Da Le Vie d’Italia, Anno XXXI, N. 4, aprile 1925.
Del colonnello d’artiglieria Delfino Deambrosis.
” ■ La cordiale ospitalità di questa Rivista permise già a me (Le Vie d’Italia, n. 11, novembre 1923) di mettere in evidenza l’importanza fondamentale che hanno le vie di comunicazione nella difesa di una frontiera terrestre, montana.
■ Il lettore che ebbe allora la pazienza di seguirmi intravvide quanto l’abile sfruttamento dei solchi vallivi intersecanti il massiccio alpino e dei varchi che ne collegano gli alti bacini, permettesse di far correre veloci i treni e snodare variamente le colonne di autocarri per attuare quei concetti d’impiego a massa delle forze che soli permettono di resistere, di ributtare, di vincere l’avversario.
■ Quel problema di sfruttamento di valli e di passi manovrieri e di interposte barriere montane d’ostacolo — che appariva pur già un problema di geografia militare assai complicato — era tuttavia un semplice problema di «vie terrestri»; il mare n’era evidentemente escluso ed anche le vie dell’aria soffrivano delle forti limitazioni; non che le navi aeree non sappiano trasvolare sui tetti montani ghiacciati più elevati, come lo seppero difatti le navi tricolori che irridendo ai tetti ghiacciati alpini volarono dalla pianura veneta a Vienna, ma nell’interno d’un massiccio montano l’attività degli aerei soffre limitazioni sensibili nel numero dei campi, nei gorghi d’aria delle vallate, nelle difficoltà visive attraverso le spesse foreste.

Le falcature costiere a forte concavità creano specchi d’acqua tranquilla favorevoli agli approdi; meglio poi se nell’interno della falcatura la costa è articolata a seni e golfetti; i grandi porti prediligono poi quei tali seni e golfetti alle spalle dei quali riescono più facili le comunicazioni col retroterra. – Si hanno anche dei casi di archi di portuosità colla concavità rivolta verso terra anzichè verso mare, costituiti da festoni d’isole che creano un mare piccolo davanti alla costa, alla quale conferiscono così una non meno caratteristica portuosità; tipico è l’arco dell’Arcipelago toscano.”
■ Ma l’Italia ha dovizia di libere e fortunate «vie» non solo, terrestri, bensì anche marine ed aeree! Ben più di due terzi del perimetro del Bel Paese è bagnato dal mare e lungo tal genere di frontiere non solo muovono celeremente treni ed automobili, ma spiccano liberamente il volo, in mille direzioni, gli aerei, mentre le navi solcano in superficie ed in profondità gli specchi marini.
■ Nello studio delle frontiere marittime il problema delle vie di comunicazione si fa adunque più complesso, più vario, più attraente; i vasti glauchi orizzonti aprono vie dell’aria e vie del mare in felice armonia colle vie terrestri destinate ad apportare uomini e mezzi, appoggi ed aiuti, alle navi ed ai velivoli.
■ Non potremmo qui oggi trattare di tutto l’ampio sviluppo costiero del nostro Paese; o appesantiremmo troppo l’argomento con grave tedio del lettore o stando troppo sulle generali renderemmo scipito quel problema che abbiamo invece proclamato vario ed attraente!

