Perché il 1950 è più caldo del 1900 (1950)

Da Scienza e Vita, N. 22, Novembre 1950.

” ■ Le variazioni osservate nella temperatura media del globo non sembrano finora seguire un periodo determinato; ma l’attuale aumento di temperatura dell’emisfero boreale è ormai un fatto indiscusso. È possibile fare previsioni sull’andamento futuro di questo grandioso fenomeno di variazione dei climi, che è stato la causa prima del fiorire e del tramontare delle antiche civiltà, e che ha ancora tanta importanza per l’attività umana?
■ Fin dai tempi antichi gli uomini hanno osservato variazioni nel clima terrestre. E gli studiosi della preistoria, dal canto loro, attraverso l’esame delle stratificazioni geologiche e dei reperti fossili, sono riusciti a stabilire quattro grandi periodi nella storia fisica del globo: un periodo glaciale quaternario, terminato 18.000 anni prima della nostra era; un periodo di clima continentale (inverni rigidi, estati caldissime), che si estende dal 18.000 al 6.000 avanti Cristo: è la cosiddetta età paleolitica, o età della pietra; dal 6.000 al 3.000 a.C. regna invece un clima temperato e umido, e tutta la terra si copre di immense foreste; poi, dal 3000 all’800 a. C., le annate asciutte si alternano con quelle umide e il tempo è variabile. La civiltà egiziana fiorisce in un’epoca in cui il clima è particolarmente mite. E Aristotele (384-322 a. C.) nel primo trattato di meteorologia che sia mai stato scritto, la Meteorologica, afferma che, in seguito, la causa della decadenza dell’Impero egiziano fu la siccità. Invece la Grecia gode in quell’epoca di un clima così dolce, di tale mitezza di temperatura da dare origine a sua volta a un’altissima civiltà; questa si continua nella civiltà latina fino ai grandi sconvolgimenti atmosferici dei primi quattordici secoli della nostra era, che videro inverni talora tanto miti da far fiorire la vite, talora così rigidi che i carri potevano attraversare i fiumi gelati. Vengono poi, secondo alcuni geografi, 600 anni corrispondenti ad una piccola glaciazione che sarebbe ora sul finire, noi ci troveremmo dunque all’inizio di un nuovo periodo caldo.
■ Comunque, le fluttuazioni del clima sono ancora ben lungi dall’essere terminate: prova ne sia la variazione del livello dei mari chiusi e dei laghi alpini, variazione che rispecchia quella dei numerosi fattori climatici da cui essa dipende. Le precipitazioni e la fusione delle nevi fanno salire il livello di questi bacini, che l’evaporazione dovuta al vento, alla siccità, al cielo sereno tendono invece a far abbassare. Le acque del mar Caspio (che in complesso si è notevolmente ridotto dall’epoca in cui includeva anche il lago d’Aral) salgono e scendono anch’esse come quelle dei laghi. Il periodo di queste fluttuazioni, di undici anni e mezzo all’incirca, e cioè prossimo al periodo di variazione delle macchie solari, ha indotto gli scienziati a supporre un rapporto diretto tra clima e attività solare; torneremo poi su questo interessante argomento.

Le variazioni del clima nei tempi moderni

■ La sola conclusione che sia lecito trarre a questo riguardo dallo studio dei periodi preistorici o storici è che la temperatura non è così costante come si pensava al principio del secolo: essa è invece soggetta a notevoli variazioni. È difficile stabilire il periodo di queste variazioni, in più o in meno, ma a ogni modo un fatto è assodato: l’atmosfera non si riscalda né si raffredda sistematicamente.
■ In quale fase ci troviamo oggi? L’esame delle osservazioni eseguite sulla temperatura, sulle modificazioni della flora, della fauna e dei ghiacciai ci consente di rispondere a questa domanda.

