Una visita alle “Pelliccerie per il fronte” a Milano (1915)

Da La donna, Anno XI – N. 263 – 5 dicembre 1915

“Torno ora da una visita fatta a Milano a quello che chiaman il « Gruppo VI» [all’epoca situato in via Silvio Pellico] delle pelliccerie per i soldati piena di ammirazione per la praticità e la grandiosità con cui è stato organizzato questo reparto.
L’anima di tutto è stata una donna, Gioconda Ellero De Angeli, e il risultato meraviglioso conseguitone dimostra ancora una volta la versatilità e la prontezza dell’intelligenza italiana e la facoltà d’organizzazione che molti ci negano. […]
Chi conosceva superficialmente Gioconda Ellero De Angeli e entrava nella sua casa pensava:
«Chi sarà stato l’architetto, il decoratore di cui si è servita questa signora per avere una così bella casa?». Tutte le sue case in città e in campagna, così originali e così «confortabili», dove tutto — mobili, ricami, cornici, finestre, biblioteche, rilegature di libri aveva un’impronta così raffinata e adatta e personale — tutto era opera della Gioconda Ellero, architetto di sé stessa, che si disegnava da sé arazzi e cuscini, che si valeva di un falegname di campagna per fargli eseguire i mobili più originalmente ingegnosi. Ogni cosa a cui Gioconda Ellero De Angeli ponesse mano, rilegar libri, ricamar cuscini, ammazzolar fiori, assumeva un carattere d’arte, di finitezza e di solidità.
Ma nella vita normale queste sue qualità non erano utilizzate che all’abbellimento della sua casa; come le sue qualità altrettanto preziose d’anima e di mente, equilibrio, intuizione, prontezza di vedute, abnegazione, che la facevano una così buona consigliera ed infermiera, erano esercitate ad esclusivo vantaggio de’ suoi familiari.

“Reparto pelliccie – Magazzino.”

Quando scoppiò la guerra e si vide che di colpo essa si portava sull’alta montagna, si pensò subito a Milano all’urgenza di provvedere d’indumenti adatti i reparti di truppe esposti, malgrado la buona stagione, a temperature sotto zero, reparti che si sarebbero moltiplicati e moltiplicato anche il loro bisogno, appena fìnito l’estate, così breve in montagna.
Gioconda Ellero, con un’altra signora, Maria Veratti, si mise a capo di quest’ufficio, che ha fornito a tutt’oggi migliaia e migliaia di capi di pellicceria ai soldati di montagna.
Il successo che ha avuto questa iniziativa s’intende solo vedendo in che modo è stata attuata, con tanta libertà e larghezza di vedute e senso di risparmio, con una visione esatta, precisa di quello che occorreva fare.
Certo la signora Ellero e la signora Veratti non avevano mai lavorato in pellicce: ma si sono impadronite della tecnica di questo lavoro per la pratica che avevano di tanti altri: non s’intendevano particolarmente d’indumenti militari, ma è loro bastato parlar con ufficiali e conoscere quali erano i bisogni particolari dei loro uomini e le deficienze da essi lamentate, per inventare volta a volta gli indumenti più adatti, utilizzando nel miglior modo il materiale offerto. Non s’intendevano d’amministrazione, ma hanno capito che pericolo, se non altro di ritardo nella distribuzione del loro manufatto, potesse essere l’accentrarlo nei depositi e nelle intendenze militari. Così con garbo ma con energia e fermezza banno ottenuto di poter spedire direttamente alla fronte e di consegnare i preziosi indumenti nelle mani stesse dei capitani di reggimento.
La prima cosa che col pisce chi visita questo stabilimento — bisogna ormai chiamarlo così perché conta una trentina di operaie e due tagliatori — è la giudiziosa pratica utilizzazione di tutto il materiale e la sua perfetta rispondenza allo scopo.

“Laboratorio.”

Ecco i giubboni per le sentinelle che debbono vigilare in mezzo alla neve: in pelle di capra o di pecora, coperta di tessuto bianco impermeabile, senza maniche, ma con una larga imboccatura alle spalle che permette di tener le braccia dentro il giubbone, e un grande cappuccio impermeabile che serve a far intorno al viso una specie di «camera d’aria» meno gelida, mentre il viso e la testa vengono riparati da un passamontagna foderato di pelliccia più morbida che non sia la pecora, cioè pelliccia di coniglio o vaio.
Ci sono — sempre per le sentinelle — delle soprascarpe con gambali che paiono di favolosi giganti (ci sta dentro comodamente come in una guaina un bambino di un anno): s’infilano sopra gli scarponi da montagna: il gambale è in pelle d’agnello montato su zoccoli di legno alti venti centimetri.

“Gabbani «Manciuria» e sacchi letto.”

