Da Rivista Enciclopedica Contemporanea, dispensa di gennaio, 1919.
Di Alberto Ascoli.
“■ «È disgraziatamente più che certo che fra alcuni mesi una seconda e più terribile ondata influenzale si riverserà sull’Europa»: questa è stata la profezia dello spettabile Medical Research Commitee di Londra, quando, nello scorso ottobre, era appena superato l’urto violento della pandemia d’influenza, quando incominciava a calare il numero delle vittime, si riaprivano le scuole ed i teatri e si toglievano ad una ad una le severe norme igieniche adottate dalle autorità. Non fu profezia ciò che annunciarono i sapienti inglesi, ma cognizione tratta dalla storia che insegna come, a differenza della semplice curva ascendente e discendente seguita da epidemie d’altra natura, la febbre grippale o influenzale traccia nel suo decorso una grande e due o tre piccole onde, che rappresentano rispettivamente la pandemia seguìta dalle epidemie ritardatarie, per perdersi infine nell’irregolare tracciato dei casi endemici per lo più legati alle stagioni fredde ed affatto isolati.
■ Appunto una di queste epidemie ritardatarie si è abbattuta l’autunno scorso sopra alcune regioni settentrionali del nostro paese e tale fatto giustifica la mia parola sulle colonne di questa rivista, parola che vuol essere di monito e d’insegnamento, vuol mettere in guardia dai pericoli più gravi e insegnare ad affrontare serenamente la situazione senza cadere in ridicole e perniciose paure. Purtroppo è stato grande l’allarme destato nella vecchia Europa dal dilagare dell’attuale pandemia: le discussioni mediche hanno oltrepassato gli argini dei giornali scientifici, hanno dilagato dalle accademie ed il pubblico si è impadronito dell’argomento e gli ha conferito un sapore di fantastica esagerazione. Sarebbe desiderabile che nozioni più esatte, apprezzamenti più giusti si facessero strada tra le popolazioni per snebbiare pregiudizi, diradare allarmi ingiustificati, eliminare dicerie fantastiche; sarei lieto se il mio dire potesse riuscire utile in questo intento.
■ Se dobbiamo credere agli storici delle epidemie, questa epidemia d’influenza che infierisce ora è la 39ma dalla nascita di Cristo. Veramente il primo accenno ad un’epidemia catarrale si può scorgere nel morbo che dominò in Roma l’anno 488 avanti Cristo e, secondo Dionigi d’Alicarnasso, non si estese più in là che a far de malati. Ma contando dall’éra volgare fino alla metà di questo secolo si hanno 37 epidemie sulle quali non può sussistere dubbio alcuno. L’origine delle epidemie medioevali era da ricercarsi nell’Oriente e così si vuole pure che quella che infierì nel 1889-90 fosse dovuta a certi tappeti venuti dal Turkestan e messi in vendita a Parigi.
■ Quell’epidemia, di cui molti di noi conservano lo sgradevole ricordo, dalla Francia venne in Italia: esordì nel Genovesato e nel Veneto nel dicembre 1889, poi si estese nell’Italia Centrale, che ne fu invasa nel successivo gennaio, come ne furono colpite le provincie meridionali e le isole. Da Genova l’influenza passava contemporaneamente a Novi, ad Alessandria, e così in tutto il Piemonte e nella Lombardia. L’epidemia, che nel gennaio 1890 aveva invaso tutto il paese, andò declinando nel febbraio e più nel marzo e si spense nell’aprile 1890. Ma ecco comparire un’epidemia ritardataria nell’inverno 1890-91 con un aumento del numero dei malati e con lo sviluppo di preferenza di forme catarrali delle vie respiratorie; poi si arrestò per ridestarsi nella seconda quindicina di dicembre del 1891, raggiungendo il maximum nel gennaio 1892.
■ Parallelamente alle epidemie influenzali umane sembrano decorrere, secondo alcuni, epidemie d’identica forma nel cavallo (pleuro-polmonite, influenza equina), come nel 1693, nel 1792, nel 1767, nel 1775 e nel 1890; dall’epidemia attuale pare siano state colpite nell’Africa del Sud le scimmie, lasciando i cadaveri a centinaia lungo le strade, e attualmente con la recrudescenza delle forme influenzali coincide una impressionante moria dei bovini.