La temperatura

■ Le osservazioni di temperatura, effettuate con tutta la precisione desiderabile in condizioni uniformi, costituiscono la base di una siffatta ricerca. Ma purtroppo questi documenti risalgono tutt’al più a un secolo; e quelli che si estendono a reti complete di stazioni, e che consentono studi sinottici, sono anche più recenti. Per di più, la compilazione e lo spoglio dei milioni di osservazioni che occorrerebbe analizzare per condurre a buon fine un tentativo di questo genere esteso a tutto il globo supera le possibilità di uno studioso isolato, e perfino quelle di un servizio nazionale anche largamente attrezzato.
■ Occorre perciò valersi dei risultati parziali ottenuti dai vari meteorologi che si sono dedicati a questo studio, nei rispettivi Paesi.
■ I mutamenti di clima più notevoli riguardano le regioni artiche. Sherhag e Loewe hanno osservato un aumento di temperatura che raggiunge 5° C nella baia di Disco e 9° C allo Spitzberg (tra le medie 1911-1920 da un lato, e 1931-1935 dall’altro): in quest’ultima località la temperatura è salita da -17°,6 C a – 8°,6 C.
■ Gli studiosi danesi registrano in Groenlandia un aumento di 3° C, mentre le parti settentrionali del continente americano e di quello asiatico accuserebbero un aumento medio di 2° C.

“Una stazione meteorologica in aperta campagna: la misura della temperatura (eseguita nella capannina a 2 m al disopra del suolo erboso) e quella della pioggia (raffigurata a lato) dànno ogni affidamento; i termometri di queste stazioni indicano in effetti aumenti effettivi di temperatura.”

■ Gli specialisti del Weather Bureau americano hanno riscontrato che, dal 1862, la temperatura di Washington è salita di 1°,9 C; nel Massachusetts (Blue Hill) l’aumento sarebbe di 1°,1 C negli ultimi 100 anni.
■ Nelle zone temperate europee il riscaldamento medio si aggirerebbe intorno a 1°C.
■ In Italia, un aumento di temperatura è evidente per molte stazioni, benché in genere si presenti in misura minore che non in altre regioni europee, a causa della nostra posizione più meridionale. Ad esempio, la temperatura media annua per alcune località, calcolata per il periodo 1866-1906, e per il periodo 1901-1930, mostra, come risulta dalla seguente tabella, un accrescimento ben definito, che va da 0°,4 C a 0°,1C. Esso è molto più significativo di quanto possa sembrare a prima vista, data la lunghezza dei periodi a cui le medie si estendono.

■ Un altro indizio, che sintetizza molto bene il fenomeno, sta nel numero degl’inverni con temperatura superiore o inferiore alla normale che si sono presentati negli ultimi decenni. Per Roma questi numeri, calcolati per successivi ventenni, sono i seguenti:

■ L’aumento degl’inverni caldi e la diminuzione di quelli freddi risultano chiari e innegabili.
■ Analizzando i dati in maniera più particolareggiata le cose diventano naturalmente più complicate e irregolari, ma il fenomeno principale permane. Ecco ad esempio le temperature medie stagionali e annue di Roma, calcolate per decenni dal 1855 al 1935.

■ Come si vede, pur attraverso oscillazioni più o meno sensibili, la temperatura è andata aumentando in tutte le stagioni, e specialmente in estate e in autunno. La temperatura annua è cresciuta esattamente di 0°,9 C. Tuttavia, in questi ultimi anni, sembra che il fenomeno accenni a regredire in misura apprezzabile.
■ Anche nelle altre regioni europee i servizi meteorologici competenti annunciano aumenti di temperatura, spesso notevoli. A Parigi la media annua è cresciuta di 1° C tra il 1880 e il 1949. La tabella seguente dimostra come quest’aumento sia pressoché regolare, e come esso interessi in modo speciale la primavera e l’autunno. L’inverno non accuserebbe invece variazioni notevoli, ciò che smentisce la pretesa influenza del riscaldamento domestico o industriale sull’atmosfera delle città.

