Otto ore di lavoro (1919)

Da Rivista Enciclopedica Contemporanea, dispensa di agosto, 1919.
Di Filippo Virgilii.

“II Consiglio Superiore del Lavoro, che fa parte del Ministero d’Industria e Commercio, ha approvato uno schema di legge sulla durata dell’orario di lavoro nell’industria, nel commercio e nell’agricoltura. L’art. 1 di questo progetto è formulato così: «Dal 1° gennaio 1920 la durata massima normale della giornata di lavoro degli operai ed impiegati nelle aziende industriali e commerciali di qualunque natura, pubbliche o private, laiche o religiose, anche se abbiano carattere di istituti d’insegnamento professionale o di beneficenza, come pure negli uffici, nei lavori e nei servizi pubblici, negli ospedali, e dovunque è prestato un lavoro salariato o stipendiato alle dipendenze e sotto il controllo diretto altrui, esclusi i lavori domestici, non potrà eccedere le 8 ore al giorno o le 48 settimanali di lavoro effettivo».
Se questa proposta acquisterà il carattere di una vera e propria legge avremo, dunque, con l’anno prossimo la istituzione delle otto ore di lavoro, cioè di una misura che è già attuata in alcune industrie e che si crede opportuno di generalizzare a tutte le attività di lavoro, qualunque sia la loro natura. Anzi questa misura di otto ore rappresenta il massimo della giornata normale di lavoro.
L’articolo primo del muovo disegno di legge, che abbiamo voluto riportare nella sua integrità, parla di tutte le aziende, pubbliche o private, laiche o religiose, manuali o intellettuali, ma gli articoli successivi contengono qualche restrizione e qualche criterio di ripartizione.
L’art. 2 si riferisce alle aziende agricole, e stabilisce che le disposizioni della legge sono applicabili all’avventiziato, e in genere, al lavoro a salario, mentre s’intendono esclusi, fino a nuova disposizione, i contratti di lavoro a compartecipazione. S’intende, quindi, che un contadino, il quale lavora terreno proprio o terreno preso in affitto, lavora come crede e quanto crede, e non ha bisogno di render conto a nessuno della sua occupazione: diventa un lavoro domestico che, come avverte l’art. 1, sfugge a qualsiasi controllo. Così il colono, al quale è affidata la coltivazione di un podere, e che viene compensato con la ripartizione del prodotto, non ha un orario di lavoro; egli sa benissimo che il prodotto della terra è regolato dalla sua attività, e darà il maggior lavoro per ottenerne il maggior beneficio.
Si capisce che il bracciante, l’operaio agricolo, che vive del suo salario quotidiano, ha interesse a misurare la durata della giornata di lavoro e approfitterà delle disposizioni della nuova legge; ma è pur noto che i lavori agricoli dipendono dalle condizioni meteoriche e dalle esigenze stagionali: quando piove non si può stare in aperta campagna a lavorare; durante l’inverno il lavoro è assai limitato, mentre nelle altre stagioni abbonda, e durante il raccolto è ricercatissimo. Abbiamo, cioè, dei periodi e delle circostanze in cui le otto ore giornaliere sono soverchie, e altri periodi in cui rappresentano una piccola parte del lavoro necessario. E l’art. 3 contempla questi casi.
Esso dice: Nei casi di necessità imposte da esigenze tecniche o stagionali non altrimenti superabili, le 8 ore giornaliere o le 48 settimanali potranno essere superate, purché la durata media di lavoro entro determinati periodi non ecceda quei limiti, secondo norme stabilite o da decreti governativi, emanati su conforme parere del Comitato permanente del lavoro, oppure da accordi stipulati fra le parti interessate, e ratificati, con provvedimenti di carattere generale o caso per caso, dal Comitato permanente del lavoro e debitamente pubblicati.
Si capisce che siamo sempre nella categoria dei salariati: il contadino e il colono misurano la giornata di lavoro dalla levata al tramonto del sole, e spesse volte ricorrono alla lumiera ad olio per governare gli animali, che hanno lavorato durante tutto il giorno. Ma anche il salariato si dovrà adattare alle condizioni meteoriche e alle esigenze stagionali e sarà difficile determinare dei compensi di orario. Il lavoro agricolo è profondamente diverso da quello industriale: la campagna aperta, la possibilità di utilizzare qualche prodotto, la maggiore domesticità che si stabilisce fra contadino e bracciante, consentono norme e regole diverse.
Ma è proprio vero che, in qualunque genere di lavoro, non si può superare la durata complessiva delle 48 ore settimanali? Lo stesso disegno di legge considera il lavoro straordinario o complementare, e all’art. 4 stabilisce che, in vista di speciali esigenze e in seguito ad accordi, sarà tollerata l’aggiunta alla giornata normale di lavoro di un periodo straordinario o complementare, che non superi le due ore al giorno o le dodici ore settimanali, o una durata media equivalente entro un periodo determinato, a condizione, in ogni caso, che il lavoro straordinario venga computato a parte e rimunerato con un aumento di paga, su quella del lavoro ordinario, non inferiore al 25 per cento, o con un aumento corrispondente sui cottimi.