Queste soprascarpe sono per le sentinelle e gli osservatori che stanno fermi: per quelli che camminano in mezzo alla neve ci sono dei gambali più leggieri ma egualmente riparatori in pelle d’agnellino, con un ingegnosissimo sistema di abbottonatura ideato certo da qualche montanaro. Invece che bottoni passano nelle asole ansette di corda e una si inanella nell’altra finché l’ultima s’aggancia a un bottone, Così un solo bottone basta dove ne sarebbero occorsi venti e l’agganciatura è molto più solida e agevole. Un capitano si lagnava con la signora Ellero dei bottoni che si strappano e tengono la chiusura o troppo stretta o troppo lenta, mentre egli diceva di aver veduto usare dai montanari un’ingegnosa affibbiatura con le cordicelle. La signora Ellero si fece ben spiegare in che cosa consisteva, finché riuscì a riprodurla, e trovandola infatti molto più pratica dell’allacciatura a bottoni l’adottò.
Ma immaginate voi un sarto militare disposto a modificare i bottoni «sacrati» dal regolamento per adottare le anse di cordicelle prese ad imprestito ad un montanaro? Io non l’immagino, e per questo mi rallegro tanto più che la preparazione di questi indumenti sia in mano di signore «spregiudicate». Per gli artiglieri, per i quali le parti più esposte sono le gambe, perché stanno a cavallo o sui carri, sì sono inventati dei gambali che non fasciano tutt’intera la gamba, ma ne riparano le parti esposte alla pioggia, e invece di adoperare le pelliccie lanose che assorbirebbero l’acqua, si sono utilizzate quelle a pelo cortissimo, oleoso su cui l’acqua scorre via.

Ogni sorta di pelo e di pelliccia — montone, capra, coniglio, vaio, tigri, orso, foca, (e c’è anche zibellino, martora ed ermellino) — viene utilizzata per gli usi a cui s’adatta meglio: gambali, giubboni, pettorine, mantelli, guanti, manopole.
Per i sacchi-letti molti ufficiali avevano segnalato un inconveniente; la difficoltà di eliminare gli insetti che penetrassero nel pelo fitto. Ed ecco subito una ingegnosa innovazione: sacchi-letti di lana cardata fina come piumino e ricoperti di tessuto impermeabile. Il sacco, lungo 2,30, è come un materasso che offre la stessa facilità di essere pulito e purgato.

Una delle cose più belle è di veder come niente vada perduto o resti inutilizzato.
Col pelo dei cappelli di feltro (moite fabbriche di cappelli hanno inviato questo residuo che andava generalmente sperduto) si son fatte pettorine e giubboni e pastrani imbottiti ricoperti di tessuto impermeabile e tengono caldo come le pelliccie.

Il panno di cartiera (quello che impiegano le cartiere per stendere la pasta che diventerà poi carta e che si impregna di grassi che non serve più per questo ufficio) è fatto servire appunto come impermeabile per la sua oleosità: coi ritagli che avanzano dei panni si fanno guanciali per gli ospedali. Coi campioni di seta e di lana lunghi pochi centimetri, infilati in liste di calza, si fanno copriletti. Coi ritagli di pelliccia minimi si fanno cappucci e cupolette per le estremità dei piedi e delle mani, da mettere dentro i guanti e le calze, a Milano ha un gran cuore e non conosce stanchezza nel gesto di dare; entrando in questomagazzino lo si vede: sono centinaia di pelliccie del valore di centinaia e migliaia di lire che si stivano negli armadi e nei cassoni, dono spontaneo di privati. Son sacchi e montagnole di pelli di montone e di coniglio, elargite da ditte e da allevatori.
La settimana passata erano arrivate in un solo blocco quarantamila pelli di coniglio, e mentre io ero là veniva svolto un pacco da cui usciva un mantello da teatro di velluto bianco, tutto foderato di zibeline, del valore di molte migliaia di lire!

Certo però un grande impulso a dare deve esser venuto dalla constatazione che il pubblico poteva fare coi proprii occhi di questa utilizzazione immediata e stupenda di tutto il materiale offerto.
È un vanto per il femminismo che questa opera abbia raggiunta — improvvisata così — una tale rapida perfezione per opera di due donne. Questo è dimostrativo più che molte enfatiche perorazioni delle preziose qualità di organizzazione, di previdenza, di praticità che possiedono le donne, di cui gli uomini potranno valersi anche in tempo di pace nelle pubbliche amministrazioni.

Ma certo per Gioconda Ellero De Angeli e per Maria Veratti la più gran compiacenza è che per il loro lavoro così amorosamente concepito e condotto, migliaia di vite di soldati sono sottratte dall’insidia del freddo, dalle malattie e dalla morte.
Paola Lombroso.”