Da La Lettura, Anno XXXIX, N. 10, 1° ottobre 1939.
“Questo libro, uscito or ora, è davvero modestissimo: sfoggerebbe una cifra iperbolica se l’editore volesse indicare la sua tiratura: duecentomila copie all’anno e milioni e milioni dalla sua nascita.
Dev’essere uno dei volumi più diffusi, più largamente venduti e più attentamente letti. Lo porta sempre con sé, e lo scorre l’uomo d’affari che della Divina Commedia conosce solo il primo verso dell’Inferno, e ignora — e se ne vanta — chi sia il romanziere di moda. Lo sfoglia e si indugia sulle sue pagine anche la bellissima signora (arie intellettualistiche) che lo custodisce fra la sua roba e qualche sera lo posa sul comodino prima di addormentarsi.
Non c’è pericolo che il compratore di questo volume lo butti in un angolo, dopo una prima scorsa, come fa con altre opere. Non c’è neppure pericolo che un paio di settimane dopo l’uscita dalla tipografia, il libro finisca su una bancarella. Su questi banchi delle liquidazioni letterarie si troverà il grande classico e l’ultimo venuto, ma non l’Orario generale delle Ferrovie dello Stato. Almeno, io non ce l’ho mai trovato.
Un libro che non presenta alee: l’editore non si chiede se sarà l’opera che la gente attende come una rivelazione, o quella che farà muffa nel magazzino. La gente attende con interesse, talvolta con lieve ansia, la ristampa dell’orario e lo sollecita al rivenditore. Un libro di grande, sicuro avvenire, come di glorioso passato.
E qui mi pare giunto il momento di tagliar corto col preambolo e di rivelare la mia intenzione di fare l’elogio dell’Orario ferroviario e un po’ la sua storia. Le Ferrovie italiane celebrano il loro primo centenario. Bene, nella circostanza — celebrazione più, celebrazione meno — festeggiamo anche il settantottesimo compleanno dell’Orario ferroviario.
Elogio. Sfidando le ire di quanti vedono nell’Orario una bestia nera, un libro di algebra ferroviaria, incubo della vigilia dei viaggi, affermo che è un volume istruttivo, interessante e anche divertente. Bisogna vincere la prima avversione per quelle colonne di cifre e penetrare nella stenografia dei suoi segni convenzionali e dei suoi simboli e farseli familiari. Poi, può diventare, nelle nostre ore di ozio, un libro di avventure di viaggio. Con un po’ di fantasia ci si sbizzarrisce nei viaggi più belli per il mondo, in ferrovia, autobus, piroscafo, aeroplano: e sono i viaggi veramente belli, non limitati o tormentati da esigenze di tempo, di luogo e di denaro. Se un treno non è comodo, se ne prenderà un altro o si preferirà la linea aerea.
Bassora? Bassora? Ecco, vorrei andare a Bassora, città dell’Asia occidentale, sull’Eufrate. Vediamo: la posso raggiungere per la prima parte del percorso in ferrovia fino a Roma e Brindisi o con l’espresso dell’Oriente fino ad Atene, e per il resto in piroscafo o in aereo. Questo viaggio non mi piace? Me ne scelgo un altro e, passando da un quadro e da una finca all’altra dell’Orario ferroviario, sogno di navigare verso l’Africa italiana e di compiere una gita sulla rete delle nostre ferrovie coloniali.
In giro per il mondo, nelle pagine di un indicatore ferroviario.
Stanco di correre con la fantasia, voglio fare poi un viaggio di istruzione tra le stesse finche dell’Orario. Quante nozioni in questa Crusca dei trasporti ferroviari, tranviari, lacuali, automobilistici, aerei e persino postali. Andando da Milano a Venezia, vedrò alla mia destra o alla sinistra il fabbricato viaggiatori della stazione di Sommacampagna-Sona? Questo segno mi dice che è sulla sinistra. Se poi mi interessa, posso sapere pure che l’abitato di Sommacampagna dista tre chilometri dalla stazione e due quello di Sona. A Romano potrò soltanto dissetarmi, mi avverte questo simbolo di bicchiere. E questo coltello incrociato con la forchetta mi indica che troverò da mangiare a Chiari e Rovato. A Romano posso disporre di un servizio automobilistico e a Peschiera c’è un battello.
Questa tromba da postiglione? Mi avverte che col diretto 415 viaggia un ambulante postale. Questo rettangolo con le ruotine che vuol simboleggiare una carrozza ferroviaria segnala la vettura diretta mista, per le tre classi, Boulogne-Laon-Basel-Luzern-Trieste. E quanto mi conforta quel lettino da bimbo nella colonna dell’N.V.: c’è da dormire in cuccetta, su quel treno.
