Da Rivista Enciclopedica Contemporanea, dispensa di febbraio, 1920.
” ■ La vittoria conseguita sull’Austria-Ungheria ha significato per il nostro Paese non soltanto il raggiungimento della completa unità politica, ma ancora la fine di quella larvata soggezione che gravò sull’Italia come un incubo dal momento della sua costituzione in regno libero e indipendente. Essa ha segnato finalmente il giorno del regolamento di tutti i conti vecchi e nuovi colla nostra secolare nemica, conti che erano rimasti aperti, nonostante, o meglio in isprezzo al trattato del 1866, il quale, per il modo col quale era stato composto, aveva consacrato più d’una ingiustizia ai danni del nostro Paese.
■ Fra questi conti stavano in prima linea le rivendicazioni del materiale artistico e bibliografico, che in varie occasioni l’Austria-Ungheria ci aveva indebitamente carpito e trattenuto presso di sé, anche dopo che un esplicito paragrafo del trattato del 1866 (art. XVII) aveva sancito il principio della restituzione. La Commissione nominata in quella circostanza per trovare una base di accordo, al quale l’Austria-Ungheria si mostrava riluttante, aveva dovuto subire le umilianti pretese dei commissari austriaci e firmare un compromesso dal quale risultava lo stato d’inferiorità nostra e l’albagia della nostra nemica. Perciò appena la vittoria di Vittorio Veneto e il conseguente armistizio vennero a mutare radicalmente la nostra situazione rispetto all’Austria-Ungheria, una Commissione fu mandata a Vienna colla Missione militare, presieduta dal gen. Segre, per rivendicare i cimeli artistici e bibliografici asportati in vari tempi dal territorio italiano. Tale Commissione, composta dal Ten. Prof. Paolo d’Ancona, dal dott. Gino Fogolari e dal dott, Giulio Coggiola, poté esperire il proprio mandato, soltanto a mezzo di una energica azione, presidiata dalla forza della nostra vittoria.
■ Lasciando di trattare in altra occasione delle rivendicazioni artistiche, noi ci limiteremo qui a dire di quelle bibliografiche, non inferiori alle prime per importanza e valore. La più vecchia spogliazione sofferta dal nostro paese, in seguito alle male arti degli imperatori austriaci, risale a due secoli fa ed ebbe per proprio campo il Regno di Napoli. Nel 1718 l’imperatore Carlo VI, in quel tempo padrone di Napoli, pensò, per suggerimento di competenti consiglieri, tra i quali (doloroso a dirsi!) fu proprio un napoletano, l’avv. Alessandro Riccardi, di arricchire la Biblioteca Imperiale, con quanto di più pregevole, per antichità e valore letterario, esistesse nelle librerie del Regno, specialmente in quelle dei monasteri.
■ L’elenco dei manoscritti migliori era stato redatto con molto acume dal Riccardi, il quale si era valso perla circostanza delle indicazioni fornitegli dal Diarium italicum del Montfaucon, il quale pochi anni prima aveva visitato a scopo di studio l’italia ed annotato nel suo libro i più antichi e preziosi manoscritti veduti nelle biblioteche e nei conventi d’Italia; ma sopratutto il Riccardi aveva tratto profitto delle informazioni avute direttamente da amici sull’esistenza di notevoli cimeli bibliografici in raccolte private,
■ Non tutti i conventi si mostrarono subito disposti a favorire i desideri dell’imperatore. Qualcuno giunse perfino a richiedere una specie di autorizzazione papale, colla speranza forse di eludere in tal modo le mire del sovrano.
■ Ma non si spaventò Carlo VI; il quale usando di tutte le coazioni morali possibili, costrinse i più celebri conventi napoletani a cedergli senza alcun compenso il fiore delle proprie librerie.