La durata del lavoro può aumentare purché aumenti il compenso normale. In molte industrie, specie in quelle meccaniche, si può avere un lavoro ininterrotto, alternando squadre di operai di otto in otto ore: nessun industriale avrà bisogno di richiedere agli operai un lavoro straordinario, ed è probabile, invece, che l’operaio lo domandi, ma, in tal caso, è difficile che chieda e ottenga un salario superiore del 25 per cento a quello normale. Questa disposizione ci sembra di difficile applicazione; nelle stagioni a lunga giornata ci saranno molti operai che avranno interesse a lavorare non meno di dieci ore e magari più, e saranno soddisfatti di aumentare normalmente il salario; così gli impiegati delle aziende industriali e commerciali.
Ora si verifica questo fenomeno: ci sono varii impiegati delle amministrazioni pubbliche che stanno al loro ufficio sette od otto ore, ma ne dedicano altre in qualche azienda privata. Il concetto informatore della legge è questo: l’uomo non deve lavorare più di otto ore per non stancarsi eccessivamente, per ragioni igienico-sanitarie, e per dedicare qualche altra ora alla sua coltura, al suo perfezionamento morale. Per lo stesso concetto, qualsiasi amministrazione può esigere che i suoi operai e impiegati non dedichino le ore libere ad altri lavori, perché questo pregiudica l’efficacia dell’occupazione loro normale; ma questo non si verifica. Ne la nuova legge controlla la misura del lavoro per garanzia degli operai e degli impiegati, controllerà pure il lavoro straordinario eseguito senza misura di tempo fuori della propria azienda o del proprio ufficio? No certamente, perché questo potrebbe sembrare una limitazione della libertà individuale. ma è una iniquità di trattamento e di garanzia, che darà motivo a contrasti e a disagi.
L’art. 5 considera i reclami presentati da chiunque e le controversie eventuali sulla emanazione, stipulazione e applicazione degli orari di lavoro, stabilendo che vengono composti dall’Ispettorato del lavoro nella sfera della sua normale competenza o, eventualmente, sottoposti al giudizio del Comitato permanente del lavoro. Avverrà certamente questo: i lavoratori, qualunque sia la natura della loro attività, esigeranno la rigorosa applicazione della legge per avere una maggiore disponibilità di orario, da poter occupare altrove, ma anche i direttori di aziende e i capi delle amministrazioni invocheranno leggi speciali per la istituzione di particolari uffici di controllo e di giudizio delle controversie.
Vi possono essere dei casi di forza maggiore e di imminente pericolo nei quali il lavoro potrà essere prolungato al di là dei limiti finora indicati; e l’art. 6 riconosce la legittimità di questo prolungamento, che, però, dev’essere subito denunziato all’ispettorato del lavoro, il quale provvederà al suo disciplinamento. Appena la legge andrà in vigore si verificherà una riduzione di orario in parecchie aziende, ma non verranno diminuiti i salari o gli stipendi.
L’art. 7 contempla il caso di lavoro oltre orario a domicilio o per altre aziende, di cui ci siamo dianzi occupati; e lo vieta rigorosamente, ma avverte che questa disposizione non riguarda gli impiegati, né chi lavora oltre orario per proprio conto, né chi presta un lavoro di diverso genere da quello abituale del suo mestiere. Ci sono, dunque, delle concessioni, le quali provocheranno certamente quelle controversie alle quali abbiamo accennato. L’impiegato dispone come vuole del suo tempo oltre l’orario d’ ufficio, l’operaio può dedicarsi a un altro mestiere, che avrà una naturale affinità con quello normale. Le otto ore di lavoro sono, dunque, una misura massima per assicurare un’entrata normale, non per garantire un riposo e un perfezionamento.
Il disegno di legge contiene altri articoli per regolare le contravvenzioni, per la redazione di regolamenti particolari, perle deroghe temporanee consensuali, per disposizioni transitorie.
Esso ha dato origine a una lunga e animata discussione in diverse sedute del Consiglio superiore del lavoro. Ne è stato relatore l’on. Filippo Turati, il quale ha illustrato in principio le parti fondamentali del progetto di legge e i temperamenti proposti per agevolarne l’applicazione, e, nel corso della discussione, ha ribattuto con forti argomentazioni le varie obbiezioni mosse al progetto da parte delle rappresentanze padronali come quelle sollevate dalle rappresentanze operaie.