Ci trovate persino l’esatta accentazione dei nomi delle stazioni. Si pronuncia Mignànego o Mignanègo? Mignànego, accento grave sull’a. Insomma, un’enciclopedia di viaggi.
Origini e storia dell’Orario ferroviario. Agli esordi delle ferrovie italiane c’erano diverse reti e ciascuna, si capisce, provvedeva con manifesti od opuscoli a comunicare gli orari al pubblico. C’era l’orario della Strada ferrata centrale toscana, quello della regia Strada ferrata da Napoli a Caserta, ecc.
L’idea di unire gli elenchi delle varie reti in una unica guida nazionale fu del cav. Stefano Demennevalle, da Torino, il quale nel 1861 compilò e stampò l’Indicatore generale delle Strade Ferrate: il bisnonno dell’Orario odierno. Una trovata. Con lettera del 28 ottobre dello stesso anno, il ministro dei Lavori Pubblici autorizzò il Demennevalle a dare alla sua pubblicazione il titolo di ufficiale.
Era un opuscolo quindicinale, in una trentina di pagine, in quarto di foglio. Eccolo qua, ingiallito ma ancora nitido, nella raccolta preziosa dei primi orari. La parte pubblicitaria è invasa da nomi e diciture francesi, dalla ditta industriale (di quanto si era tributari all’estero, allora!) all’hôtel meublé.
Non c’era da smarrirsi nei pochi quadri orari, fra le poche comunicazioni ferroviarie. Nel volume del 1865, putacaso, vediamo che fra Torino e Milano correvano quattro convogli sull’intera tratta e uno fra Torino-Novara. Verso sud, tre comunicazioni Torino-Alessandria e quattro Torino-Genova oltre a un locale Alessandria-Genova.
Si partiva alle 4.35 da Milano e si giungeva alle 11.25 a Genova. Partenza da Milano, in diretto, alle 10.25 antimeridiane, arrivo alle 3.25 pomeridiane a Bologna e alle 9.25 di sera ad Ancona. Chissà che disastro i treni dei mariti di allora (cerano già?) con il viaggio di una giornata, su quelle carrozze, per raggiungere la riviera!
Nell’Indicatore si parla di antimeridiano e di pomeridiano, e si precisa di che ora si tratti. Esempio: partenza alle 8.35 antimeridiane da Torino, ora di Torino, e arrivo alle 5.22 pomeridiane a Verona, ora di Verona. (Adesso — Novecento — c’è l’ora media dell’Europa Centrale.)
Si partiva alle 10.20 a. da Roma e, per Velletri, Ceprano e Capua, si arrivava alle 5.25 p. a Napoli, naturalmente ora locale. E i prezzi? Da Bologna a Pistoia, in prima classe, 10.80 (lire di allora) e rispettivamente 8.65 e 0.50 per le altre due classi. Da Torino a Novara 5.25 in terza classe e 3.05 da Novara a Milano…
Per quanto accurato fosse (conteneva persino una rubrica scientifica che segnalava via via le nuove conquiste nel campo delle comunicazioni) l’Indicatore del cavalier Stefano Demennevalle non ebbe vita felice. Tirò avanti fino al 1876, quando venne acquistato dai fratelli Pozzo che ne divennero i nuovi editori. E chi sono questi famosi fratelli Pozzo?
Giacomo e Paolo Pozzo erano nati a Mantova rispettivamente nel 1838 e 1840 e, giovanotti, avevano attraversato il Ticino insieme ad altri volontari lombardi per arruolarsi sotto Vittorio Emanuele II, nella campagna del 1859. Finita la guerra non erano più tornati alla città natìa. Paolo entrò nella carriera militare frequentando l’ Accademia di Modena e Giacomo divenne ingegnere: egli fu il vero iniziatore della ditta che doveva acquistare tanta notorietà.
L’ing. Pozzo cominciò con due torchi litografici per minuti lavori, si direbbero oggi, commerciali. I suoi primi clienti furono le ferrovie torinesi: clienti alla buona. Il capostazione chiamava l’ingegnere e gli ordinava mille o duemila biglietti per questa o quella relazione; a commissione eseguita, la fattura. Giacomo Pozzo era, si può dire, di casa, in ferrovia, e lo diventò realmente quando gli concedettero prima un locale per i suoi torchi e poi altre stanze per la nascente azienda, nello stesso edificio della stazione di Porta Nuova.
