di Edoardo Amaldi.
Da Sapere, Anno I, Volume I, N. 1, 15 gennaio 1935.
“Il premio Nobel per la chimica di quest’anno è stato assegnato ad H. C. Urey, attualmente professore di chimica alla Columbia University di New York. Si deve a questo scienziato, già noto per altre ricerche negli ambienti competenti, la scoperta dell’idrogeno pesante, scoperta che gli ha fruttato la più alta distinzione scientifica internazionale. Per apprezzare il significato e la portata dell’opera di Urey è necessario collocarla nel quadro delle attuali conoscenze del mondo atomico e nucleare.
Al giorno d’oggi è ormai cosa nota a tutti che un atomo è costituito da un nucleo centrale carico positivamente attorno al quale si muovono alcuni elettroni carichi negativamente; la massa di questi ultimi è trascurabile di fronte a quella del nucleo la cui carica è uguale, salvo il segno, alla carica complessiva degli elettroni; l’atomo è quindi un sistema elettricamente neutro, le cui proprietà chimiche dipendono esclusivamente dal numero di elettroni che lo costituiscono. Questo numero, che si chiama numero atomico, definisce a quale elemento appartiene l’atomo considerato: per esempio un atomo che contenga un solo elettrone ha numero atomico 1, ed è un atomo di idrogeno, mentre un atomo che contiene 11 elettroni è un atomo di sodio. Uno dei metodi più usati per rappresentare le proprietà chimiche degli elementi esistenti in natura; consiste sostanzialmente nel disporli in ordine di numero atomico crescente in una tabella, detta di Mendelejeff; due atomi i quali contengano lo stesso numero di elettroni ma che abbiano massa diversa hanno le stesse proprietà chimiche; di conseguenza si assegna loro lo stesso posto nella tabella di Mendelejeff e si dicono isotopi. Si vede così come l’analisi chimica non sia per così dire il mezzo più potente per discriminare atomi diversi: essa permette solo di riconoscere se tutti gli atomi di una stessa sostanza contengono lo stesso numero di elettroni, ma non ci fornisce alcuna indicazione sulla eguaglianza o meno delle loro masse. Questa analisi degli atomi di un determinato elemento che conduce a stabilire di quanti isotopi esso sia costituito viene effettuata con altri metodi: prima di parlarne sarà opportuno richiamare ciò che si intende per peso atomico. Una legge fondamentale, dovuta ad Avogadro, stabilisce che in volumi eguali di gas diversi, nelle stesse condizioni, sono contenuti numeri eguali di molecole; si capisce quindi che le densità dei varii gas stanno fra loro come i pesi delle corrispondenti molecole; così per esempio le densità dell’idrogeno, dell’ossigeno e del cloro stanno fra loro come 1 sta a 16 sta a 35,5: e poiché le molecole di tutti e tre questi gas sono costituite da 2 atomi si può dire che gli atomi di ossigeno e di cloro pesano rispettivamente 16 e 35,5 volte più dell’atomo di idrogeno. Ciò stabilito basta fissare una opportuna unità di misura delle masse atomiche per poter dare quello che si chiama il peso atomico di ogni elemento: orbene tale unità fu fissata scegliendo il peso atomico dell’ossigeno uguale a 16.
Tale scelta era stata suggerita dal fatto che si riteneva che questo elemento fosse costituito da un solo isotopo. Il cloro avrebbe in queste certe unità peso atomico 35,5; si sa però che esso è formato da un miscuglio di 2 isotopi di pesi 35 e 37, i quali entrano con tali percentuali nel cloro naturale da dar luogo ad una densità che sta a quella dell’ossigeno come 35,5 sta a 16.
Dallo studio da un lato dei pesi atomici dei varii elementi e dall’altro della loro costituzione isotopica con i metodi di cui ora parleremo, si è potuto al giorno d’oggi stabilire che i pesi atomici dei singoli isotopi sono sempre espressi da numeri interi. Il metodo per l’analisi isotopica a cui vogliamo accennare è quello dello spettrografo di massa di Aston: nella fig. 1 è data una rappresentazione schematica di tale dispositivo. In un recipiente, indicato nella figura con S, viene introdotto allo stato gassoso l’elemento che si vuole analizzare; a mezzo di una scarica elettrica, ottenuta applicando una opportuna differenza di potenziale fra i due elettrodi A e B, gli atomi dell’elemento vengono privati di un elettrone, in modo che restano dotati di una carica positiva, grazie alla quale possono assumere una velocità assai rilevante ed uscire attraverso all’elettrodo B, in cui è praticato un forellino: S₁, S₂ ed S₃ sono tre schermi che servono a delimitare maggiormente il pennello di atomi carichi, pennello che viene fatto passare successivamente in un campo elettrico stabilito fra le due piastre metalliche P₁, P₂ ed in un campo magnetico disposto normalmente al piano della figura; in tal modo le traiettorie degli atomi vengono curvate e tale curvatura risulta diversa a seconda della loro massa; disponendo una lastra fotografica in posizione opportuna si osserveranno su di essa tante macchioline quanti sono i diversi isotopi contenuti nell’elemento esaminato.
