Da Il Secolo XX, Anno XIX, N. 8, 1 agosto 1920.
Di M. Ancona.
” ■ «Non vi sono state Erinni nelle ultime assise del femminismo»: così concludeva non senza meraviglia, le sue impressioni sul Congresso suffragista di Ginevra un giornalista svizzero, e ne attribuiva la ragione alla guerra che avrebbe, secondo lui, calmati gli spiriti bellicosamente anti-mascolini delle suffragette dei due mondi. Lo scrittore svizzero sbagliava: la calma del congresso di Ginevra, la mancanza di discussioni ardenti sui suprusi maschili e le ribellioni femminili, che caratterizzarono altre riunioni, sono state causate non dalla guerra, ma dal trionfo della stessa causa suffragista per cui si agitarono, prima della guerra, le Erinni del femminismo.
■ Dei 43 paesi rappresentati al Congresso 25 (in Europa l’Austria, la Cecoslovacchia, la repubblica Tatara di Crimea, la Danimarca, l’Ungheria, la Germania, l’Inghilterra, la Norvegia, l’Irlanda, la Finlandia, l’Ucraina, la Polonia, la Svezia e ia Russia; in Asia i sionisti di Palestina; in America gli Stati Uniti e il Canadà; in Affrica la Rodesia e l’Affrica orientale inglese; tutta l’Australia e la Nuova Zelanda) 25 paesi dico hanno concesso alle donne quello che le suffragiste chiedevano con le buone e le suffragette con le brusche, cioè i pieni diritti politici: due (la Serbia e il Belgio hanno dato il voto amministrativo: in quasi tutti gli altri la questione è già innanzi ai Parlamenti. Contro chi avrebbero dovuto agitarsi le moderne Erinni?

■ Certo se la guerra, coi suoi dolori, e lo stesso imbarazzo di trovarsi per la prima volta con le rappresentanti dei paesi nemici, non avesse spenta la fresca vena dell’entusiasmo, il Congresso di Ginevra sarebbe stato un sol grido di trionfo e sì sarebbero rinnovellate le esplosioni di allegrezza che nel 1913 a Budapest salutarono le 4 o 5 delegate recanti l’annunzio ufficiale delle prime vittorie.
■ Ma l’entusiasmo rumoroso, gli applausi scroscianti che mancarono alle sedute ufficiali del congresso da parte delle più direttamente interessate, si ebbero invece nelle riunioni pubbliche serali. Nella sala del Palazzo Comunale di Plainpalais (sede del Congresso) o in quella vastissima della Riforma, una folla ogni sera più numerosa si accalcava attratta prima dalla curiosità di vedere le orientali dai costumi pittoreschi, o le americane dall’eleganza sfarzosa, Miss Royden, la predicatrice che aveva officiato il giorno prima dal venerando pulpito di Calvino, o Lady Astor dal sorriso affascinante: avvinta poi dall’eloquenza delle oratrici, dall’interesse stesso delle riunioni.
■ Altre volte, in occasione di altri congressi femminili (memorabili i due ultimi, quello dell’Alleanza internazionale suffragista a Budapest nel 1913 e quello del Consiglio Internazionale delle donne a Roma nel 1914), si era avuto uno spiegamento di forze intellettuali; ma mai prima del Congresso di Ginevra si erano rivelate le forze politiche femminili.
■ Il grande numero di deputate e di consigliere comunali, l’essere la assoluta maggioranza delle delegazioni composte di elettrici, diede al Congresso un’aura politica, che fu la sua caratteristica e la ragione prima del suo successo, proclamato piuttosto che dalle congressiste, dal pubblico svizzero, del meno suffragista, cioè, dei paesi occidentali.

In mezzo le delegate del Governo Giapponese e Turco.”
■ Per questo la più caratteristica delle riunioni del Congresso fu quella dedicata alle donne parlamentari: presidente la decana delle deputate europee, la imponente signotra Furuhjelm del parlamento finlandese,oratrici quattro deputate, una ex-senatrice e una ex-ambasciatrice; deputate e consigliere comunali affollate sul palcoscenico;argomento dei discorsi, l’esperienza personale delle donne parlamentari nella loro vita politica. E se il pubblico, benché stanco dopo una lunga serie di discorsi, fece una accoglienza trionfale all’ultima oratrice, Lady Astor, la popolarissima deputata inglese, non fu solo per la sua umana e vibrante eloquenza, ma perché vedeva in lei, così graziosa, elegante, giovane e vivace, la condanna di tanti pregiudizi contro le donne politiche o politicanti.
■ Un’altra caratteristica del congresso fu il grande numero di delegate ufficiali dei governi del vecchio e del nuovo mondo: non solo gli Stati emancipati (che si fecero rappresentare quasi tutti da deputate) ma anche moltissimi paesi che ancora non hanno dato il voto alle donne, dal Giappone alla Serbia, dall’Uruguay alla Turchia, mandarono a Ginevra le loro rappresentanti ufficiali. Solo la repubblica francese, sempre cavalleresca, mandò un uomo, l’on. Godard, e l’Italia, per non compromettersi, non mandò nessuno, (come, del resto, fece la Svizzera). Vero è che per rappresentare gli assenti c’era la delegata della Lega delle nazioni, la silenziosa signorina Wilson.
■ Ma più che i delegati, o le delegate ufficiali interessarono il pubblico le rappresentanti dei paesi nuovi al movimento femminista e suffragista: le donne dei paesi di lingua spagnola, venute dalla Spagna, dall’Argentina, dall’Uruguay, le balcaniche (serbe, bulgare, greche) e specialmente le asiatiche. Una riunione serale in cui parlarono, oltre alla elegantissima sig.ra Daniels, in rappresentanza del presidente degli Stati Uniti d’America, alla dott. Luisi (italiana di nome e di origine) pel governo dell’Uruguay, alla bellissima signora Terrouk Kibristy pel governo turco, tre indiane e due giapponesi, fu certamente la più pittoresca e la più riuscita delle sedute pubbliche. Sul piccolo palcoscenico, fra i fiori e le eleganze occidentali delle delegate europee e americane, accanto alle bionde figure evanescenti delle islandesi, erano uno spettacolo di per sé attraente le brune figure delle indiane, avvolte in sfarzosi veli trapunti d’oro e d’argento, le piccole giapponesi chiuse nel serico costume nazionale: e le une e le altre esprimendosi in eccellente inglese, si rivelarono oratrici provette e strapparono al pubblico gli applausi più sinceri e fragorosi; sia che la signora Gauntlet (una giapponese autentica nonostante il nome e il marito inglese) scusasse la lentezza delle sue compatriote nel partecipare al movimento suffragista; sia che con pacata eloquenza le signore Chandra Sen e Tata ricordassero le gloriose tradizioni della donna indiana come compagna dell’uomo e partecipe di quella vita politica e civile, dalla quale, con l’uomo, fu esclusa per la conquista inglese, e alla quale essa chiede di partecipare di nuovo ora che agli uomini indiani sono stati concessi i diritti politici: sia, infine, che la ardente poetessa Saroyni Naidu elevasse, con voce sonora e musicalmente modulata, un inno vibrante di poesia e scintillante di immagini.