La clientela si estendeva anche alle altre compagnie ferroviarie. Giacomo aveva bisogno di un aiuto e indusse il fratello Paolo ad abbandonare la carriera militare per associarsi a lui nella tipografia. Questo nel 1870. Ed ecco come si formò la ditta Fratelli Pozzo. L’azienda prosperò, tanto che nel 1908 dovette lasciare Porta Nuova per trasferirsi nell’attuale sede.
Nel 1898, ai fratelli Pozzo si associò il cav. Carlo Sobrero che l’anno precedente aveva lasciata la carriera militare (era capitano di fanteria) e che diede nuovo impulso all’azienda. È difficile trovare una affinità tra orari ferroviari e milizia; eppure tutti i dirigenti del «Pozzo» vennero dall’Esercito, costituendo una bella tradizione militare: anche il cav. Domenico Canonica, amministratore dal 1928, aveva raggiunto il grado di maggiore di artiglieria da montagna ed è mutilato di guerra, tre medaglie al valore.
Giacomo Pozzo morì nel 1910, il Sobrero nel 1928 e Paolo Pozzo cinque anni fa.
L’originario Indicatore si trasformò più volte e continuò ad ampliarsi per raccogliere la crescente materia. L’attuale Orario generale, continuazione dell’antico indicatore, ebbe il nuovo titolo e la nuova veste nel 1898; e per questo segna, nella copertina, l’anno quarantunesimo.
Dalle trentadue pagine del 1865 si è saliti alle 484 del 1926 e alle attuali 640. E la guida ufficiale delle Ferrovie dello Stato è divenuta l’enciclopedia mensile di tutti i trasporti pubblici, o semplicemente «Il Pozzo», pubblicazione notissima anche fuori d’Italia. I Francesi hanno il loro Chaix (85 anni), i Tedeschi il loro Reichs Kurs Buch e gli Inglesi il Bradshaw, libri nazionali. E noi abbiamo il nostro Pozzo, dizionario italiano dei treni.
Un libro di glorioso passato, come dicevo, ma anche di sicuro avvenire, chè l’arricchimento delle sue rubriche e l’aumento delle sue pagine rappresenteranno i futuri progressi delle nostre comunicazioni. II cav. Demennevalle elencava pochi treni per ogni linea; ma ora i «fratelli Pozzo» devono pigiare in una pagina venti, trenta finche per altrettanti convogli. Per alcuni quadri non bastava più una sola lunga pagina: si è dovuto avanzare a poco a poco in quella di fronte. Le Ferrovie progrediscono e il «Pozzo» deve accrescere la materia nelle sue ristampe mensili: ogni treno che nasce, è una finca in più…
Nasce un nuovo treno e il «Pozzo» è incaricato di darne l’annuncio. Con l’aggiunta dei nuovi venuti e le modificazioni agli orari esistenti rinasce a sua volta, ogni mese, la guida ufficiale e con essa una filiazione di porzioni di orario generale: quattordici indicatori regionali e interregionali oltre all’orario internazionale che serve particolarmente per i forestieri ai quali si indicano le varie vie di ingresso in Italia. La famiglia degli orari, grandi e piccini, ha la tiratura annua di due milioni di copie.
Al lavoro di composizione è addetto un personale specializzato. Alcuni operai lavorano da venti, trent’anni per il «Pozzo»: il caporedattore, Michele Bondante, e il direttore tecnico della tipografia, Carlo Brunetti, hanno il primato dell’anzianità con 48 anni di lavoro ciascuno, agli orari; cominciarono da ragazzi e continuano tuttora, con il solo intervallo, a vent’anni, per il servizio di leva. Pensate, quasi mezzo secolo, tutta una vita di lavoro, otto ore al giorno, tra interminabili colonne di ore, tra segni convenzionali (trombe di postiglioni, lettini, forchette incrociate a coltelli) e avere la mente piena di accelerati, omnibus, modificazioni d’orario: il 456 che anticipa di un minuto, l’impostazione di una nuova automotrice…
E vivere le avventure e i drammi tipografici dei treni che mutano ora o che nascono. Presto, c’è da mandare a Roma la bozza del quadro 45, corretta. E l’AT 345 che per un minuto di anticipo manda all’aria tutto un quadro? E la correzione all’AT 316 è stata fatta? E quante apprensioni per il varo del nuovo AT 432. Poi c’è da mettere a posto una linea automobilistica della Sicilia, l’OS, il 17 e il 19.
Ma, come il capostazione dell’aneddoto, gli uomini dal mezzo secolo di orari sul gobbo, che hanno approntato gli indicatori per milioni e milioni di viaggiatori, alla domenica dimenticano i treni lusso, i rapidi internazionali, la carrozza diretta Paris-Lyon-Roma che il giorno prima li hanno fatti ammattire, e sono felici di passeggiarsela sotto i portici o sul lungo Po. I loro viaggi preferiti sono stati per Trofarello o Lanzo, in gita. Ci si saranno ritrovati, fuori dalla tipografia, a consultare il loro orario, in veste di viaggiatori, e a trovare il treno buono?