Questi elementi essenzialmente sono: la base navale Spezia-Arcipelago toscano (C D) e la base aerea Bocche d’Arno e di Serchio (B) dalle quali possono lanciarsi gli attacchi (F) contro un avversario che tenti di violare il golfo ligure tra A e B; l’arroccamento coperto terrestre [dalle Carsene per l’alto Tanaro (11) fino a Ceva e S. Giuseppe di Cairo, la Bormida di spigno (10) fino ad Acqui e Ovada, l’alta Scrivia (9), l’alto Bisagno (5), la valle di Fontanabuona (6), Vara-bassa Magra (7), l’alto Serchio (8) fino a Lucca] che dovrebbe rendersi atto a spostare al sicuro e di sorpresa mezzi e truppe destinate a rifornire le flotte, imbarcare gli elementi offensivi, contrattaccare un avversario che tenti mettere piede a terra. Le valli della Roia (1), della Taggia (2), dell’Impero (3), dell’Arroscia (4), i varchi di Altare e dei Giovi, le basse valli del Bisagno, dell’Entella e del Serchio, legano quell’arroccamento alla Cornice come è meglio indicato nello schema della figura 3.”
■ Contentiamoci di quei tratti costieri, particolarmente caratteristici, che chiameremmo volentieri gli archi di massima portuosità (figura 1); sono tratti tipici che, fortunatamente per noi, si ripetono più volte lungo le nostre coste; sono grandi archi nei quali il mare penetra come un grande golfo ben entro terra e dentro i quali la linea di spiaggia spesso rocciosa si rompe a sua volta in tante intaccature, insenature, rientranze, archetti minori inseriti nell’arco maggiore e ad esso tangenti: tipico l’archetto del golfo di Napoli inserito nel grande arco campano da Gaeta a Salerno; non meno tipici i tre archetti di Venezia, Trieste e Fiume inseriti nell’arco maggiore del gran Golfo Veneto.

1. La Roia e il passo di Tenda.
2. Il passo di Nava (Oneglia-Ormea).
3. Il passo del S. Bernardo (Albenga-Garessio).
4. Il passo del Melogno (Finale-Ceva).
5. Il varco di Altare (Savona-Cuneo o Savona-Alessandria).
6. Il sistema di varchi del Turchino, Bocchetta, Giovi (Genova-Torino o Milano).
7. Il Bisagno, a Piacenza per la Scoffera o a Cicagna nella valle di Fontanabuona.
8. L’Entella, da Chiavari in valle di Fontanabuona.
9. La bassa Magra, da Spezia e Sarzana, in Lunigiana e Garfagnana.
10. La gola di Ripafratta dal Lucchese alle bocche di Serchio e d’Arno.”
■ Ciascuno di questi grandi archi ha, di per sé, un magnifico valore umano: le navi cariche di merci tendono al fondo dell’arco, riparato dalle burrasche e che concede il massimo sfruttamento economico del trasporto per via d’acqua; non a caso ciascuno di quegli archi prende il nome da un grande emporio portuario — Genova, Napoli, Cagliari, ecc. — sito in fondo ad esso, emporio cui in genere fanno corona una pleiade di centri minori che, sfruttando gli archetti inseriti nella grande falcatura di base, fanno sistema coll’emporio centrale venendo così a costituire, in ciascuna rientranza, un unico sistema umano-economico.

■ Ed ecco il militare impossessarsi di questo fenomeno geografico generale: dal momento che si tratta di grandi centri portuari, cioè di grandi empori commerciali e talora anche industriali, essi evidentemente costituiscono punti particolarmente delicati delle nostre frontiere marittime! Avremo quindi tutto l’interesse, durante una grossa lunga guerra, a mantenerne il sicuro possesso, a garantirne il regolare funzionamento; per l’Esercito quegli empori sono basi dalle quali si traggono i mezzi, spediti dai più lontani paesi amici, necessari per la vittoria finale e per la Marina sono basi non meno essenziali di raddobbo, di rifornimento, di partenza. E per converso il nostro avversario vedrà in quegli empori degli obbiettivi di redditizie imprese guerresche e si sentirà spronato a tentare di toglierceli o per lo meno ad ostacolarne il regolare funzionamento.
■ Dunque quei grandi archi costieri, ricchi ora di traffici e di opere pacifiche, diverranno, in tempo di guerra, teatro preferito di cruente imprese belliche, imprese che presenteranno, in tutti gli archi, taluni caratteri comuni e costanti in conseguenza del fatto geografico, del pari comune e costante, di trovarsi quegli empori sul fondo di grandi archi costieri rientranti, qua e là trarotti da anfrattuosità ed archetti minori inseriti in quelle maggiori falcature.
■ Se consideriamo un po’ da vicino uno di questi grandi archi costieri, a mo’ d’esempio, le due Riviere liguri, sarà facile per tutti farsi un’idea chiara delle necessità della nostra difesa costiera, idea che diffusa dalle Vie d’Italia faciliterà al momento opportuno il fortunato ritrovamento delle Vie del successo.
■ Quando il geografo parla di regioni costiere fonde automaticamente tre visioni topografiche: quella della linea di costa, quella del mare antistante, quella del paese retrostante; il militare non manca di sfruttare questa triplice visione e cerca nella sua fantasia, maturata d’esperienze guerresche, di manovrare nel modo migliore gli eserciti nel paese retrostante e le flotte nel mare antistante, mentre lungo la linea di costa sente quel contatto spirituale e materiale tra flotte ed eserciti che simboleggia unità d’intese e d’intenti — unità che è fondamento di successo.
■ Ma il geografo, quando descrive una regione costiera, non si contenta del mare e della terra, volge bensì anche la mente alla vôlta diafana che entrambe le ricopre; volge cioè la mente a quelle condizioni di trasparenza, di venti, di precipitazioni, che tanto interessano gli ampi orizzonti da poco divenuti anch’essi campo d’azione di un terzo gruppo di forze armate, delle forze aeree che pur esse debbono agire in perfetta unione d’intenti colle forze di terra e di mare per ottenere quella azione a massa soverchiante sul punto decisivo che è il segreto della vittoria.