Si può dire, in un certo senso, che la scoperta dell’idrogeno pesante è una conseguenza di quella fatta nel 1929 da Giauque e Johnston, i quali misero in evidenza l’esistenza di due nuovi isotopi dell’ossigeno, di masse rispettivamente 17 e 18 i quali erano contenuti in piccolissime quantità nell’ossigeno naturale. Fu perciò necessario rivedere tutte le misure delle masse degli isotopi fatte fino ad allora poiché esse non erano riferite all’ossigeno 16, come si credeva, ma al miscuglio di ossigeno, 16, 17, 18. esistente in natura. In seguito a tale revisione Birge e Menzel notarono che la massa dell’atomo di idrogeno misurata con lo spettrografo di massa differiva da quella determinata a mezzo della densità dei gas. Tale divergenza fra i due valori della massa dell’idrogeno si poteva spiegare ammettendo l’esistenza di un isotopo di massa 2 il quale fosse contenuto nell’idrogeno ordinario nel rapporto 1/4500.
La ricerca di questo isotopo dell’idrogeno fu intrapresa da Urey insieme a Brickwedde e Murphy i quali ne annunciarono la scoperta nel gennaio del 1932. In base a considerazioni termodinamiche questi sperimentatori avevano preveduto che se si liquefa l’idrogeno e lo si lascia evaporare lentamente, il residuo liquido si arricchisce in idrogeno pesante, poiché questo ha una minore tensione di vapore dell’idrogeno di Massal. Seguendo questo concetto essi riuscirono ad ottenere, a mezzo di successive evaporazioni di idrogeno liquido, del gas in cui la percentuale dell’isotopo pesante corrispondeva a circa una parte su ottocento. A differenza di ciò che succede per gli isotopi degli altri elementi, l’idrogeno pesante dotato di proprietà notevolmente diverse dalle proprietà dell’idrogeno 1: questo fatto è però facilmente spiegabile qualora come esempio si pensi che fra i due isotopi del cloro, che pesano rispettivamente 35 e 37, vi è una differenza in massa di solo circa il 6%, mentre passando dall’idrogeno leggero a quello pesante il peso atomico raddoppia. Subito dopo la scoperta del nuovo atomo, che Urey stesso battezzò deuterio, molti fisici, chimici e biologi cominciarono in varie parti del mondo a studiarne le proprietà caratteristiche; Urey, con i suoi collaboratori, fece uno studio sistematico per riuscire a stabilire se la percentuale di deuterio fosse la stessa nell’’idrogeno di varie provenienze e, in particolare, nell’idrogeno contenuto nell’acqua. Mentre essi poterono riconoscere che in generale l’idrogeno pesante si trova in natura mescolato sempre nello stesso rapporto con l’idrogeno leggero, notarono altresì che l’acqua contenuta nelle celle elettrolitiche industriali era più ricca di idrogeno pesante del normale. È noto che il modo più comunemente usato per preparare l’idrogeno industrialmente consiste nell’elettrolizzare l’acqua, ossia nel far passare la corrente elettrica attraverso all’acqua contenuta in un recipiente detto cella elettrolitica. Al passaggio della corrente l’acqua si decompone in idrogeno ed ossigeno, i quali si liberano allo stato gassoso e possono essere raccolti separatamente. Quasi contemporaneamente all’osservazione di Urey e Washburn, Lewis annunziò di aver trovato il modo di separare elettroliticamente il deuterio. Il metodo di Lewis è quello al giorno d’oggi più in uso per preparare idrogeno pesante o, come si dice assai spesso, acqua pesante, intendendo con ciò acqua in cui l’idrogeno normale è sostituito per la quasi totalità dal deuterio.
Per dare un’idea di questo metodo di separazione dell’idrogeno pesante si pensi che qualora si parta da 10 litri di acqua normale, in cui sia stata sciolta una certa quantità di soda, si deve proseguire il processo di elettrolisi fino a ‘che questa soluzione si sia ridotta ad un litro; a questo punto, con procedimenti chimici, si riporta la concentrazione della soda al valore iniziale, e si riprende ad elettrolizzare la soluzione fino a ridurla a 100 centimetri cubici; ripetendo il processo più volte si ottiene alla fine un centimetro cubico di acqua la cui densità è 1,035 volte maggiore di quella dell’acqua di partenza. Con un procedimento analogo si possono ridurre 20 litri di acqua normale a mezzo centimetro cubico di acqua di densità 1,073, ossia acqua che contiene il 66% di idrogeno pesante.