Ma siamo noi che vediamo nella fucina degli orari questa farragine. In realtà c’è il massimo ordine; nessuna precipitazione, chè dote prima del compositore, con l’intelligenza, deve essere la pazienza. Figuratevi che ogni pagina dell’Orario ufficiale è formata da 13 mila pezzetti di piombo; 13 mila lettere in corpo sei. Bisogna comporle in righe, in finche, poi in quadri, poi in pagine, presto e bene. Non è ammesso il minimo errore negli orari. Cosa succederebbe se ne scappasse uno, provocato da un’inversione di lettere, e nell’indicatore si segnasse alle 8.51 la partenza del treno delle 8.15?
Le pagine di piombo composto vengono conservate (tenute in piedi, dicono i tipografi) in speciali scansie (60 tonnellate di metallo) per essere riprese per le nuove edizioni. Il compositore le slega, le seziona, aggiunge, taglia, modifica con una sicurezza e una precisione che stupiscono. Poi le pagine, man mano licenziate, passano in stereotipia; e mentre il pacco di piombo torna nello scaffale, la lastra stereotipata inizia il lavoro di stampa.
Dalle macchine piane e dalla rotativa escono le pagine stampate, che poi sono ripiegate, pure a macchina, e formano le segnature. Con la raccolta di queste, si comincia a vedere l’embrione del libro che, attraverso la rilegatrice e la tagliatrice automatiche, prende la sua veste perfetta. In pacchi gli orari sono poi spediti dovunque: alle rivendite, alle aziende, ai privati, alle agenzie di viaggio, nel Regno e fuori. (Questo volume in fascetta andrà al turista americano che l’ha richiesto da Nuova York o da Buenos Aires: gli serve per il suo prossimo viaggio in Italia).
Sì, per tutto il mondo, chè nei grandi alberghi cosmopoliti, nelle agenzie, negli uffici delle maggiori aziende, con lo Chaix, il Reichs Kurs Buch e il Bradshaw, c’è il Pozzo che, allora, non appare più un arido libro di orari, ma un’insegna della vita italiana che si esprime attraverso i suoi trasporti.
La diffusione e il successo librario dell’Orario ufficiale delle Ferrovie è veramente eccezionale; non gli può stare a pari nessun volume di versi, nessun romanzo. (Si ha migliore fortuna a pubblicare guide ferroviarie, che non poesie e novelle). Un’opera che va dappertutto, viaggia nelle borse degli uomini d’affari o nelle valigie profumate delle signore; viaggia per davvero e non si accontenta di far viaggiare gli altri, come i suoi compositori che alla domenica passeggiano sotto i portici o vanno in gita a Trofarello, Sassi e Soperga.
Ma ha una vita troppo breve, di un mese solo. Agli ultimi giorni del ciclo mensile, l’Orario ufficiale comincia a non interessare più; il suo proprietario attende la nuova edizione. E quando questa arriva, la vecchia, con le pagine spiegazzate, segnate da appunti e richiami a lapis e a stilografica, bruttate dalle impronte digitali dei suoi consultatori, è finita. Per questo gli orari vecchi non si trovano sulle bancarelle; non hanno più alcun valore, se non quello di cartaccia, e precipitano al macero o vengono squinternati per servire come cartaccia.
Cartaccia. Non ci si preoccupa neppure di conservarli come cimelio. Ci sono i raccoglitori di etichette, ma, che si sappia, non c’è nessuno che faccia raccolta di orari ferroviari fuori corso.
Eppure questo volume, sgualcito e sudicio, nasconde tanti segreti nelle pagine che più nessuno consulterà. All’inizio del suo ciclo, prometteva tanti bei viaggi e faceva galoppare la nostra fantasia, nelle ore di ozio, a Bassora, a Cartum, Macugnaga o Mignànego. E alla fine del suo corso, racconta: è divenuto un libro di ricordi, di memorie, di avventure di viaggio vissute, naturalmente, per chi sappia interpretarlo e comprendere il perché di un segno, di un appunto a lapis, o della mancanza di una pagina strappata.
L’orario racconta o, almeno, dovrebbe raccontare. Ma chi se l’è tenuto insieme per un mese, informatore enciclopedico, guida dottissima, lo butta via in blocco: cartaccia.
Perché non strappare una pagina di questo volume, una certa pagina, da custodire in un libro familiare al posto dei petali secchi cari al Romanticismo?
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