■ Sarà, impossibile narrare la storia esatta dell’epidemia influenzale attuale fintanto che non sono completati nei vari paesi del globo i relativi dati statistici; sembra però che fin dalla primavera del 1918 i casi d’influenza fossero numerosi negli eserciti alleati e nelle file del nemico; in maggio vi fu una vera e grave epidemia in Spagna e il flagello si estese con una rapidità fulminea in Svizzera, in Francia e in Inghilterra, in Italia, negli Stati Uniti d’America, nei grandi centri delle Indie inglesi, nell’Africa ed altrove. A detta di un deputato tedesco la mala piega che la guerra prese per il suo paese andrebbe attribuita, oltreché alla comparsa degli americani sul fronte, alla febbre spagnuola che in pochi mesi mise fuori combattimento centinaia di migliaia di soldati del Kaiser. Se poi vogliamo credere a quanto si legge nella «Nature» le vittime dell’influenza in tutto il mondo ammonterebbero secondo calcoli più seri a circa sei milioni; solo negli Stati Uniti il morbo pare abbia ucciso 350.000 persone, cioè quasi il decuplo di quello che la guerra è costata agli alleati americani!
■ Bisogna risalire alle grandi epidemie del medioevo per trovare un flagello che abbia menato tanta strage. In queste la media di mortalità era anche maggiore, ma il morbo rimaneva più localizzato; l’epidemia influenzale attuale invece si è estesa a tutti i paesi del globo ed ha di molto superato in gravità le precedenti pandemie d’ugual natura.
■ Non vi è dubbio che la ragione di tale non mai raggiunta gravità ed estensione debba attribuirsi allo stato di guerra dal quale stiamo uscendo: nella primavera e nell’estate dello scorso anno fu continuo ed attivissimo il trasporto di truppe dall’America, dal Canada, dall’Australia e dall’Africa verso la linea di fuoco degli Alleati, come non mancò la migrazione in senso opposto. Questo trasporto, fatto su di un numero relativamente ridotto di navi e sotto la continua minaccia dei sottomarini, doveva necessariamente moltiplicare il pericolo della diffusione di malattie contagiose. D’altra parte nemmeno la popolazione civile poté usufruire sempre della protezione sanitaria che le veniva di diritto in epoche normali. Il nostro popolo pur rimanendo nell’interno del paese ha fieramente combattuto la sua guerra, esposto quotidianamente a privazioni d’ ogni specie; nelle ansie continue per esseri cari che trovavansi nella mischia, la salute non poteva non averne un danno e gli organismi indeboliti cadevano più facilmente in preda al contagio quando questo dai reparti di truppa, nei quali si verificava una morbilità anche del 90 %, si riversò sulla popolazione civile di diverse nostre provincie.
■ Vi fu da principio confusione e sbalordimento: si chiamò il contagio febbre tridua, febbre a carattere reumatico, febbre da pappataci, dengue, febbre spagnuola e persino peste polmonare. Non ci sì è accontentati del vecchio nome italiano di influenza, ma se ne coniarono dei nuovi, procurando così inutili preoccupazioni alle autorità e facendo sorgere il panico tra la gente che seguiva ansiosa l’ impressionante aumento di morbilità.
■ Ma poco a poco le confusioni scomparvero: la caratteristica costanza del quadro clinico col suo inizio repentino, colla sua grave atonia ed astenia, con le frequenti complicazioni polmonari e la sua facilità alle recidive, destò la memoria di epidemie passate e non lasciò più dubbio sulla natura della malattia che da tutto il corpo medico venne riconosciuta come grippe epidemica o influenza: bisognerebbe non dare più il suo valore alla sintomatologia clinica se si volesse oggi negare che questa sindrome fa parte dell’influenza.
■ Come la malattia offre un quadro uniforme nei sintomi, nell’andamento, nelle complicazioni, così la epidemiologia presenta pure un tipo singolare nell’uniformità del decorso. I primi casi della malattia passano in generale inosservati: spesso i malati della forma lieve, che è la più frequente, non chiamano nemmeno il medico e seminano l’infezione. Si costituiscono dei focolai da cui dilaga poi rapidamente l’infezione fino a colpire interi paesi: i parenti, gli amici divengono i naturali infermieri dei malati e ammalano anch’essi. Ho udito un medico militare riferire come in un paesetto con abitazioni che lasciavano molto a desiderare, camminando per le vie, dalle porte semiaperte si intravedevano dei letti stipati da malati, fin sei in uno stesso letto!
