Da Sapere, Anno III, Vol. VI, 14 luglio 1937.
Di T. Alippi.
“■ Ci è capitato di leggere un articolo su Fahrenheit, nel quale, prendendo le mosse dall’invenzione del termometro, si riferiscono notizie storiche non del tutto esatte. Ma si comincia con un’osservazione giustissima: «Comme beaucoup d’instruments scientifiques importants, le thermomètre a de nombreux péres.»
■ Se invece di “ha” numerosi padri, si fosse scritto “vanta” sarebbe stato meglio; ma è certo che non è sempre facile assegnare, specie per i tempi lontani nella storia, la priorità d’una grande invenzione o d’una grande scoperta. Alle reali incertezze si aggiungono spesso ambizioni nazionaliste, che possono anche trovare giustificazione e una qualche base storica. Non si deve trascurare questo fatto: che quando i tempi sono maturi certe invenzioni sbocciano, per dir così, spontaneamente, inevitabilmente qua e là, diverse sia pure, ma sostanzialmente le stesse. Così è del termometro. Gli Italiani — si dice nell’articolo — ne attribuiscono l’invenzione a Santorio, che fu rinomato medico a Venezia, dove morì giusto tre secoli fa, nel 1636; gli Olandesi a Cornelius Drebbel d’Alkmaar, medico anche lui, presso la corte di Giacomo I re d’Inghilterra a Londra, dove morì nel 1634. Proprio in quei tempi viveva pure a Londra, un armigero e medico, Roberto Pludd, uomo retto e sensato, buon osservatore di fenomeni, ma di sbrigliata fantasia. Nella sua PHYSOLOPHIA MOYSAICA (1638) descrive uno “speculum Calendarium” che molto assomigliava al termometro primogenito, col quale osservò grandi calori e grandi freddi capitati in quel torno di tempo. Ma onestamente dice non essere egli l’inventore dell’istrumento, che aveva trovato delineato in un codice vecchio di almeno cinque secoli.
■ Circa l’olandese Cornelio Drebbel, vissuto a Londra dal 1620 al 1634, ne’ suoi scritti non si parla mai di termometri o di termoscopi che fossero, e ciò nonostante egli ha goduto largamente nel mondo scientifico la fama d’inventore di questo istrumento, tanto che un istrumento simile a quello di Galileo e di Pludd fu chiamato “termometro Drebelliano” anche da grandi fisici, come Alessandro Volta, l’abate Nollet, ecc. Non possiamo qui estenderci intorno a supposizioni sul come al Drebbel sia venuta questa fama; chi desiderasse più ampie notizie legga la estesa e assai ben fatta memoria “COME SI SVOLSE IL PRIMO CONCETTO DEL TERMOSCOPIO AD ARIA” d’un modesto, ma valoroso studioso nostro il prof. D. Ignazio Galli (m. nel 1920) pubblicata dalla “Pontificia Accademia dei Nuovi Lincei, vol. XXVII”. A tale dotta dissertazione attingiamo nel compilare questo scritto.
■ Il Galli rivendica all’Italia e a Galileo l’invenzione del ‘‘primo strumento imaginato e preparato apposta per lo studio delle temperature”. E quando? Già la data più o meno precisa dell’invenzione è valido argomento per stabilirne la priorità. Vincenzo Viviani, discepolo e biografo di Galileo scrive al Serenissimo Principe Leopoldo di Toscana: «In questi medesimi tempi (1593-97) ritrovò (Galileo) i termometri, cioè quelli strumenti di vetro con acqua et aria, per distinguer le mutazioni di caldo e di freddo e la varietà de’ temperamenti de’ luoghi.» E Benedetto Castelli, monaco benedettino, altro dottissimo scolaro e amico di Galileo, scriveva a mons. Ferdinando Cesarini il 20 settembre 1638 «in questo mi sovviene un’esperienza fattami vedere già più di trentacinque anni sono (dunque prima del 1603) dal nostro sig. Galileo.» E qui descrive l’esperienza che condusse il grande Pisano a «fabbricare un istrumento da esaminare i gradi del caldo e del freddo». Il Galli, che fu un infaticabile e minuzioso ricercatore nelle biblioteche, discute le date assegnate dai varii scrittori all’invenzione dal 1592 al 1610, e conclude saggiamente che intorno al 1597 Galileo deve aver costruito il primo termometro.