■ Così furono spogliate e saccheggiate le librerie dei conventi di S. Giovanni da Carbonara, dei SS. Apostoli, di S. Severino, di S. Domenico Maggiore e la raccolta di Giuseppe Valleta. I codici, trascelti in numero di circa un centinaio, presero così la via di Vienna, dove vennero incorporati nella Biblioteca Imperiale. Un rapido sguardo all’elenco di questi codici ci fa certi della mirabile scelta eseguita in quelle librerie e delle preziose rarità asportate.
■ Nella libreria del convento agostiniano di S. Giovanni di Carbonara la messe era stata d’una ricchezza veramente insolita, giacché comprendeva fra gli altri due cimeli, che sarebbero da soli bastati ad ilustrare le maggiori biblioteche del mondo: voglio dire il Dioscoride e i Vangeli in pergamena purpurea, scritti a lettere quadrate argentee.
■ Il primo, in greco, risale al VI secolo, ed è uno dei più splendidi codici che esista al mondo, per l’opera di minio che lo adorna e per il valore scientifico che gli deriva dall’età e dall’essere con un altro di Vienna, il primo erbario che si conservi; il secondo, in latino, contiene li vangeli di Luca ed è anche esso d’inestimabile pregio per la sua antichità, risalendo pure al VI secolo. E dopo questi splendidi esemplari, seguono a dozzine i codici di materia sacra che vanno dal IX al XIV secolo, tutti notevoli per venustà calligrafica e per ornamentazione. Un’altra serie di codici comprende testi classici greci e latini, tra i quali alcuni di Tito Livio, altri di Virgilio, altri ancora di Grammatici latini e infine un magnifico Alcorano arabico in venti tomi. Ma su tutti questi, che pure sono tanto pregevoli, brilla come stella di maggiore grandezza l’originale della Gerusalemme del Tasso, tratto dalla libreria dei SS. Apostoli, il quale con le sue cancellature e co’ suoi rifacimenti presenta «lo specchio di quella incontentabilità e di quella smania di perfezione che furono una delle pene maggiori nella vita dello sfortunato poeta». Il codice dovette essere, secondo il Solerti, la copia che il Tasso recava con sé nelle sue peregrinazioni e sulla quale andava eseguendo l’arduo lavoro della lima. La storia di questo manoscritto è nota: rimasto a Napoli in Casa dell’abate Polverino, un nipote di lui, Simone Polverino lo donava nel 1623 alla biblioteca dei SS. Apostoli, donde passava nel 1718 a Vienna, insieme con le altre meraviglie calligrafiche possedute da questa libreria. Notevolissimi pure i codici tratti dagli altri due monasteri di S, Severino e di San Domenico Maggiore, fra i quali parecchi appartengono a quella grande scuola calligrafica, detta beneventana, che ripete la propria origine dagli esempi irlandesi e anglosassoni.
■ Questa spogliazione rimane il documento più impressionante dell’avidità e della rapacità esercitata dall’Austria durante il proprio dominio nel nostro Paese, almeno per la parte bibliografica.
■ Si tratta infatti di tesori di valore inestimabile e per i quali la fantasia più sbrigliata non riuscirebbe a dare che una valutazione approssimativa.
■ Ma se non per il valore, meritano di essere avvicinate a tale depredazione, almeno per la forma e l’inosservanza di qualsiasi riguardo o convenienza, quelle perpetrate a Venezia nella Marciana al principio del secolo scorso, in più riprese, ossia nel 1802, nel 1805, nel 1829 e nel 1835 alle quali, nonostante le clausole del trattato del 1866, non fu possibile riparare.
