Se io fossi dittatore… (1935)

di Julian S. Huxley.
Da Sapere, Anno I, Volume I, N. 1, 15 gennaio 1935

Julian S. Huxley, fratello del noto romanziere Aldous Huxley ha 47 anni; insegna biologia e scienze naturali nell’Università di Londra. Studioso d’avanguardia di tutte le forme e manifestazioni della scienza, vi ravvisa l’unica salvezza dell’umanità. Della biologia ha descritto le future possibilità in un libro audace che prossimamente vedrà la luce in versione italiana: Ciò che oso pensare.
Se fossi dittatore è il titolo di un altro libro. ancora più recente, pubblicato in questi giorni dal Methuen a Londra. E curioso seguire come Huxley, scienziato, idealista a suo modo, soclalisteggiante e bolscevizzante alla maniera inglese (
Brittania rule thy waves) compone in questo volume il panorama d’una immaginaria dittatura — in tutti i suoi riflessi: fisiologico, politico. economico, sociale. scientifico, artistico — proponendo alla vecchia Inghilterra tradizionalista e conservatrice, idee, suggerimenti e rimedi […]

Dittatore con un passato scientifico, concentrerei gran parte della mia attenzione alle cose della scienza nel mio Stato, con la speranza di non commettere l’errore di ritenere che la scienza in sé e per sé sia, o possa mai costituire una panacea. L’indirizzo dell’indagine scientifica, anche di quella schiettamente pura è di necessità segnato dalle prospettive e dalle esigenze materiali del tempo, e i vantaggi pratici che possono ottenersi dall’applicazione della scienza sono rigorosamente limitati dall’ordine sociale ed economico in cui viviamo. Di questa limitazione abbiamo oggi una interessante, sebbene dolorosa prova. Nel nostro sistema, tutto basato sull’incoraggiamento al profitto individuale, prezzi alti e carestia sono spesso preferiti all’abbondanza ed ai prezzi bassi; e così si buttano in mare tonnellate di prodotti della pesca; oppure li vediamo adoperati come concimi, per assicurare quel dato livello di prezzi che permette ai nostri commercianti di pesce di accrescere il frutto dei loro capitali. Bruciare montagne di caffè, nel Brasile; accogliere epidemie e insetti come la salvezza dei piantatori di cotone; diminuire l’area di terreno coltivato a frumento e gomma; ecco alcune delle pazzie che nel nostro attuale sistema sono inevitabili e rendono apparentemente inutili e superflue le indagini scientifiche sull’industria ittica, sull’agricoltura e sulla cerealicultura, l’entomologia economica, ecc.
Oggidì la scienza è quasi sempre un lusso intellettuale, oppure la serva pagata dall’industria capitalistica o dallo Stato nazionalista; ed essa e i suoi risultati, quando non si adattano al sistema esistente, non solo rimangono ignorati, ma l’organizzazione della ricerca scientifica perde il suo equilibrio per la soverchia importanza attribuita a certi rami della scienza rispetto ad altri in tutto o in parte trascurati.
Poiché, secondo la mia filosofia dittatoriale, scienza e metodo scientifico costituiscono il solo mezzo che permetta di accrescere rapidamente il dominio dell’uomo sulla natura (anche sulla natura umana e i suoi prodotti, ad esempio i sistemi sociali), mia prima cura sarebbe quella di nominare un “Consiglio scientifico” col compito di riconoscere tutte le possibilità della scienza attuale per tentare l’adattamento del sistema sociale ed economico a queste possibilità, invece di permettere, come avviene oggi, che il sistema prescriva alla scienza se debba svilupparsi, o no, e in qual senso; e quali delle sue applicazioni pratiche debbano utilizzarsi, quali delle sue possibilità siano da relegare in soffitta.
Alcuni esempi. È chiaro che il miglioramento scientifico delle materie prime, dei processi industriali ed agricoli, porterebbe certi articoli standardizzati (alimenti e manifatture) a costi di produzione assai inferiori a quelli d’oggi, ma incompatibili con un sistema sociale di cui la prima ragion d’essere è quella di retribuire largamente il capitale privato. Perciò, richiedendo la collaborazione di economisti e di psicologi, il mio primo scopo scientifico consisterebbe nello studiare come questo incentivo al lucro potrebbe essere contenuto e modificato, in modo da creare un nuovo sistema di produzione e di distribuzione, in cui il “buon mercato” determinato dalla scienza potesse finalmente giovare alle masse del mio popolo.
Vi è poi la medicina. Molto, intorno alla salute ed alla malattia, ci è tuttora ignoto. Ma quanto sappiamo è andato così rapidamente accrescendosi durante gli ultimi venti anni, che sarebbe ben facile dare a tutti quel livello medio di salute e di resistenza vitale che ancora oggi è privilegio del 5% più fortunato della popolazione. Il sistema attuale lo impedisce: abitazioni insalubri; salari bassi che non consentono un’alimentazione sana; organizzazione sanitaria insufficiente, basata principalmente sulle cure di medicastri o su specialità medicinali invece che sulla prevenzione delle malattie e sul rinvigorimento della salute; fumo, rumori, ignoranza, fatica industriale, malattie professionali, neurosi prodotte dalla incertezza dell’indomani, sporcizia e parassiti, mancanza di acqua nelle campagne; insufficienti occasioni di ricreare il corpo con esercizi sportivi, miscela di falsa morale e di medicina, ogni fase della vita sessuale e riproduttiva accuratamente velata, ecc., ecc. La mia politica intenderebbe, quindi, a modificare il “sistema” nella misura necessaria per permettere la realizzazione di tutte le possibilità dell’odierna scienza medica, anziché ricorrere a espedienti di rattoppo pel rimedio provvisorio dei peggiori risultati del “sistema”. …..