■ Il geografo è per eccellenza il primo consigliere del Comandante; è il primo che va sentito perché gli parla della piattaforma naturale e sostanzialmente non modificabile, dalla quale partono e sulla quale muovono quei tre gruppi di forze: di terra, di mare e dell’aria.

■ Le condizioni topografiche presentate dai vari tratti di regione costiera non permettono, in generale, di tenere permanentemente ammassate tutte le forze, di terra, di mare e dell’aria, destinate a piombare sull’avversario, né ciò sarebbe d’altronde conveniente ai fini del segreto per ottenere la sorpresa, delle comodità di vita delle truppe nei periodi d’attesa, ecc.; la geografia deve invece additare al militare (figg. 2, 3) le vie migliori e più rapide che permettano, al momento buono, di formare, fulmineamente, una massa attaccante alle spalle o sui fianchi del nemico, sgomentato così dalla sorpresa e dall’imponenza dell’attacco!

■ Se noi ci fermiamo a considerare il retroterra della Liguria esso ci si presenta nel suo complesso siffattamente montagnose, trarotto, intricato, da scoraggiare chi si proponga di far muovere celermente truppe da un estremo all’altro dell’arco, ché se corrono lungo la Cornice son viste ed esposte alle offese da mare, né questa via appare poi tanto facile attraversata com’è da mille sproni montagnosi strapiombanti in mare e resi intricati dalla vegetazione lussureggiante (figure 8, 9, 10, 12 e 14); ché se vogliono sfruttare il retroterra immediato, esso è aspro, montano, chiuso apparentemente per ogni verso; ché se vogliono infine girare al largo, per la pianura del Po, si allontanano troppo dalla costa e rischiano di non arrivare in tempo.
■ Il problema è certamente arduo; ragion di più per chiedere aiuto alla geografia e cercar di discernere, in quell’intrico di monti e vallette, una via meno peggio che contemperi quelle tre difficoltà.
■ La peggior soluzione sarebbe sempre quella, arrendendosi alle prime difficoltà, di metter grossi presidi un po’ dappertutto nelle località più importanti — Ventimiglia, Imperia, Savona-Vado, Genova, Spezia…. — e lasciar poi che ognuno se la sbrighi….; sarebbe quella difesa a cordone che vedemmo tanto perniciosa a proposito delle frontiere terrestri; deboli dappertutto, passivi dappertutto, saremmo ovunque successivamente schiacciati dalle forze nemiche che un avversario abile sapesse opporci riunite, compatte e soverchianti.
■ La geografia può e deve aiutare il militare a trovare le vie naturali e additargliene i piccoli miglioramenti artificiali occorrenti per renderle valevoli per quei rapidi spostamenti occorrenti per far massa nel punto e nel momento adatti.

