Da Science and Inventions, Vol. XIII, N. 3, luglio 1925. Di Hugo Gernsback, membro dell’American Physical Society.
” ■ Forse la cosa più difficile che un essere umano è chiamato ad affrontare è il pensiero lungo e concentrato. Sia che si tratti di un avvocato, che cerca di formulare o memorizzare l’arringa di un caso particolare, sia che si tratti di un inventore con un complesso problema da risolvere, sia che si tratti di un commediografo che cerca di imbastire un intreccio intricato, diventa necessaria un’intensa concentrazione sull’argomento.
“L’autore al lavoro nel suo studio privato, aiutato dall’Isolatore. Eliminando i rumori esterni, il lavoratore può concentrarsi con facilità sull’argomento da trattare.”
■ La maggior parte delle persone che desiderano concentrarsi trova necessario rinchiudersi in una stanza quasi insonorizzata per proseguire il proprio lavoro, ma anche in questo caso ci sono molte cose che distraggono l’attenzione. ■ Supponiamo che siate seduti nel vostro studio o nella vostra stanza di lavoro, pronti ad accingervi al vostro compito. Anche se la finestra è chiusa, i rumori della strada filtrano e distraggono la vostra attenzione. Qualcuno sbatte la porta di casa e subito la vostra tendenza a pensare viene disturbata. ■ Da qualche parte suona il campanello della porta o squilla il telefono, il che è sufficiente, in quasi tutti i casi, a interrompere il flusso dei pensieri.
■ Ma anche se regna una quiete suprema, siete voi stessi a disturbare praticamente il cinquanta per cento del tempo. Ci si appoggia alla sedia e si inizia a studiare il disegno della carta da parati, o si vede una mosca muoversi lungo il muro, o una tenda della finestra dondolare avanti e indietro: tutto ciò è spesso sufficiente a distogliere la mente dal compito immediato da svolgere. ■ Chi vi scrive ribadisce che la più grande difficoltà che la mente umana deve affrontare è la mancanza di concentrazione, dovuta principalmente a influenze esterne.
“Dettagli del casco Isolatore. La visione avviene attraverso come mostrato.”
■ Se in un sol colpo riuscissimo a eliminare queste influenze, non solo ne trarremmo un grande beneficio, ma il nostro lavoro sarebbe portato a termine più rapidamente e i risultati sarebbero nettamente migliori. ■ Chi scrive, dovendo svolgere quasi quotidianamente, nell’ambito delle sue mansioni editoriali, molti compiti che richiedono una notevole concentrazione, ha scoperto che è quasi impossibile mantenere la mente su un argomento per cinque minuti senza essere disturbati. Per questo motivo, ha costruito il casco mostrato nelle illustrazioni a corredo, il cui scopo è quello di eliminare tutte le possibili interferenze che attanagliano la mente.
“Il vetro esterno dell’elmetto Isolatore viene annerito come mostrato a sinistra e poi dotato di una fessura.”
■ Il problema era innanzitutto quello di eliminare il rumore esterno. Il primo casco costruito come da illustrazione era in legno, rivestito di sughero all’interno e all’esterno e infine ricoperto di feltro. Per gli occhi sono stati inseriti tre pezzi di vetro. Davanti alla bocca c’è un diaframma, che permette la respirazione ma tiene fuori il suono. La prima costruzione ebbe un discreto successo e, pur non escludendo tutti i rumori, raggiunse un’efficienza di circa il 75%. Il motivo era che veniva utilizzato legno massiccio. ■ In un casco successivo, in fase di costruzione, è stata inserita un’intercapedine d’aria, come nella nostra illustrazione, senza l’impiego di legno nella costruzione. Questa caratteristica dovrebbe garantire un’efficienza compresa tra il 90% e il 95%, escludendo praticamente tutti i suoni.
“Una vista in sezione dell’ufficio o dello studio ideale dove si svolge un lavoro che richiede concentrazione. Sono previsti tutti i dispositivi per il comfort degli occupanti. Nell’ufficio ideale, tutti i suoni che potrebbero infastidire gli occupanti sono eliminati da porte, pareti e finestre appositamente costruite.”