■ La fulminea rapidità di propagazione si accompagna alla comparsa di forme gravi e di complicanze polmonari (polmoniti, pleuriti), tanto più impressionanti in quanto che non risparmiano gli individui giovani e robusti, ma anzi tra essi mietono delle vittime quasi con predilezione.
■ Più che per l’estrema contagiosità l’influenza appunto incute spavento per la frequenza delle complicazioni broncopolmonari spesso letali. Infatti l’estrema contagiosità, l’influenza l’ha in comune con altre malattie infettive, come la varicella, il morbillo, che non ci fanno certamente troppo paura. Perché dunque questa facilità ad infezioni secondarie che poco o nulla hanno a che vedere con l’influenza stessa? Quale è Ia causa dell’influenza, quale quella delle complicanze e che specie di rapporto esiste tra queste e quella?
■ Come è noto universalmente, noi siamo circondati da miriadi di piccoli e perfidi nemici invisibili, che cercano di penetrare nel nostro corpo in mille modi astuti; coll’aria che respiriamo, coll’acqua e col latte che beviamo, con tutti gli alimenti di cui ci nutriamo e, superato che abbiano le barriere di difesa del nostro organismo, tendono a darci battaglia.
■ La scienza, armata di mezzi visivi ultrapotenti, ha saputo individualizzare e smascherare ad uno ad uno tutta questa schiera nemica: ha chiamato bacillo della difterite quello che tenta di soffocare ed uccidere i nostri bimbi; bacillo di Koch quello che è causa della tubercolosi, e così di seguito.
■ In quanto alla causa dell’influenza la scienza scopritrice dei microbi, la batteriologia, non è ancora al termine delle sue indagini. Cercando, essa ha trovato negli ammalati di influenza un microrganismo estremamente piccolo, più piccolo di quasi tutti gli altri batteri, e che difficilmente cresce e si moltiplica nei comuni terreni nutritizi sui quali attecchiscono senza difficoltà gli altri germi. Questo microbo, che si chiama bacillo di Pfeiffer, col nome dello scienziato che lo trovò per primo, si trova con molta frequenza, ma non sempre, nei casi di influenza: esso è poco resistente alla luce, al calore, e non vive a lungo fuori dell’organismo se non gli si prepara un ambiente che contenga del sangue o altro liquido organico simile. Vi fu però qualche batteriologo che non solo vide casi tipici d’influenza in cui non si poté trovare il bacillo di Pfeiffer, ma viceversa trovò il bacillo di Pfeiffer dove non vi era influenza. Da ciò alcuni — non tutti — conclusero che la vera causa dell’influenza è ancora da scoprirsi e quindi rinnovati sforzi per trovare il nemico che tanto bene sapeva celarsi. Anzi recentemente vi furono dei batteriologi che raccolsero del materiale dal naso e dalla bocca di individui colpiti d’influenza, lo fecero passare attraverso un filtro di porcellana che trattiene in genere tutti i microbi, ed introdussero questo filtrato nel naso di persone o di scimmie sane. Con questo trattamento fecero ammalare d’influenza gli individui e le scimmie, tanto da credersi autorizzati ad ammettere di avere trovato la vera causa della malattia in un virus filtrabile di piccolezza inafferrabile coi nostri soliti mezzi di ricerca. Ma a dire il vero neanche questa soluzione del problema trova unanime consenso poiché altri scienziati di fama ripeterono l’esperimento con risultato negativo; la batteriologia quindi cerca ancora, cerca affannosamente con la speranza di smascherare ed identificare la causa vera dell’influenza.
■ Risolto invece da tempo è il problema dell’origine delle complicazioni nelle quali si rintracciano costantemente pneumococchi, streptococchi e talvolta solo o associato a loro il bacillo di Pfeiffer. Il pneumococco e lo streptococco, in vero, sono vermi che abitano anche nell’individuo sano senza riuscirgli di alcun danno. Ma in circostanze speciali questi bacteri da innocui diventerebbero, secondo le vedute correnti, offensivi; essi allora dalla bocca e dal naso penetrerebbero negli organi interni, producendovi bronchiti, polmoniti, pleuriti, ecc. e facilitando l’invasione anche ad altri microorganismi.