■ Le linee schematiche della Liguria non son poi, dopo tutto, tanto difficili da rintracciare: la storia geologica di questa regione mette subito in chiaro un punto fondamentale e cioè che mentre la Liguria di ponente è largamente influenzata dall’andamento dell’arco alpino (Alpi marittime), la Liguria di levante è invece già più prettamente appenninica e risente di quell’andamento a quinte che è proprio delle catene dell’Italia centrale (Appennino ligure-tosco-umbro). Il grande arco delle Alpi occidentali prosegue difatti nella Liguria di ponente (Alpi liguri) con una serie di contrafforti che dal nodo delle Carsene si diramano a ventaglio, diretti all’incirca da maestro a scirocco trasversalmente alla costa, e che contengono le vallate della Roia, della Taggia, dell’Impero e dell’Arroscia; la Liguria di levante presenta invece lunghe dorsali che partendo dal nodo dell’Antola si sviluppano parallele al mare e che sfalsandosi successivamente a mo’ di quinte d’un palcoscenico, vanno a poco a poco riempiendo tutta la Toscana; lunghe dorsali tra le quali sono rinserrati i corridoi di Fontanabuona, della Vara e dell’alto Serchio.
■ E nel punto dove queste due Ligurie combaciano è rimasta una striscia depressa, già percorsa da bracci di mare che mescolavano le onde del Tirreno a quelle del Mar padano, e che è tuttora simboleggiata dalla eccezionale depressione dei varchi, collineschi più che montani, di Altare (m. 435) e dei Giovi (m. 472). Questa striscia depressa è, come ognun sa, tanta parte della fortuna di Genova e di Savona che si trovano così libera la via verso la Lombardia e il Piemonte e al militare serve del pari mirabilmente pel pronto accorrere di masse armate dalle pianure di Cuneo e di Alessandria in difesa diretta di quel grande sistema portuario.