■ Tuttavia il numero dei giorni di gelo rilevati in questo periodo diminuisce in modo piuttosto irregolare, e anche il numero delle giornate torride (oltre 30° C) non varia in maniera significativa. Ciò starebbe a provare che non sono i valori estremi, di carattere accidentale e passeggero, che influiscono sui risultati complessivi, bensì il valore medio della temperatura.
■ Dal polo Nord all’Europa Occidentale l’atmosfera si riscalda dunque da ottant’anni a questa parte. Si tratta di un fenomeno generale? Lysgaard, in una relazione presentata nel 1948 alla sezione di Climatologia dell’Unione Internazionale di Geodesia e Geofisica, afferma che il riscaldamento interessa l’intero emisfero boreale fino all’equatore incluso.
■ Gli scienziati danesi parlano perfino di un aumento medio della temperatura del globo di 0°,35 C, tra il 1910 e il 1940. Ma questa cifra è difficilmente controllabile, data la scarsa densità delle osservazioni in alcune regioni e in particolare nella zona media dell’emisfero australe. Tuttavia i meteorologi concordano nell’ammettere come un fatto accertato il riscaldamento dell’emisfero boreale dall’inizio del secolo in qua. Questo aumento di temperatura è particolarmente sensibile nelle regioni artiche e subartiche e va attenuandosi man mano che si procede verso sud.

Le variazioni della flora e della fauna

■ Anche sotto questo riguardo, i fatti storici dimostrano che le variazioni di clima non sono un privilegio dei tempi moderni. Senza risalire all’era della foresta di 4000 anni fa, il Cañon del Chaco (Messico), rivestito di foreste lussureggianti settecento anni or sono, è attualmente del tutto privo di vegetazione.
■ In Danimarca si possono oggi avere, in certi casi, due raccolti l’anno, mentre nei secoli passati se ne aveva uno solo. La flora e la fauna risalgono verso settentrione, e venticinque nuove specie di uccelli hanno arricchito le foreste del Paese; lo stesso fatto si nota nelle isole Färöer (8 nuove specie) e in Groenlandia (5 nuove specie).
■ Nell’Europa settentrionale, le betulle e le conifere guadagnano ogni anno terreno sulla regione della tundra e le terre arabili si estendono ormai fino ai confini dell’Oceano Artico.
■ L’Islanda e le zone circostanti, situate al limite della regione artica, presentano dal punto di vista climatico un interesse affatto speciale. Secondo James Fisher e Julian Huxley, si vede oggi pullulare colà l’anitra arlecchina, venuta dall’America e avvezza a climi meno rigidi; sei altre specie di uccelli vi hanno preso dimora, insieme con una farfalla dei nostri climi, la Vanessa del Cardo.

“Sono stati riuniti in questa cartina, oltre al numero di gradi in più, rilevati in varie stazioni dal 1880 in poi, anche gli altri principali fenomeni che questo riscaldamento sembra aver provocato.”

■ Ma soprattutto la fauna marina offre validi argomenti alla teoria del riscaldamento, dimostrando con i suoi spostamenti verso il Nord che l’acqua degli oceani subisce anch’essa un aumento di temperatura. Questa migrazione preoccupa i pescatori: le aringhe, i merluzzi e le specie affini risalgono verso settentrione (il merluzzo di una quarantina di chilometri all’anno), sicché vengono pescati già dal 1926 al largo delle coste della Groenlandia orientale.