■ Si noti che i vetri direttamente davanti agli occhi sono neri. La costruzione prevedeva l’uso di normali vetri per finestre, mentre il vetro esterno era interamente dipinto di nero. Due piccole linee bianche sono state tracciate nella pittura, come mostrato. L’idea è la seguente: Lo scrittore pensava che escludere i rumori non fosse sufficiente. L’occhio continuerebbe a vagare, distraendo così l’attenzione. Se le due linee bianche sono state tracciate sul vetro, il campo attraverso il quale l’occhio può muoversi è relativamente ridotto. Nell’illustrazione n. 1, si può notare che è quasi impossibile vedere altro che un foglio di carta davanti a chi indossa il casco. Non c’è quindi alcuna distrazione ottica. ■ È stato inoltre riscontrato che se solo il casco viene utilizzato per più di quindici minuti alla volta, chi lo indossa diventa più o meno sonnolento. Questo non favorisce la riflessione e per questo motivo chi vi scrive ha introdotto una piccola bombola di ossigeno, collegata al casco. Questo migliora la respirazione e ravviva notevolmente il soggetto. ■ Con questa disposizione si scopre che un compito importante può essere portato a termine in breve tempo e la costruzione dell’isolatore si rivelerà un ottimo investimento.”
Da La Donna, Anno X, N. 222, 20 marzo 1914. Di Anton Giulio Bragagli.
” «Après avoir dancé avec elle, j’étais si exténué, que je sentais mon âme près de s’éloigner de mon corps».
■ Qualche irriverente potrebbe canzonare, però, la sensibilità di Alfredo De Musset, con la maligna imagine di una elle tanto florida da somigliare a un elefante! Ma non ricordiamo ai ballerini sfortunati le dame soverchiamente ricche… di doni naturali. O meglio — poiché dimenticavo di scrivere per Donna — non facciamo ripensare alle signorine lettrici, i mastodontici cavalieri dal faccione rubicondo e tondo, così… ammirato nelle poco agili danze. Del resto pensino le signorine, che negli «altri tempi» i faccioni lunari, sorridenti nella cornice della parrucca bianca, e le opulenze delle floride persone vestite dai calzoncini corti e stretti, erano certamente più evidenti e ancor meno seducenti di quelle d’oggi, nascoste un poco dai moderni fraks. ■ Hanno mai imaginato le signorine, quei cavalieri dalla floridissima anca, civetteggianti negli inchini? Ma, parlando sul serio, come avranno fatto allora le persone grasse — curiose in quel modo — a compiere con la grazia tanto predicata dai maestri, tutti gli inchini di prammatica? Poiché, consideriamo un po’ questo… problema, gli inchini erano, come ognuno sa, numerosissimi e di frequentissimo uso.
“«Festa da ballo a Venezia» (Watteau inciso da L. Cars).”
■ Allora i maestri di ballo o di riverenze, o di altre simili arti eleganti e galanti, inventavano proprio loro un’infinità di balletti e di inchini, dedicati alla vertiginosa bellezza di molte dame, e li pubblicavano spesso in magnifici libri, illustrati da grandi tavole, ove spiegavano le squisitezze necessarie ai singoli gesti, tutto ad uso degli allievi e tutto a vantaggio aurifero di loro stessi: i bene pettinati creatori genialissimi. ■ Il Colpani, che cantò in versi sciolti La Toletta, in un punto
Loda che intanto un elegante italo Marcello il pie’ le addestri onde poi liete, ne’ bei giorni suoi, al grave minuetto, alla fugace volubil danza .. del par sia pronta e sulla tarda notte il cadente spettacolo rinforzi.
■ Questo Marcello, che morì a Parigi nel 1759 dopo una gloriosissima carriera, non solo godette una fama sonora, ma questa per lui fu reputata niente affatto scroccata, perché tutti lo venerarono come il re dei minuettisti. Nel 1740 — l’epoca principalmente rappresentata dalle nostre stampe — egli, con… squisita raffinatezza di pensiero e di fini, rivolse tutte le sue cure alle riverenze: la parte più delicata della sua arte. E ne insegnava nientemeno che… 236, che volevano esprimere ognuna la condizione e il pensiero del riverente.
