per conseguenza della congestione dei vasi dell’occhio.
■ I palombari d’ acquario, uomini e donne che si mostrano al pubblico, corrono molti rischi di meno; prima di tutto non sopportano nessuna pressione risultante dallo spessore dello strato d’acqua sotto il quale si trovano, in secondo luogo rimangono immobili, mentre i palombari pescatori, appena immersi, devono occuparsi in un lavoro attivissimo che evidentemente contribuisce ad esaurire la quantità di ossigeno che tengono nei polmoni.
■ Gli esercizj eseguiti da questi pretesi fenomeni viventi sono presso a poco sempre gli stessi; nuotare, immergersi, sdrajarsi sul fondo dell’acquario, mangiare e rimanere sott’acqua il massimo possibile. L’uomo-pesce ne aggiungeva un altro sinsolarissimo. Egli fumava sott’acqua, ima senza emettere il fumo, poi si sdrajava sul fondo dell’acquario e soltanto allora usciva dalla sua bocca una colonna di bolle grigie che salivano alla superficie del liquido. La quantità di fumo emessa in tal guisa sembrava enorme. Se durante l’immersione di una persona non si guarda direttamente un orologio, difficilmente si può rendersi conto della durata della immersione, la quale sembra assai più lunga di quanto è realmente. Forse l’origine delle storie dei palombari prodigi è tutta riposta in questo fatto. Si narra, per esempio, che qualche tempo dopo la battaglia di Navarino (1827) nella quale colarono a fondo tanti legni, si fecero venire dei palombari jonii e siciliani per ricuperare gli oggetti preziosi giacenti in fondo al mare. Questi palombari, dice la leggenda, rimanevano sott’acqua da cinque a dicci minuti, e ce n’era uno che vi restava un quarto d’ora.
■ Evidentemente in questa istoria c’è molta esagerazione.
■ Ma d’onde proviene la facoltà che possiedono certe persone di poter rimanere senza respirare più a lungo delle altre? Gli antichi fisiologi l’attribuivano alla chiusura imperfetta del foro di Botal. Essi ragionavano così: “Se un palombaro può vivere un certo tempo senza il soccorso dei polmoni, ciò significa che il di lui cuore deve essere come quello del bambino prima della nascita, non deve aver chiuso il foro di Botal.” Il primo palombaro sottoposto all’autopsia dimostrò la falsità del ragionamento.
■ Si pretese parimenti che i palombari non si nutrissero che di vegetabili, alimentazione che dà un sangue meno ricco di globuli e per conseguenza meno avido di ossigeno. Finalmente sì è supposto che i giocolieri che si mostrano in pubblico prendessero la morfina coll’intento di rallentare la loro circolazione o la digitale per rallentare le palpitazioni del cuore.
■ Codesti espedienti non possono esser messi in pratica senza pericolo; piuttosto sembra probabile che la facoltà di sospendere per qualche tempo la respirazione debbasi ascrivere ad un grande sviluppo polmonare, a polmoni di grande volume e perfettamente sani.
■ La professione di palombaro sotto questo riguardo si avvicina a quella di corridore, di ginnasta ed anche a quella di cantante. Infatti alla massima parte di noi riuscirebbe impossibile così di correre per parecchi chilometri come fanno i corridori di professione, o di cantare a voce spiegata per parecchie ore di seguito come i cantanti nelle opere in musica, quanto di rimanere come miss Surlina ed i suoi confratelli per due minuti o due minuti e mezzo sott’acqua, e ciò per la medesima causa: l’insufficienza dello sviluppo dei nostri polmoni.”