La regressione dei ghiacciai

■ In questo caso la temperatura non è il solo fattore climatico determinante: anche le precipitazioni e i venti influiscono sul fenomeno.
■ Se gli Scandinavi segnalano una regressione dei ghiacci nell’anno 1300, va osservato che dal 1740 al 1745 si ebbe invece in Norvegia una rapida avanzata: da quell’epoca, il ritiro fu dapprima lento, poi più rapido. I ghiacciai dell’Islanda han no invece raggiunto la massima estensione nel 1880 e da allora continuano a regredire.
■ La costa di Murmansk, un tempo invasa dai ghiacci, è invece per lo più libera oggi.
■ I ghiacciai montani perdono anch’essi gradatamente terreno, non solo in Groenlandia, ma anche in Europa, sulle Alpi, fin dal 1820.
■ Secondo il nostro Vinassa de Regny, la Mer de Glace dal 1826 è regredita di 370 m; mentre il ghiacciaio del Grindelwald si è arretrato dal 1855 di 610 m. È tuttavia da notare che, in genere, avanzate e regressi si alternano con un ritmo piuttosto capriccioso. Altri ghiacciai alpini sembrano invece essere regrediti in modo regolare di 40 o 60 m complessivamente dal 1892 ad oggi.

■ Un risultato inatteso merita di essere segnalato: l’attuale fusione dei ghiacciai porta alla luce regioni già coltivate nel Medio Evo, ciò che dimostra come l’attuale periodo di riscaldamento non sia un fatto senza precedenti nella storia climatica della Terra.

Le cause

■ Accertato che l’epoca attuale è caratterizzata da un aumento generale della temperatura, a quale causa va attribuito questo fenomeno?
■ Probabilmente a energie calorifiche extraterrestri, poiché pare assodato che il fenomeno interessi per lo meno l’intero emisfero settentrionale. Essendo il sole la sorgente di calore che regola le vicende climatiche della terra, sembrerebbe logico attribuire alle sue variazioni la causa di un simile mutamento. Ma il problema è in realtà assai più complesso di quanto sembra.
■ L’energia solare ci giunge filtrata e modificata dagli strati superiori dell’atmosfera (strato ionizzato, strato di ozono), anch’essi di spessore variabile; inoltre il mutevole effetto di questi schermi non è il medesimo sulle diverse radiazioni dello spettro solare, e occorrerebbe quindi studiare separatamente il comportamento di ognuna di esse. Ma per far ciò mancano anzitutto i dati (osservazioni ad altissima quota eseguite in grande numero); per di più, come sempre avviene nel campo dei fenomeni atmosferici, l’interazione dei vari fattori complica straordinariamente la ricerca.
■ Supponiamo infatti di poter determinare il ciclo di variazione degli effetti prodotti da una data radiazione solare sull’energia calorifica ceduta all’atmosfera: non per questo i risultati riuscirebbero determinati. A un aumento dell’apporto di calore corrisponderebbe una maggior fusione deighiacci, una maggiore evaporazione, forse una più rapida circolazione dell’atmosfera; ma ne risulterebbero anche nuvole più abbondanti e piogge più copiose, e di conseguenza un cambiamento del rivestimento vegetale, almeno per alcune regioni. E certamente questo cambiamento avrebbe a sua volta delle ripercussioni sulla piovosità e sulla temperatura. Come determinare l’effetto finale sul clima di queste modificazioni a catena?
■ D’altronde, anche facendo risalire le cause delle variazioni di clima alle più alte regioni della atmosfera o addirittura al sole stesso, rimarrebbe ancora da chiarire la causa d’ordine superiore che regola le variazioni di questi fattori (strati schermanti o attività solare).
■ Rimaniamo dunque coi piedi sulla terra e contentiamoci di considerare le cause d’ordine secondario, a noi vicine, che hanno sede nell’atmosfera terrestre.