■ Una delle prime manifestazioni dell’arbitrio imperiale in Venezia, si ebbe nel 1802, quando l’Austria, allegando il motivo di voler arricchire la Biblioteca Imperiale di alcuni paleotipi esistenti alla Marciana, vi fece estrarre sei dei più pregevoli incunabuli, quasi tutte edizioni «principi» in parte stampate su pergamena, recanti lo stemma del Cardinale Bessarione, dal cui fondo esse provengono. Il semplice annunzio dell’anno di stampa, basta a persuaderci della loro importanza: si tratta infatti del Cicerone (Epistolae familiares), stampato a Roma nel 1467; da Schweinheym e Pannartz; del S. Girolamo (Epistolae), stampato pure a Roma dagli stessi tipografi nel 1468; dell’Apuleio (Metamorphoseos liber), stampato a Roma in Casa Massimo nel 1469; del Gellio (Noctes Atticae), stampato a Roma nella stessa tipografia, nel medesimo anno; dell’Igino, stampato a Ferrara nel 1875; del Tibullo senza note tipografiche, ma del secolo XV e pur esso edizione principe.
■ Una nuova depredazione veniva compiuta nel 1805 nella Marciana, che soltanto in parte, benché con nuovo sacrifizio, veniva sanata nel 1868.
■ I celebri Diari autografi del Sanudo, erano stati portati a Vienna nel 1803; nel 1868 essi ritornavano bensì, ma privi di un volume, dichiarato allora irreperibile; e per la loro restituzione era stato necessario dare in cambio la copia, pur essa importantissima, dei Diari, fatta da Francesco Donà. storiografo della Repubblica Veneta.
■ Più tardi nel 1829, Venezia veniva a subire un’ altra spogliazione. Nella circostanza della fondazione dell’autografoteca della Palatina di Vienna, era stato diramato l’ordine in Italia di estrarre da biblioteche e da archivi, in maniera segretissima, quanti autografi risultassero di più notevole interesse. Gli autografi tolti alla Marciana sono per lo più lettere dei più chiari letterati, scienziati e uomini politici veneziani o veneti, come Flaminio Corner, Marco Foscarini. Carlo Goldoni, Scipione Maffei, Paolo Sarpi, Apostolo Zeno, ecc.
■ È infine, non meno grave di questa fu l’asportazione di 15 volumi di rarissima musica a stampa dei primi anni del Cinquecento, veneziani, avvenuta, pure segretamente, nel 1835.
■ Un’altra biblioteca italiana fu provata dallo spirito rapace dell’ Austria, durante il secolo scorso: l’Estense di Modena.
■ A differenza di Napoli e di Venezia, che si trovavano sotto il diretto dominio austriaco e quindi dovevano ubbidire alle voglie di un padrone dispotico, Modena ebbe principi suoi e quindi sofferse solo indirettamente la prepotenza austriaca.
■ Soltanto lo stato di velata soggezione in cui il ducato estense si trovò nel secolo scorso, dopo la restaurazione del 1815, ci spiega l’atto compiuto da Francesco V nel 1847, quando cedendo in parte alle richieste dell’Imperatore d’Austria, che voleva cooperare colla roba altrui alla formazione del Museo di Budapest, inviava a Vienna due dei 15 codici Corviniani che adornavano la Biblioteca Estense.