■ Quale rapporto esiste fra la causa primaria dell’influenza, che tuttora ignoriamo, e la causa nota delle complicazioni broncopolmonari? Questo problema è stato vivamente illuminato da recentissimi studi sulla patologia della malattia, i quali dimostrano la frequenza del reperto di abbondanti emorragie nelle mucose, nelle sierose e nei polmoni. Sembra che tutto il processo morboso colpisca in principio essenzialmente e particolarmente i vasi sanguigni del polmone in modo da fare da battistrada all’infezione secondaria. In altre parole l’agente causale primario dell’influenza non farebbe che demolire il baluardo di difesa che la natura ha posto nelle nostre vie respiratorie superiori a protezione degli organi posti più all’interno: esso rende facile la vittoriosa avanzata ai microbi di dimensioni maggiori, agli streptococchi ed ai pneumococchi, eventualmente anche ai bacilli di Pfeiffer.
■ Stando così le cose, con quali mezzi possiamo noi premunirci dall’influenza?
■ Se teniamo presente la grave contagiosità del virus dell’influenza e la rapidità con esso si propaga facilmente colle goccioline di sputo, coi colpi di tosse ed i starnuti, noi comprenderemo senz’altro come nessun mezzo possa garantirei una protezione assoluta in tempo di epidemia. Ne siamo sani eviteremo, per quanto la nostra coscienza ce lo consenta, i contatti diretti, sopratutto il vis à vis cogli ammalati, eviteremo di frequentare ambienti troppo affollati ed eviteremo infine gli strapazzi di qualunque genere, onde conservare il nostro corpo in buone condizioni generali. Fortunatamente il contagio influenzale è assai labile ed incapace di vivere a lungo fuori dell’organismo; all’aria, nella polvere, sugli oggetti esso si attenua dopo breve tempo sì da diventare innocuo. Non dobbiamo per ciò nutrire troppe preoccupazioni per la disinfezione degli oggetti ed ambienti che servirono ad ammalati; essa si otterrà facilmente coi comuni disinfettanti e sarà favorita spalancando le finestre, se il tempo lo consente, e lasciando penetrare luce ed aria che sapranno agevolare il compito dei disinfettatori. Dunque non abbiate troppa paura dell’influenza stessa che è fragile creatura ch’un soffio di vento recide: cercate di conservarvi sani e siate sobri perché il vostro corpo non abbia a risentire troppo danno e possa facilmente resistere se, nonostante le precauzioni, la malattia vi assale. Premunitevi invece possibilmente contro le complicazioni con l’iniezione di un vaccino profilattico misto, che contenta il pneumococco, lo streptococco ed il bacillo di Pfeiffer. Il vostro organismo con la vaccinazione acquista l’immunità ed ha allora poche probahilità di contrarre la polmonite o la pleurite e i migliori affidamenti, per superarle se pur le contraesse.
■ Non vorrei però che le mie parole facessero prendere alla leggera la comparsa della grippe nelle nostre case: dirò anzi che poche malattie richiedono tante cure, tante precauzioni come l’influenza, che vuol essere sorvegliata da un medico, onde sostenere il cuore durante la febbre, onde riconoscere alla prima comparsa ed isolare i focolai pneumonici, onde evitare le recidive tanto frequenti in questa malattia.
■ Non è più logico ai tempi nostri il panico e la fuga dinanzi ai morbi diffusivi: chi sta a capo d’una famiglia, ad una scuola, ad una officina, chiami intorno a se i propri protetti, come la chioccia chiama i pulcini quando un pericolo li minaccia, diffonda tra loro le cognizioni utili per salvaguardare la salute, li risparmi da strapazzi eccessivi, gli isoli sorvegli e porta sotto cura quelli che presentano i primi sintomi della malattia, adotti le misure profilattiche del caso, insegni ai malati e convalescenti come comportarsi per non essere fonte di contagio ad altri. Con quest’azione salutare consona ai nostri tempi di progresso e di fraternità un popolo moderno dovrebbe saper fronteggiare le epidemie.”