“«Mentre si danza» (Moreau le Jeune).”
■ Grazioso il pensiero, no? Era come il linguaggio dei fiori: quell’altra geniale trovata di vent’anni fa. ■ I balli nel 1700 erano innumerevoli, si può dire. Ogni maestro ne macchinava cento o duecento. ■ Però, non ostante che i ballerini fossero alquanto immodesti nelle loro ambizioni inventive, pure il minuetto solo imperava con i pretesi requisiti deliziosissimi: occhi languidi, bocca sorridente, vita fastosa, mani innocenti e piedi ambiziosi. L’occhio languido — necessità prima — significava infatti l’umiltà indispensabile al buon minuetto: il disinteressamento dei due che, con occhi non languidi, avrebbero potuto intendersi, invece, in segrete cose, o pure avrebbero potuto mostrare una certa inelegante confusione per il ballo stesso preoccupante.
“«La danza dei cani in disordine». – Vernet.”
“«Le coiffeur.». – Il capolavoro destinato ai trionfi della danza.”
■ La bocca ridente, a sua volta, doveva bene atteggiarsi con grazia, affinché fosse deferente o cortese, là dove stretta o ammusata o amara, avrebbe annoiato l’altro. E così la vita fastosa era bella all’aggraziata pompa di cui il minuetto traeva il più vivo carattere; mentre a lor volta, le mani innocenti, mostravano la semplicità del fine del ballo, naturale così, e fresco e spontaneo, anche nella raffinatezza gentile della sua arte. ■ I piedi dovevano essere ambiziosi, invece! Curioso eh? Ambiziosi nella mostra di se stessi, così graziosamente calzati e così sottili e piccini nel volger le punte a lato, o in basso o in avanti, facendo tutte godere le proprie grazie del collo. Così il minuetto, per la dama, era uno studio squisito di movenze leggiadre e fini, di sorrisi dolci e lusinghieri, di sguardi appassionati con… correttezza, e di fugaci ineffabili rossori dei pallidi visini incipriati…
“«Dopo il ballo». – Moreau le Jeune (La vita di una dama de qualitè).”
■ I quadri principali del minuetto erano tre. Dapprima la dama e il cavaliere si ponevano di fianco tenendo però i visi rivolti l’uno verso l’altro, così da guardarsi negli occhi. E la dama portava le mani ai fianchi, tenendo sollevata un poco la veste con tre dita sole: pollice, indice e medio, mentre il cavaliere col cappello tolto di capo, teneva il braccio teso giù. Poi veniva la riverenza. Il cavaliere alzava il braccio destro e la dama il sinistro, fino all’altezza della spalla: quindi il primo porgeva alla dama la mano destra, con la palma aperta in alto, e lei su quella posava dolcemente la propria. Allora la dama e il cavaliere si riverivano, piegando nell’inchino la vita ed un ginocchio, e volgendo contro il suolo la punta di un piede fisso, mentre l’altro strisciava indietro, contemporaneamente all’inchino. Fatta così una prima e una seconda riverenza, la coppia si trovava di faccia e allora il cavaliere moveva un passo di fianco verso destra, essendo imitato subito dalla dama. Quindi, tornata questa alla destra del cavaliere, i ballerini facevano due passi in avanti, tenendosi per mano, e subito dopo il cavaliere muoveva altri due passi in semicerchio verso sinistra, imitato ancora dalla dama che li faceva verso destra, in modo che ambedue venivano di nuovo a trovarsi di fronte. Poi il cavaliere, con due passi fiancheggiati verso destra, prendeva il posto della dama, e questa il posto del cavaliere, per ricominciare quindi i passi descritti. Una profonda riverenza coronava il ballo. ■ Era famoso il minuetto di Exaudet, il capolavoro del genere, che veniva suonato specialmente. E quante generazioni ballarono alle sue note ! Innumerevoli canzonette furono poi scritte per esso, tutte simiglianti; quella classica però è la seguente:
Ùn désir, Un soupir, O ma fille, Peut aussi troubler un cœur Où se peint la candeur, Où la sagesse brille. Le repos, Sur ces eaux, Peut renaitre; Mais il se perd sans retour Dans un cœur dont l’amour Est maître. Mais, tandis que l’on admire Cette onde où le ciel se mire, Un zéphir Vient ternir Sa surface, D’un souffle il confond les traits, L’éclat de tant d’objets S’efface.