L’organizzazione della scienza richiede una serie di immediati provvedimenti. Se l’organizzazione attuale è indubbiamente migliore di quella di prima della guerra, è tuttavia ancora piena di lacune, di squilibri e mal coordinata. Il suo piano è elaborato esclusivamente dal punto di vista del produttore, non del consumatore e del cittadino. Cominciamo con le ricerche sovvenzionate dal Governo. Abbiamo attualmente dei Consigli di ricerca scientifica per la Medicina, l’Agricoltura e l’Industria. Una parte importante spetta pure alle ricerche governative nelle scienze belliche; ma si tratta di un campo distinto, di esclusiva competenza dell’Esercito, della Marina, della Aeronautica. Nel campo economico esiste bensì un Consiglio di consulenza economica, ma non un corpo di ricerca; e nulla esiste nel campo delle Scienze sociali. Intanto istituirei immediatamente tre nuovi Consigli di ricerca: uno per la Difesa Nazionale, il secondo per l’Economia e la Statistica, il terzo per le Scienze Sociali, comprendente anche la Psicologia. Il primo Consiglio coordinerebbe, unificandole, le ricerche concernenti l’Esercito, la Marina, l’Aeronautica, per ridurre le spese ed impedire duplicati o interferenze. Il secondo, occupandosi i problemi economici concreti, studierebbe la relativa efficienza del commercio cooperativo rispetto all’iniziativa privata, gli effetti della disciplina dei prezzi, il funzionamento del Ministero dei Mercati (Marketing Board), i rapporti fra la estensione della Città e il costo e la efficienza dei servizi municipali; stimolerebbe inoltre ogni ricerca teorica sul comportamento delle leggi economiche nei diversi sistemi o regimi politici, sociali, finanziari. Il terzo Consiglio avrebbe lo scopo di trasformare il nostro Ufficio del Censimento in un efficace strumento di ricerca su tutti i problemi demografici, sì da raccogliere informazioni precise circa la prolificità, la intelligenza, la salute fisica del popolo nelle diverse provincie e nei diversi ceti economici e sociali. Sarebbe l'”Ufficio Nazionale Demografico”. Sovvenzionerebbe la vigilanza sociale, oggettivamente condotta, di “zone-modello” (sul tipo del “Middletown” — Città media americana — e delle zone-modello già esistenti a Liverpool e a Londra), tali da rappresentare un quadro esatto del modo di vivere e di pensare del popolo. Così si arriverebbe gradualmente ad un “Ispettorato Sociale” per tutto il Regno, paragonabile agli Ispettorati già in funzione (Ordnance Surrey e Geological Survey), ma con la differenza che quello dovrebbe essere rinnovato più frequentemente. …