Queste fotografie mostrano come anche nella Riviera di Ponente, dove tuttavia la montagna è meno strapiombante sul mare che non in quella di Levante, lo spazio fra monte ed acqua, pur nei luoghi più celebri e frequentati sia limitatissimo ed esposto alle facili interruzioni per effetto di offese dal largo.”
■ In realtà però al militare più che difendete «direttamente» quel grande sistema poleografico — il che lo coinvolgerebbe negli orrori della guerra e ne arresterebbe il funzionamento — importa difenderlo «indirettamente»; importa cioè di più al militare di avere la possibilità di spostare rapidamente masse armate agli estremi A e B dell’arco per appoggiare, sostenere, rifornire le navi e i velivoli impegnati a tenere sgombro il gran golfo ligure, tutto lo specchio liquido, cioè, antistante a quei centri.
■ Ma, come poco fa s’è accennato, quella via della Cornice, pur così ridente di ville e palmizi, mal si adatta a grossi spostamenti militari perché troppo esposta alle offese da mare e troppo angusta in più punti, rinserrata com’è tra monti e mare. Ci vorrebbe un’altra via alle spalle, concentrica, protetta dai monti che la nascondessero alla vista, ai tiri e ai colpi di mano dal mare.
■ Qui la geografia può venirci in aiuto; non ch’essa, naturalmente, possa darci le vie belle e fatte, ma ci può additare quelle che la natura ha già abbozzato e che quindi sarebbero atte ad un rapido miglioramento e completamento da parte dei tecnici che con tutti i loro accorgimenti le possono mettere in valore coi mezzi più acconci (ferrovie, camionabili, teleferiche, ecc.) e col minimo sacrificio e massimo utile dei contribuenti.
■ Il Tanaro dalle sorgenti a Ceva, la depressione Ceva-S. Giuseppe di Cairo, la Bormida di Spigno fino ad Acqui e la depressione Acqui-Ovada, costituiscono un arroccamentocontinuo alle spalle della Liguria di ponente, già tutto percorso da ferrovia. Si tratterà di migliorare tecnicamente questa ferrovia, di ben legarla alla Cornice pei valichi di Nava, del S. Bernardo, del Melogno, ecc., di completarne il rendimento strategico e logistico con camionabili, teleferiche, magazzini o altro; ma la base geografica già esiste per la razionale soluzione del problema (figg. 4-7).
■ Lo stesso dicasi per la Liguria di levante, per quanto qui le difficoltà naturali siano maggiori; Alto Serchio-Vara-Fontanabuona (fig. 13) danno bensì l’impianto di un grande corridoio naturale a ridosso della catena costiera, ma l’alta Vara è divisa dalla valle di Fontanabuona da difficoltà montane sensibili; lo stesso dicasi per collegare la testata della Fontanabuona all’alto Bisagno e all’alto Scrivia; ed ancora le comunicazioni col mare di questo corridoio sono rare e avvengono per valichi più montagnosi che collineschi o per anguste strette incise dai torrenti che cercarono lo sfogo al mare. Il tecnico avrà il suo da fare: là saranno lunghe gallerie da perforare, qua si tratterà di ardite teleferiche, ma il resultato di queste fatiche sarà tanto più meritorio ed utile in quanto legherà con via sicura e coperta il grande centro di Genova colle risorse della Toscana e colla difesa della Spezia.
■ Certo si è che sapendoci in tempo organizzare, spendendo cioè le nostre attività non caoticamente e non inseguendo soltanto fantasmi campanilistici, noi potremo costituirci due ottimi e sicuri arroccamenti, che partendo dalla grande pianura d’Alessandria puntino da una parte al Lucchese e da quell’altra all’acrocoro del Mongioie e dai quali, come tanti denti di pettine, si dipartano altrettante comunicazioni che scavalcando il crinale appenninico scendano a dar la mano ai centri disseminati lungo le spiagge liguri. Questa grande via coperta che da Nava ed Ormea corresse logisticamente poderosa fino ad Aulla e Lucca ci permetterebbe di compiere rapidi trasporti di mezzi e di forze terrestri cooperanti colle forze del mare e dell’aria in quelle puntate destinate, dai due estremi del grande arco ligure, a tenerne sgombro l’antistante azzurro specchio marino.
■ Il tipo di specchio marino e il tipo di costa che tale specchio contorna, definiscono e determinano poi, in gran parte, le forme ed i modi dell’attività marinara. Il dantesco «mare senza pesci» è difatti caratterizzato da grandi fondali, frutto dell’avvallamento della zolla terrestre che determinò per reazione l’arco appenninico, e quei grandi fondali, se mal si prestano allo sviluppo delle alghe che nutrono i pesci e ne facilitano il deposito delle uova, mal si prestano pure all’ancoraggio delle mine che noi volessimo collocare a difesa delle coste. Si tratta cioè d’un mare facilmente corso dalle flotte non ostacolate dai campi minati; anche la difesa dev’esser quindi mobile, deve cioè cercare nell’attività manovriera le vie della vittoria.
■ Ma la mobilità richiede punti d’appoggio, di raddobbo, di rifornimento, dai quali spiccare felinamente sbalzi rapidi, improvvisi, incrociati sul dinanzi del gran golfo ligure per precluderne l’entrata al nemico o rinchiudervelo qualora già abbia violate le acque territoriali.