■ Ciò che contribuiva molto a rendere squisito il minuetto, era il dolce piegar del ginocchio, il protendere elegantemente i piedi e l’esatto equilibrio della vita, tra le mossette delle mani e del capo, e i sorrisi, e le parolette gentili. ■ La maestria e la grazia del cavaliere consistevano nel porgere a tempo e con garbo i fiori ed i profumi di cui la dama si beava abbandonando il capo mollemente. ■ A tutte queste cortesie lei, poi, rispondeva… guardando ripetutamente il ballerino a traverso l’occhialetto, con commovente civetteria, o porgendogli, con gesto deliziosissimo, la scatola del… tabacco da fiuto! ■ Che dolci guiderdoni, signorine lettrici! ■ Perché anche loro, con altrettanto squisito pensiero, non decidono di offrirci teneramente… la scatola del tabacco da fiuto, dopo le nostre galanti freddure? ■ Però chi sa se il parere di miss Pankurst non sarebbe invece quello di offrire il porta-sigarette?
“«Balletto in giardino».”
“«Un balletto». – Incisione inglese di I. Hogg, da J. R. Smith, 1784.”
“«Un balletto di fanciulli». Laucret, inciso da Carmessin, 1700.»
■ Ma torniamo agli antichi balli delle nostre stampe. ■ Allora per questi si aveva un amore che andava fino al fanatismo. Infatti Luigi XIV, il gran protettore del ballo, amava tanto la danza da prendervi parte lui stesso molte volte. ■ E’ pur vero che vi rinunciò dopo aver sentito nel Britannico di Racine il forte attacco contro le manie teatrali di Nerone, ma è anche vero, del resto, che nel 1661 istituì una Accademia reale di danza, oggi defunta, i cui componenti si adunavano una volta al mese per discutere intorno all’arte loro. Persino il filosofo Elvezio era folle- mente innamorato di quei balli, tanto che per divertirsi sufficientemente aveva afferrato la disperata decisione di danzare mascherato nel teatro dell’Opéra; fatto, questo, che anche oggi costituirebbe una enormità per un musone filosofo gravido di pensieri. Non vi pare infatti che a pena da un antifilosofo futurista — se fosse esistito allora — ci saremmo aspettati tanta agile spregiudicatezza?
“Scuola da ballo. – 1700 (Lawrence inciso da Dequevauviller.).”
■ Però non solo Elvezio danzò sui teatri, e non solo Luigi XIV ballò con M.me De Sévigné un minuetto di Lulli. Si racconta infatti che Don Giovanni d’Austria, vice-re dei Paesi Bassi, era anche lui così fanatico per la danza, che una volta si recò appositamente a Parigi per veder danzare un minuetto da Margherita di Borgogna. ■ I ballerini allora godevano la maggiore prosperità ed il più largo favore, specialmente tra le merveilleuses: le damine bizzarre che meravigliavano i borghesi del tempo con i cappelloni enormi e con altre eccentricità eleganti, facendo allora… quello che oggi le damine nostre fanno. Nel secolo XVIII costituivano a Parigi una vera società che vantava degli statuti dati, approvati e confermati con lettere dello stesso Luigi XIV, registrate allo Châtelet il 13 gennaio 1659 e al Parlamento il 22 agosto seguente. Il presidente di questa… lega di resistenza aveva diritto al titolo di Re di tutti i musici e maestri di ballo, e non veniva eletto con una votazione, ma saliva… al potere solo in grazia ad una quantità di buone referenze. Le quali, poi, non erano simili a quelle di un qualunque cassiere d’oggi, poiché dovevano essere scritte dallo stesso Re di Francia, quello vero. Innanzi a questi re dei danzatori e dei musici, i neofiti dovevano provare l’altezza dell’arte loro.
“La danza della sposa nel 1700 (Incisione all’acquatinta di L. P. Debucourt).”