Durante la discussione generale gli industriali affermarono la necessità di orientarsi con quanto sarà fatto all’estero nella disciplina degli orari di lavoro e chiesero un periodo un po’ più lungo di attesa per 1’applicazione della legge; la discussione degli articoli occupò le sedute di quattro giorni. Non vi furono modificazioni sostanziali allo schema proposto dal Comitato permanente del lavoro, ma furono affacciate e illustrate molte difficoltà di applicazione, alle quali si stabilì di provvedere con speciali regolamenti: si fece la netta distinzione fra i lavori continui e i lavori che, per natura loro, sono discontinui; fu emesso il voto che per i minatori l’orario massimo si riducesse a sette ore.
Dopo una discussione animatissima, che manifestò anche fra i rappresentanti delle organizzazioni operaie tendenze diverse, fu votato il seguente Ordine del giorno:
«Il Consiglio Superiore del Lavoro:
mentre approva lo schema della proposta di legge per le otto ore di lavoro;
invita ed impegna gli industriali, e loro organizzazioni, e le organizzazioni lavoratrici, che stipularono concordati per l’orario di otto ore, a vigilarne la piena e leale esecuzione e a propagandarne l’estensione a tutte le aziende similari;
fa voti che il Governo provveda a disciplinare, con una legge fissante il minimo dei salari e la quantità delle consegne di commesse di lavoro, il lavoro a domicilio, particolarmente delle lavoratrici dell’abbigliamento e somiglianti, nel quale l’applicazione diretta della legge delle otto ore si ravvisa praticamente non possibile;
che l’età scolastica e quella di ammissione al lavoro sia portata, per tutti i fanciulli e per tutte le industrie agli anni 16;
che in occasione della riforma, già allo studio, del Consiglio Superiore del Lavoro, o anche prima di essa, siano ampliati l’attività ed i poteri dell’ Ispettorato del lavoro in ragione delle nuove e sempre crescenti esigenze;
che sia provveduto alla riforma dell’istituto dei probiviri giusta gli studi da tempo allestiti, e particolarmente all’abolizione di ogni limite alla competenza per valore della Giuria, e alla estensione della competenza probivirale alle controversie ed ai conflitti collettivi;
che siano estesi al pomeriggio del sabato i divieti attualmente esistenti per la vendita degli alcoolici, e siano prese altre saggie misure per antivenire all’ebetizzamento prodotto dalle osterie, alle quali i più brevi orari di lavoro procureranno nuova e maggiore clientela;
e, in vista delle accresciute disponibilità di tempo e di energia che gli abbreviati orari riservano alle classi lavoratrici;
augura e richiede che una coraggiosa e lungimirante politica dello Stato provveda, con opportuni finanziamenti, a risolvere radicalmente il problema delle abitazioni operaie e contadine in tutta la penisola; a favorire attivamente ogni forma di rapida disanalfabetizzazione e di sviluppo della coltura generale e professionale del proletariato: a dotare ogni Comune di biblioteche popolari e di case della coltura, riservando anche all’uopo appositi locali nei progetti di nuovi edifici scolastici approvati dallo Stato».
L’on. Turati, nella sua relazione veramente pregevole su questo argomento, non si è dissimulata la gravità del momento in cui è attuata la legge delle otto ore di lavoro; e dopo aver accennato alle condizioni criticissime della finanza nazionale, le quali richiederebbero piuttosto in quest’ora terribile un maggior periodo di lavoro per le necessarie ricostruzioni, si preoccupa altresì della portata della riforma stessa per il suo allearsi a pretese di più laute mercedi, conseguenti al crescente caro-viveri, non saputo o non potuto infrenare, onde un circolo vizioso, anzi una spirale interminabile di elevamenti delle paghe, di rincrudimenti nei prezzi, di nuovi elevamenti delle mercedi, ecc., che, insieme, è inevitabile ed ha del pazzesco. E anche grave pel suo coincidere con un diffuso stato d’animo di aneliti sconfinati e di reluttanza ad ogni disciplina (produrre meno e godere e consumare di più!), che è un po’ in tutte le classi, che si rivela, fra altro, nella epidemia degli scioperi, proclamati e prolungati sovente senza causa proporzionata, a dispetto della resistenza degli organizzatori e dei consigli delle commissioni operale, suggestionati e accompagnati — come conclude l’illustre relatore — da vaghe aspettazioni, non ben definite, di rinnovamenti taumaturgici del mondo e della società.
Bisogna elevare il lavoro intellettuale, tecnico, morale e politico dell’uomo, del produttore, e le otto ore devono portare a questo risultato, altrimenti possono divenire pericolose per la diflusione del vizio e la depressione fisica del vagabondaggio.
La legge dovrebbe essere applicata il 1° gennaio dell’anno 1920, ma in molte aziende la misura delle otto ore è già entrata in vigore.”