Per coordinare i diversi Consigli istituire un Consiglio Scientifico Centrale cui spetterebbe l’assegnazione dei fondi per i singoli Consigli e il compito di collegamento fra gli stessi. Il Consiglio Centrale accoglierebbe anche suggerimenti di ricerche da privati, società, ditte o enti pubblici. Il consumatore e il cittadino sarebbero così messi in grado di fare anch’essi le loro richieste e ogni anno verrebbe pubblicata una precisa relazione su tutte le richieste di ricerche ricevute e sul corso dato ad esse. Così, io credo, sarebbe fatto un passo importante verso l’organizzazione delle ricerche a servizio del consumatore e non soltanto del produttore. Istituirei infine una speciale Commissione ambulante di ricerche (da chiamarsi, p. e., Empire research fund) la cui principale funzione sarebbe di iniziare od aiutare le ricerche audaci o di dubbio esito che altrimenti verrebbero impedite dalle altre istituzioni di carattere più posato o passatista: trasporti senza strade nelle zone tropicali; rapporti fra salute, alimentazione e usi agricoli degli indigeni; la mosca tse-tse e la piaga delle cavallette, l’impiego del cinema e della radio per la propaganda agraria e igienica; l’ingegneria e la biologia in relazione ai depositi frigoriferi; organizzazione di viaggi a scopo di ricerche o perizie scientifiche; ecco alcuni problemi che questo ente per le ricerche d’avanguardia potrebbe utilmente proporsi…

Favorirei non solo gli studi di fisica, chimica e agricoltura, ma anche, e specialmente, la biologia e le scienze più direttamente umane, finora neglette.
Ma non basterebbero le sole ricerche governative. Anche ogni industria dovrebbe concorrere a sovvenzionarle, ogni corporazione industriale dovrebbe promuovere ed incoraggiare lo spirito scientifico od inventivo dei suoi componenti. Gli inventori veramente utili non riceverebbero solo dei premi, come usano concedere alcune nostre ditte pensose della necessità di progredire, ma sarebbero ricompensati con la possibilità di trascorrere qualche tempo in laboratori ben attrezzati di ricerche e anche istruiti sui principii della scienza nel cui campo è avvenuta la loro invenzione, senza che perciò gli inventori dovessero abbandonare completamente l’ambiente dell’officina nella quale si è sempre a contatto coi problemi concreti. In ogni officina, del resto, sarebbe obbligatorio un corso destinato a spiegare i principii ed i particolari problemi della rispettiva industria; e le promozioni dipenderebbero non solo dal rendimento tecnico, ma anche dalla prova che tali principii e tali problemi sono stati compresi ed assimilati.
Importante sarebbe il collegamento fra ricerca e lavoro pratico, per sviluppare rapidamente i risultati della ricerca pura, per rendere noti, giorno per giorno, ai ricercatori, i problemi che si presentano agli operai. Quando dico scienza, intendo scienza utile ad ogni fine e non solo la scienza destinata a servire il capitale privato o promuovere nuove industrie; quando dico ricerca scientifica intendo quella destinata a formare per tutta la nazione una base di prosperità presente e una garanzia di progresso futuro. Vorrei, in altre parole, creare ciò che si potrebbe chiamare il “Cervello Nazionale”, per sostituire i mirabili ma deboli e slegati ganglii attuali.
I dittatori mondiali si sono generalmente dedicati all’azione più che alla conoscenza. Ora, anch’io dittatore, non voglio che le mie innate preferenze per la scienza m’inducano ad attribuire una soverchia importanza alla conoscenza di fronte all’azione. So benissimo che le cose umane procedono lentamente e che il progresso naturale dell’umanità si compie col ritmo di un passo per generazione. Questo passo però deve essere affrettato dal calcio d’una rivoluzione o, per cambiare metafora, dalla speronata di un cavalcatore autocratico. La mia filosofia mi fa credere che i tempi sono maturi per spronare il mio popolo e fargli saltare la siepe, oltre la quale si ritroverà in una contrada nuova, quella dell’umanesimo scientifico, donde procederà poi sotto la guida della scienza a passo più normale, e senza ansimare…”