■ Il maestro di ballo — tanto bene ritratto da Molière — nella sua varietà pretenziosetta, era amabile anche se un po’ licenzioso al pari del gran mondo che costituiva la sua clientela, ed era ben leziosamente tronfio nell’importanza che credeva avere e nell’aria impertinente che si dava, da gran signore… parvenu. Del resto le dame se lo disputavano, come si disputavano il parrucchiere di moda.
“Tiepolo. – Il minuetto.”
■ Visse a Parigi un celebre ballerino, il Bocan, inventore della bocane, che fu il maestro di ballo delle Regine di Francia, di Spagna, d’Inghilterra, di Polonia e di Danimarca; fu favorito di Carlo I d’Inghilterra e fece impazzire tutte le dame eleganti, per la perfezione del suo metodo e della sua grazia. Ci potremmo chiedere come facesse a sostenere tanta vastità di cariche, ma questo deve restare un mistero, tanto più che era gottoso, storto e aveva le mani deformi. Dagli allievi, poi, si facevano ben riverire i maestri. Nella Choréographie del maestro ballerino Guillemain si leggono le seguenti norme per gli allievi, principi o borghesi che siano:
«Observations concernanis la leçon. — Il convient que l’écolier aille au devant du maître quand il arrive; on doit le recevoir très-poliment, lui faire deux révérences; la première très-profondément, la seconde moins bas; on doit ensuite le fair entrer dans l’appartement, lui présenter un fauteuil ou une chaise pour s’asseoir. Sitôt que le maître sera assis (!), l’élève (demoiselle ou cavalier) lui présentera les deux mains; il se pla- cera à la première position, et fera quatre révérences, les genoux bien ouverts, la première très-basse, la seconde moins, ainsi que les deux autres, et ayant l’attention de ne pas lever les talons. Après les révéren- ces, l’écolier ou l’écolière marchera en avant, puis en arrière, à droit et à gauche, de còté, ainsi que de toute autre manière que le maître jugera à propos. La leçon finie, l’é- lève aura l’attention de conduire le maître jusqu’à la porte de l’appar- tement; il lui fera ensuite deux ré- vérences, la première bas, la seconde moins; il le remerciera poliment des peines qu’il s’est données et des attentions qu’il a prises.»
“La mania della danza. – Debucourt.”
■ Erano modesti — non è vero? — i maestri di ballo!… Si racconta che uno tra i più celebri di questi, Gaetano Vestris, un giorno assicurò, con profondissima convinzione, che tre grandi uomini esistevano allora nel mondo: Lui, Voltaire e il Re di Prussia! Figuriamoci con quale prosopopea dirigeva i balli!
■ Molière, scrisse questa gustosa lezione di ballo in una delle sue commedie. Il signor Jourdain è l’allievo, cui il maestro chiede:
Un chapeau, monsieur, s’il vous plait. (M. Jourdain va prendre le chapeau de son lequais, et le met par-dessus son bon- net de nuit. Son maître lui prend les mains, et le fait danser sur un air de menuet qu’il chante). La, la, la, la, la, la, la, la, la, la, la, la… En cadence, s’il vous plait. La, la, la la, la. La jambe droite. La, la, la, la, la. Vos deux bras sont estropiés. La, la, la, la, la. Haussez la tête. Tournez la pointe du pied en dehors. La, la, la. Dressez votre corps.
■ Il predetto Marcello una volta redarguì unaduchessa sua allieva, dicendo: «Ma signora, voi fate la riverenza come una serva!». E redarguì un’altra che lo riveriva, esclamando: «Voi, signora, vi presentate col fare di una stracciona di trivio; ricominciate la vostra riverenza, e che il titolo nobiliare vi accompagni anche nelle piccole azioni!». ■ Marcello infatti vedeva «un mondo» nel minuetto ! Una volta esclamò: «Que de choses dans un menuet!». ■ Figuriamoci dopo tanta perfezione d’insegnamenti e dopo tanta esigenza di squisitezze, quale spettacolo ineffabile dovevano offrire nei luminosissimi e sfarzosi saloni di allora, i pallidi colori dei rasi e dei broccati, armonizzanti coll’innocenza delle parrucche, con il pallore dei sorrisi, con la soavità languida degli inchini: leggeri velami di fruscio, al suono dolce e modesto delle spinette.”