L’influenza dei ghiacci polari

■ Petterson enunciò prima della prima guerra mondiale un’ipotesi che gode tuttora di un certo favore. Le variazioni di clima sarebbero dovute a maree dei grandi fondi oceanici (Artico ed Atlantico). Queste maree, causate dalla pressione esercitata dai ghiacciai polari sulle acque più calde degli strati profondi, seguirebbero il ritmo della evoluzione di quei ghiacciai, ossia avrebbero un periodo che va dai 1600 ai 1700 anni.
■ Le masse d’acqua fredde delle regioni polari, raggiungendo il fondo marino, procederebbero fino ai tropici, dove si riscalderebbero e verrebbero, dopo il loro ritorno alla superficie, ad apportare le loro calorie alle regioni settentrionali.
■ Sembrerebbe quindi che, una volta iniziato il fenomeno, esso dovesse continuare fino al momento in cui i ghiacciai polari, sufficientemente ridotti, non riuscissero più a esercitare sulle acque sottostanti una pressione sufficiente ad alimentarne il moto. Allora, le acque riscaldate non progredirebbero più abbastanza verso Nord, i ghiacciai si estenderebbero nuovamente e il ciclo ricomincerebbe un’altra volta.
■ La teoria è ingegnosa, ma sussiste un dubbio: i ghiacciai si sciolgono perché l’atmosfera si riscalda, o non è piuttosto vero il contrario, e cioè, che l’atmosfera si riscalda perché i ghiacciai fondono per effetto delle correnti marine? In altre parole, il regresso dei ghiacciai polari è il risultato o la causa del mutamento? Il problema rimane, come si vede, insoluto.

La questione della circolazione atmosferica

■ Angström, dal canto suo, parla di un’intensità variabile della circolazione atmosferica, che potrebbe spiegare l’aumento delle piogge in Norvegia e in Islanda durante gli ultimi quarant’anni. Una circolazione particolarmente intensa provoca afflusso di masse d’aria calda nelle regioni settentrionali del globo, donde un aumento di temperatura e di precipitazioni.
■ Il fatto che la variazione positiva della temperatura cresca con la latitudine (1° C nell’Europa centrale, 3° C nell’Artico) indica effettivamente che questa variazione trae origine da un afflusso, da Sud verso Nord, di aria proveniente dalle regioni calde. Si presenta quindi un problema di circolazione atmosferica generale: al riguardo la più recente teoria è quella proposta dall’insigne meteorologo svedese Petersen.
■ Il trasporto delle masse d’aria si valuta in chilogrammi d’aria spostata per metro quadrato e per secondo su un certo numero di zone prefissate (ad esempio tra meridiani e paralleli distanti 5°).
■ Come dimostra l’equazione del moto delle masse d’aria, il trasporto è proporzionale alla differenza di pressione atmosferica tra due punti; esso può quindi essere valutato mediante le carte della pressione media e si può giudicare, in base alla posizione media dei centri d’azione (cicloni e anticicloni stabili), il tipo di clima predominante.
■ Risulta in tal modo che da vent’anni in qua l’anticiclone siberiano ha mostrato la tendenza ad estendersi verso la Scandinavia, mentre l’alta pressione dell’America settentrionale si allargava a sua volta verso Est. Tra le due aree si nota una diminuzione di pressione, sull’Islanda e sul Mare di Norvegia.
■ Le leggi meteorologiche relative alla circolazione generale dell’atmosfera, permettono di concludere che queste modificazioni portano alle seguenti conseguenze: aumento del trasporto d’aria verso Nord, dall’Europa centrale alla Scandinavia, e contemporaneo aumento del trasporto verso la Islanda e il Mare di Norvegia delle masse d’aria provenienti dalle regioni più settentrionali dell’America e dell’Atlantico.
■ D’altra parte, l’aumento dell’attività ciclonica nella regione di Terranova consente uno scambio più rapido e intenso tra le zone Nord e Sud dell’Atlantico nord-occidentale. Da ciò deve necessariamente risultare un riscaldamento delle aree settentrionali e un aumento delle precipitazioni.
■ Questo fenomeno continuerà? Essendone ignota la causa reale, la previsione è difficile ma, fino a prova contraria, sarà opportuno attenersi alla saggia opinione degli esperti danesi i quali dichiarano, non senza prudenza, che esiste la possibilità di predire un ritorno eventuale alle condizioni climatiche esistenti prima dell’inizio dell’attuale periodo mite.”