■ Questo strumento doveva essere in qualche modo graduato, come accenna il Castelli e come si rileva da alcune lettere del Sagredo e da una dello stesso Galileo a Piero Bardi de’ Conti di Vermio; nella quale si legge «abbia, per es. l’acqua 20 gradi di freddo e l’aria ne abbia 4: è ben noto a ciascheduno che tra 20 e 4 cascano di mezzo altri numeri. » La lettera è senza data, ma fu certamente scritta ad Arcetri dove Galileo fu relegato nel dicembre 1633. A migliorare la costruzione del termometro attese con cura e abilità Gianfrancesco Sagredo intorno al 1615, ed intanto Santoro Santorio applicava con geniale idea il nuovo strumento alla misura della temperatura della febbre, opportunamente modificandolo. Ii male è che si vantava di averlo inventato lui, provocando con ciò una protesta di Galileo. Questo spiega come anche oggi possa erroneamente da alcuni attribuirsi al Santorio la paternità dell’invenzione.
■ Per circa un secolo il termometro fu usato così, senza una scala in qualche modo determinata. Il merito di averla per primo fissata va attribuito a Daniel Gabriel Fahrenheit, nato a Danzica il 14 maggio 1686, e datosi per spontanea inclinazione a costruire istrumenti di fisica e particolarmente termometri, allora pochissimo conosciuti e diffusi. Dapprima usò come sostanza termometrica lo spirito di vino, poi (1724) il mercurio cui, del resto, erano già ricorsi gli Accademici di Firenze. Ma Fahrenheit creò, si può dire, la termometria scientifica creando la scala che porta il suo nome e che ancor oggi è usata dagli Inglesi e dai Nord-Americani. Possiamo giudicarla arbitraria ed irrazionale; ma a quei tempi era tale meno di quanto a noi sembri e indubbiamente costituì un grande progresso nella termometria. Del resto, la scala veramente razionale è quella delle temperature assolute di Lord Kelvin; ma questa è un portato della moderna termodinamica.
■ Fahrenheit fissò lo zero lì dove il mercurio si arrestava nella discesa entro il tubo immerso in una miscela di ghiaccio, acqua e sale ammoniaco in proporzioni che non conosciamo. E giudicò che quella temperatura fosse su per giù eguale alla minima raggiunta dall’aria nel freddissimo inverno 1709, che egli stimò la temperatura più bassa raggiungibile. Così nel suo pensiero, non potevano capitare temperature sotto zero, cioè espresse da un numero negativo di gradi. Come livello superiore, ispirandosi ad un lavoro del d’Amontons, scelse la temperatura dell’acqua bollente, a cui assegnò 212°, avendo osservato che il mercurio si dilata nel rapporto da 1 a 212 scaldato dall’uno all’altro estremo della sua scala. Anche un terzo punto egli fissò su di questa, quello corrispondente alla temperatura del corpo umano sotto l’ascella, e fu 96°. Sempre con uno di questi tre punti egli controllava gli altri due.
■ Alcuni anni dopo venne la scala Réaumur, ideata dall’entomologo e tecnologo Antoine Ferchault de Réaumur, il quale usò come sostanza termometrica l’alcool e fissò come temperature estreme quella del ghiaccio in fusione e dell’acqua in ebollizione conformemente a quanto aveva proposto nella sua “PHILOSOPHIA NATURALIS ” nel 1694 l’Accademico del Cimento Carlo Renaldini; temperature già riconosciute invariabili dall’Accademia. Però Réaumur divise l’intervallo in 80 parti, invece che in 12, come aveva quegli proposto. I suoi termometri furono severamente giudicati da E. Renon.
■ Pochi anni dopo, nel 1742, Celsius, professore a Upsala, imaginò il suo termometro a mercurio collo zero alla temperatura dell’acqua bollente e col 100 a quella del ghiaccio in fusione, cioè a scala invertita.
■ Finalmente il francese Christin costruiva nel 1742 il termometro centigrado come si usa tuttora e come aveva suggerito Linneo.
■ Quasi un secolo e mezzo ha dunque impiegato a nascere nella forma oggi in uso il termometro comune. Spunta, rudimentale e imperfetto, fra le mani di Galileo e, attraverso il contributo di studiosi e di costruttori, giunge alle forme sotto cui tutti lo conosciamo ricevendo probabilmente dal grande Linneo l’ultimo perfezionamento: la scala centigrada.”