Nell’esecuzione dell’elettrolisi sono necessari moltissimi accorgimenti quali per esempio assicurare che la temperatura rimanga sempre piuttosto bassa. Inoltre, mentre al principio delle elettrolisi l’idrogeno che si sviluppa è praticamente solo idrogeno leggero, quando la concentrazione del deuterio nell’acqua residua comincia ad aumentare, anche esso si libera in piccola quantità agli elettrodi; è quindi opportuno ricuperare il gas che si sviluppa, ricombinarlo con l’ossigeno e condurre l’acqua così ottenuta in un’altra cella elettrolitica. Nella figura 2 diamo il disegno di una cella di questo tipo, che viene cioè usata quando l’acqua che si elettrolizza è già notevolmente arricchita in deuterio. Il recipiente esterno serve solo da termostato mentre la cella vera e propria è costituita dalla bottiglia nel cui tappo è praticato un foro; i due elettrodi, ossia i due fili che portano la corrente nell’interno della cella, sono indicati con A e B. Nella figura 3 si vede poi l’apparecchio in cui avviene la ricombinazione dell’idrogeno e dell’ossigeno sviluppatisi nella cella della figura 2; la miscela dei due gas esce dal cannello C, che è munito all’estremità di un foro piccolissimo, di fronte al quale si trova un filo di platino mantenuto rovente dal passaggio di una corrente; la miscela tonante brucia al contatto del filo e si ricombina in acqua che viene raccolta nella beuta S.
Un altro metodo estremamente elegante che permette di separare gli isotopi ed in particolare l’idrogeno pesante, si deve ad Hertz ed è basato sul fatto che i gas diffondono attraverso ad una parete porosa con una velocità che è tanto più grande quanto più sono leggeri. Nella figura 4 è riprodotta un tubo separatore di Hertz: il tubo tratteggiato interno è poroso e permette quindi ad un gas che scorra da A verso D di passare in parte attraverso alle sue pareti; se ora il gas che noi consideriamo è costituito da due isotopi e lo si fa passare da A a D con opportuna velocità, l’isotopo più leggero diffonderà attraverso alla parete del tubo poroso più rapidamente di quello pesante e quindi da B uscirà un miscuglio più ricco nell’isotopo leggero mentre da D esce un miscuglio arricchito dell’isotopo pesante; il metodo di Hertz consiste nel far percorrere al gas, che si vuole analizzare nei suoi due isotopi, un gran numero di elementi del tipo di quello considerato. Nella figura 5 è riprodotto uno schema che dà un’idea del funzionamento di tale dispositivo. Ai due estremi dell’apparecchio vi sono due recipienti in cui si raccolgono i due isotopi leggero (V1) e pesante (Vp), i quadratini rappresentano i separatori a parete porosa del tipo di quello della figura 4. Le linee tratteggiate indicano la via seguita dall’isotopo leggero mentre quelle piene si riferiscono all’isotopo pesante; il ciclo viene fatto percorrere al gas moltissime volte. Con questo metodo è stato possibile ottenere deuterio praticamente puro.
Lo studio delle proprietà fisiologiche dell’acqua pesante è stato intrapreso solo recentemente; e si può dire con sicurezza che essa è velenosa per tutti gli organismi (spore) fino ad ora provati.
Il deuterio viene chiamato da taluni autori diplogeno; il suo nucleo: deutone o diplone. La ragione per cui è stato ritenuto opportuno dare un nome al nucleo dell’idrogeno pesante è che esso occupa una posizione di primo piano nella fisica nucleare: si può anzi dire che il deutone nella fisica nucleare è qualche cosa di analogo all’atomo di idrogeno nella fisica dell’atomo: questo è costituito dal nucleo ed un solo elettrone e rappresenta l’atomo più semplice: così il deutone è l’aggregato nucleare più semplice che si conosca. Varii sperimentatori americani ed inglesi, a mezzo di impianti capaci di fornire milioni di volt di differenza di potenziale, hanno usato i deutoni accelerati a grandissima velocità come proiettili per disintegrare la materia; il deutone quindi è anche un utile strumento di indagine del nucleo. Di tutti i risultati ottenuti in questo campo vogliamo ricordarne solo uno dovuto a Rutherford, Oliphant ed Harteck: questi sperimentatori sono riusciti a provocare degli urti fra due deutoni lanciati a grandissima velocità in conseguenza dei quali si ha la formazione di un nuovo isotopo dell’idrogeno avente massa tre, che sembra non esista in natura.”