■ La Riviera di ponente e quella di levante presentano due tipi di costa nauticamente diversi; le coppie di capi della Riviera di ponente determinano gli ameni archi aperti, ridenti di garofani e palmizi, baciati dal sole e dalla brezza, troppo aperti però in generale per costituire rade profonde e sicure per flotte numerose, a meno che non se ne corregga l’apertura eccessiva con lavori vistosi come quelli in corso nella rada di Vado.
■ La Riviera di levante invece, benché più segregata dal retroterra, come vedemmo, per via delle lunghe barriere montane parallele alla costa, è però per questo stesso fatto più ricca d’intaccature costiere profonde e riparate. La prima di quelle barriere, quella cioè lungo la spiaggia, è, per moti tellurici e per colpi d’ariete dei marosi, tutta rotta a tronconi a ridosso dei quali si son venuti formando golfi e golfetti e rientranze riparate, come quelle di Camogli, di Santa Margherita e Rapallo, di Sestri levante, di Spezia — la maggiore tra tutte.
■ I due tronconi di Monte Parodi e di Portofino sono i due antemurali di questo tratto di costa e ne determinano, e ad un tempo ne sorvegliano, le rientranze militarmente più unite.
■ Come ora, in pace, dame e cavalieri folleggianti ammirano dalla terrazza dell’albergo in vetta al promontorio di Portofino i due magnifici nastri costieri che si svolgono verso Genova e verso Sestri, così, in guerra, semafori e cannoni sorveglieranno e difenderanno quelle insenature nelle quali i sonnecchianti motoscafi e sottomarini riposeranno, pronti però a balzarne fuori al primo accenno di minaccia nemica (fig. 11).

■ L’arco della Riviera di levante, completato dal festone d’isole dell’arcipelago toscano, costituisce adunque ottimo allineamento di base (C D) dal quale le forze navali possono partire per lanciarsi (E) in traverso al golfo ligure, sicure di trovare, occorrendo, amici e punti d’appoggio sulla riva opposta della Riviera di ponente, mentre poi entrambi gli estremi di questa gran via navale possono essere riforniti e difesi dalle forze terrestri rapidamente spostate lungo l’arroccamento interno.
■ Anche le vie dell’aria devono essere battute, in armonia a quelle della terra e del mare, dalle forze armate incaricate della difesa delle nostre frontiere; ma anche le vie dell’aria, come già quelle del mare, hanno la loro radice nella terraferma, per la partenza e per l’arrivo, pel riposo, pel rifornimento e pel raddobbo.
■ La manovra delle masse aeree è adunque legata, basata, sull’ubicazione delle plaghe d’atterraggio ed anche qui la geografia ci soccorre col mostrarci come lungo l’arco ligure non si disponga di vaste zone piatte e disalberate che in corrispondenza del delta triangolare del Centa (Riviera di ponente) o, meglio, all’estremo della Riviera di levante alle bocche del Serchio e dell’Arno; quasi tutto il resto della trarotta costiera ligure, più che all’atteraggio di grandi masse di velivoli, si presta all’ammaraggio di piccole unità di idrovolanti.
■ Quell’allineamento navale di base: Elba-Spezia si completa adunque colla grande zona di partenza aerea: bocca di Serchio-bocca d’Arno; le due masse celeri del mare e del cielo potranno di lì puntare concordi contro l’estretno opposto del gran golfo.
■ Abbiam vista così, ancora una volta, la geografia buona consigliera nell’impiego delle forze nazionali a difesa delle frontiere.
■ Tutti gli archi di massima portuosità costiera, al centro e al fondo dei quali sono centri importanti da difendere, rispecchiano, un po’ più o un po’ meno, in grande od in piccolo, le condizioni dell’arco ligure.
■ Sono masse, navali ed aeree, che devono lanciarsi all’attacco dei tratti di costa più adatti sulle ali, a difesa manovrata di tutto l’arco; e alle spalle dell’arco un ben preparato arroccamento terrestre deve permettere il rapido spostamento di mezzi, fanti e cannoni per una eventuale seconda fase della lotta, quando cioè il combattimento si accenda anche in terra. Son questi, concetti semplici e risaputi, che non è però male rinfrescare perché, se è vero che la geografia descrive una piattaforma immutabile, è anche vero che l’arte militare la sfrutta con mezzi sempre rinnovantisi.

■ La geografia militare è per eccellenza lo studio che affratella la società civile e la società militare; accende nei giovani la passione del monte, dell’acqua e dell’aria, ne anticipa la maturità di mente e nel crogiuolo del pensiero patriottico atti e pensieri si fondono in un’aspirazione comune di maggior grandezza della Patria.”