” ■ Chi trova ancora il tempo di fare i taglierini in casa quando gran numero di famiglie hanno dalle persone di servizio una prestazione d’opera assai ridotta e molti camerieri, molti cuochi e cuoche servono in un giorno due e fin tre famiglie? Donde il maggior pregio che acquisti il cibo preparato a macchina quando questo cibo conservi tutto il sapore e tutte le qualità nutritizie del cibo preparato a mano.
■ Di somma importanza, è in quest’ordine di attività, l’industria delle paste alimentari. Oggi sul fronte i nostri soldati fanno un grande consumo di paste alimentari fabbricate a macchina: e un consumo non minore è dovuto alle famiglie nelle città e nelle campagne. Tale consumo non sarebbe possibile se vasti stabilimenti non provvedessero a fabbricazioni colossali e nello stesso tempo regolari e metodiche per modo che non vi debbano essere interruzioni mai né nel lavoro delle macchine né negli invii ai luoghi di rifornimento.
“Si fabbricano le macchine per fabbricare la pasta.”
■ Un esempio ammirevole di produzione colossale e metodica ci è dato dal Pastificio Baroni che, pur avendo continuato (ma in proporzioni naturalmente assai ridotte) lo smercio ai privati delle ormai innumerevoli forme del suo prodotto, ha mezzi sufficienti per mandare sul fronte la pasta necessaria a intieri corpi di esercito. È questa nella nostra guerra una attività ignorata dalla grandissima maggioranza del pubblico, al quale non potrà certo dispiacere che i figlioli chiamati a combattere trovino la più scrupolosa osservanza dell’igiene nei cibi che loro si somministrano. L’igiene non è quella soltanto che preserva il corpo dalle malattie mediante disinfezioni e vaccinazioni preventive, ma anche è igiene essenziale per l’organismo umano il consumo di cibi sani e variati, per modo che tutte le sostanze delle quali l’organismo si compone abbiano il conveniente ricambio. Provvedono in tal senso le razioni di carne e di paste alimentari che lo Stato sa distribuire sul fronte ai soldati nostri. Chi voglia formarsi un concetto preciso di questi formidabili servizi non ha che a recarsi dinanzi al vasto caseggiato di Ripa Ticinese numero 99, nel suburbio milanese, ed assistere per mezz’ora all’andirivieni dei carri e dei camions del pastificio Baroni. Lo spettacolo è davvero imponente. A centinaia i carri ed i camions s’inseguono in una sola giornata tutti diretti col loro prezioso carico alle stazioni ferroviarie, donde le casse contenenti paste d’ogni forma vengono irradiate alle innumerevoli vie che conducono nei posti di rifornimento delle truppe.
“Il salone per la fabbrica delle paste.”
■ Nella Revue Universelle si legge: «Se i fondatori di quella Casa l’hanno aperta a Milano gli è che la città è il centro dell’Europa Meridionale. Il suo commercio, la rete delle sue ferrovie, la sua attività in ogni genere di lavoro l’indicavano come la sede più propizia ad un’industria alla quale occorrono comunicazioni rapide per il trasporto dei grani e delle farine e per la regolarità delle relazioni commerciali». L’autorevole giudizio della notissima e tanto ascoltata rivista francese ci procura una non comune soddisfazione perché concorda esattamente con quanto noi pure pensiamo: che, cioè, un industriale intelligente, quando apre un esercizio, una fabbrica, non dimentica mai di far concordare il proprio interesse con l’interesse pubblico, non si preoccupa soltanto del guadagno immediato, ma antivede fonti perenni di guadagno là dove l’industria promuove od accresce il benessere delle popolazioni.
“Altra veduta del salone per la fabbrica delle paste.”