■ Bella la ragione scovata fuori dall’imperatore per coonestare la richiesta e degna di chi si considerava arbitro di tutta l’Italia, tanto di quella parte che gli era direttamente soggetta quanto di quella che si trovava sotto altri principi. La fondazione di un Museo, del quale una larga sezione era dedicata alla cultura e all’arte fiorite sotto il regno di Mattia Corvino, imponeva all’imperatore l’obbligo di raccogliere tutti i documenti e in particolare i manoscritti di quel chiaro Principe, dispersi alla fine del secolo XV, quando Budapest era caduta sotto il dominio dei Turchi. Ma la perdita maggiore fatta da Modena è dovuta all’opera di Francesco V, l’ultimo principe del ducato estense. Il quale fuggendo da Modena nel 1859 portava seco in Austria i principali cimeli della Biblioteca, come opere di sua personale pertinenza. Più tardi, quando col trattato di pace con l’Austria nel 1866, si trattò di regolare le vertenze tra l’Italia e il principe spodestato, Francesco V si obbligava bensì a restituire i cimeli artistici e bibliografici asportati, ma con una clausola umiliante per l’Italia e contraria ad ogni ragione di diritto, si faceva attribuire i tre codici, che rappresentano i più insigni capolavori della scuola ferrarese di miniatura, vale a dire la Bibbia di Borso, in due volumi, il Breviario Erculeo e l’Officio Alfonsino, che il Duca ritenne presso di sé a Vienna e che per vicende ereditarie passarono poscia all’arciduca Francesco Ferdinando e, dopo l’uccisione di lui, all’imperatore Carlo. Queste le spogliazioni e le sottrazioni compiute a nostro danno dall’Austria durante i secoli passati, alle quali dovevano aggiungersi quelle perpetrate durante la guerra testé chiusasi colla nostra vittoria, nelle terre redente e in quelle invase dopo Caporetto. Perché come sotto pretesto di sottrarre le raccolte bibliografiche più pregevoli ai pericoli della guerra, erano stati trasportati a Vienna i codici, i libri e i documenti degli archivi e delle biblioteche dell’Istria e del Trentino, così appena padroni del Friuli e del Veneto, gli austriaci si erano dati a spogliare e a incassare le raccolte pubbliche e private, sopravvanzate ai saccheggi e agli incendi operati dalla soldatesca.
■ Dal Bellunese, per esempio, erano state spedite a Vienna nei primi mesi dell’occupazione oltre500 casse di libri e manoscritti; in Udine, non avendo essi potuto metter le mani sui tesori delle biblioteche pubbliche, messi in salvo fin dai primi giorni della guerra, si erano accaniti sulle raccolte private e sulle librerie ecclesiastiche. Specialmente importante era stato il bottino fatto nella Capitolare di Udine, dalla quale erano stati asportati il Sacramentario del X secolo, noto sotto il nome di Sacramentario Udinese, uno de’ più insigni monumenti della scuola calligrafica di Fulda, e un celebre Libro d’ore della fine del quattrocento, di scuola ferrarese, che ne’ fregi eleganti e nelle mirabili scene palesa la perfezione raggiunta dall’arte del minio a Ferrara.
■ Non è nostro compito di narrare qui tutte le peripezie attraversate dalla nostra Commissione a Vienna, per riavere il mal tolto. Tutti gli intrighi possibili, tutti gli argomenti più sottili furono messi innanzi, per eludere l’opera dei membri mandati a Vienna a rivendicare i nostri cimeli. Invano: ché urtarono sempre nella decisa e tenace volontà della Commissione, validamente sostenuta dal gen. Segre, e nella forza del nostro inoppugnabile diritto. Tutto fu restituito, ad eccezione dei cinque codici della biblioteca di Modena, due dei quali, come abbiamo sopra notato, si trovano a Budapest. Le trattative per riavere i due Attavanti erano già a buon punto “quando scoppiò la rivoluzione comunista che interruppe per il momento ogni rapporto tra Vienna e l’Ungheria. Per gli altri tre, siccome il Governo di Vienna si dichiarava impotente a costringere l’amministrazione della Casa imperiale a farne la consegna, la nostra Commissione risolveva di prendere in pegno dalla Biblioteca Imperiale tre dei più splendidi cimeli, in attesa della risoluzione della vertenza. Essi sono: la Genesi del IV secolo, miniata, il Dioscoride, noto sotto il nome di codice di Anicia Giuliana, che è di poco anteriore al Dioscoride napoletano, e l’Hortulus animae, celebre manoscritto miniato fiammingo, stretto parente del Breviario Grimani della Marciana. Essi ritorneranno alla loro sede soltanto allora che il Governo viennese avrà provveduto a farci restituire dall’ex-imperatore i codici estensi che ci appartengono di sacrosanto diritto. In quel giorno — che speriamo non lontano — l’Italia potrà vantarsi di essere stata non meno gelosa rivendicatrice del suo patrimonio artistico che delle sue terre e del suo mare.”