■ Il cav. Luigi Baroni, di fatto, è stato un fondatore presbite. Egli ebbe la visione precisa che a Milano e non in altra città era possibile iniziare una battaglia contro il misoneismo forte di tutte le predilezioni per le paste alimentari fatte a mano. Il consumo di una popolazione che, vivendo in una zona umida, ha bisogno di rafforzare le razioni del suo cibo e conseguentemente, per non sbilanciarsi, deve appoggiare la sua richiesta a chi, per il grande smercio, può offrire prezzi più convenienti, le molteplici cause di confluenza commerciale, essendo Milano situata sulle grandi vie di comunicazione dal nord dell’Europa al Mediterraneo, hanno suggerito al cav. Baroni di tentare l’ardua impresa. Ed è interessante notare com’egli abbia lottato contro la naturale diffidenza del pubblico. Lottato e vinto, perché non solo le paste più semplici come le lasagne ed i maccheroni, ma anche le più complicate come i tortellini con ripieno di carne possono oggi competere per sapore e qualità nutrienti con le paste fatte a mano.
“uno degli essicatoi del pastificio L. Baroni e C.”
■ La bontà del prodotto riesce subito evidente al visitatore perché i locali vastissimi non soltanto presentano l’ampiezza più indicata per far circolare l’aria e per impedire si contravvenga alle più scrupolose regole della igiene, ma anche rivelano un moderno razionale coordinamento fra tutte le fasi della fabbricazione. Il pastificio Baroni non s’accontenta di avere nella imponente sala dove si fabbricano le più svariate forme di paste la miglior raccolta di macchine adatte a quella fabbricazione, ma fabbrica a sua volta, in un annesso locale dello stabilimento, le macchine per la pasta. Così l’industria gode di una autonomia perfetta.
“Si mette la pasta in carta, scatole e casse.”
■ Le grandi sale dove la pasta prende le sue forme definitive offre al visitatore uno spettacolo di grazia, perché sono intente intorno alle macchine ragazze in cuffietta e grembiule bianco. Centinaia di queste ragazze si muovono incessantemente nel vasto quadro di lavoro e la rigorosa pulizia del loro abito aggraziato aggiunge pregio all’industria del Baroni che impiega quotidianamente non meno di 400 operai, mette in opera, pure quotidianamente, più di 50.000 chilogrammi di farine trasformandole in paste alimentari di oltre 160 forme diverse.
“S’insacca la pasta.”
■ Di molto interesse per i tecnici e per i profani sono gli asciugatoi giranti che occupano i tre piani superiori dello Stabilimento. Agli asciugatoi vengono appese le paste o, secondo le forme, vengono collocate su apposite piattaforme degli asciugatoi stessi, dopo che le operaie le hanno tolte alle macchine di forma, perché le paste stesse si asciughino e sia poi possibile metterle in sacchi ed in casse. Le piatta forme giranti sono un altro indice della potenza e della grandiosità della Casa che tutto ha messo in opera per aggiungere modernità alla propria industria. ■ I progressi del pastificio Baroni sono così rapidi che in pochi anni i locali, quantunque vastissimi e costruiti con tutte le regole dell’arte e dell’igiene, sono diventati insufficienti, e oggi si lavora a drizzare accanto a quelli in attività un nuovo imponente edificio il quale sarà presto pronto. Dai larghi cortili, puliti e lucidi sempre come sale da ballo, i carri ed i camions si muovono in lunghissime file e formano in grandissima parte il traffico in quel tratto importante e popolato di Ripa Ticinese.
“Il grande cortile donde muovono carri e camions per le spedizioni.”
■ Abbiamo già detto che da quando la guerra è incominciata il pastificio Baroni provvede all’esercito nostro ingentissime quantità di paste alimentari. Ci preme ora aggiungere due cose: la necessità, cioè, in cui si è trovata la Casa di ridurre la vendita ai privati tanto grande è la richiesta dal fronte; e la fabbricazione che essa si è assunto non solo per le truppe nostre ma anche per gli eserciti stranieri. ■ Commissioni di eccezionale importanza il Pastificio Baroni riceve per l’esercito francese e per l’esercito svizzero, per gl’istituti di beneficenza, per gli istituti sanitari e principalmente per la Croce Rossa. ■ Fra le specialità che più piacciono al pubblico sono la Pastina Celestiale e i Raviotortellini. L’Esposizione di San Francisco e l’ultima Fiera di Lione hanno conferito grande notorietà al prodotto della Casa milanese. Dalla prima ebbe il Gran Premio; alla seconda lo Stand della Casa era l’unico per questo genere di prodotti.”
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