■ Quanto lontano tutto questo dalle tradizionali riunioni polemiche delle suffragiste! Eppure nella Svizzera, così poco femminista malgrado la sua grande democrazia, un ritorno all’antico non poteva mancare: e proprio per iniziativa delle associazioni locali fu fatto una specie di grande comizio con una conferenza polemica (bellissima conferenza del resto) della avvocatessa Vérone di Parigi con proiezioni di fotografie suffragiste e la presentazione al pubblico delle delegate dei 19 paesi emancipati dopo il 1913. I ginevrini parvero gustare moltissimo e il discorso della avv. Vérone e le fotografie argutamente commentate dalla signora Nathan e i discorsetti delle delegate: forse anche erano contenti di sentire un poco di buon francese dopo una valanga di discorsi in inglese e in… americano, e ne furono grati alla organizzatrice, la sig.na Gourd, una suffragista svizzera piena di grazia e di spirito.

■ Minor sfoggio di eloquenza, più abilità polemica, si ebbe nelle sedute del Congresso: dal 1913 l’Alleanza Internazionale suffragista non si riuniva e in questi 7 anni la questione del voto alle donne ha fatto tali passi da giustificare la proposta radicale di sciogliere addirittura l’Alleanza, o di dividerla in due gruppi, l’uno dei paesi emancipati, l’altro di quelli che ancora lottano per l’eguaglianza politica. Generosamente la Danimarca, per bocca del deputato Berendsen e della deputata Munch, sostenne a spada tratta che l’Alleanza deve continuare a vivere senza divisioni, col solo scopo di aiutare le donne ancora prive dei diritti politici a conquistarlo, e che a questo fine devono lavorare specialmente le donne dei paesi, per dirlo nel gergo suffragista, emancipati. Il Congresso adottò, come sempre accade, una via di mezzo: l’Alleanza continuerà a lavorare rafforzata dall’adesione delle società dei paesi di lingua spagnola e slava, dei paesi balcanici e dell’estremo oriente; lavorerà per il suffragio femminile, ma allargherà il suo campo d’azione anche a quelle che si chiamano questioni femminili e che possono interessare le donne dei paesi emancipati: e nel prossimo congresso le rappresentanti di questi paesi avranno una giornata tutta per loro, sotto la presidenza della decana delle deputate di tutto il mondo, la signora Furuhjelm, del Parlamento finlandese.
■ Per verità a Ginevra non si parlò solo del voto e anche le così dette questioni femminili furono trattate, specialmente nella discussione sulla proposta di una carta della donna: ma dalla discussione apparvero due cose: che in parecchi Stati (in quelli scandinavi per esempio) le donne hanno già ottenuto, dopo l’emancipazione politica, tutto ciò che un congresso mondiale può ragionevolmente chiedere, e forse qualche cosa di più: che su molte questioni (quella della protezione del lavoro femminile per esempio) non è possibile una unità di opinioni fra le donne di tutto il mondo. Perciò la carta della donna fu meno pomposamente battezzata programa minimo di rivendicazioni femminili e come tale comprende i desiderata delle suffragiste sulla abolizione della soggezione femminile (dalla schiavitù vera e propria all’istituto della autorizzazione maritale) sulla ricerca della paternità e la protezione dell’infanzia e della maternità, sulla legislazione del matrimonio e del divorzio, sulla protezione del lavoro femminile, sulla morale unica, ecc.

■ Queste discussioni, la istituzione di un segretariato femminile in rapporto con la Lega delle nazioni incaricato di studiare e sottoporre alla Lega le questioni femminili internazionali, come quella per esempio della nazionalità della donna maritata, la trattazione degli affari interni della Alleanza, che raccoglie le Federazioni suffragiste di tutto il mondo, le elezioni del nuovo consiglio, nel quale entrò per la prima volta una rappresentante dell’Italia occuparono tutte le sedute del Congresso e, come accade in tutti i Congressi che si rispettino, non tutti gli argomenti furono esauriti, quantunque, a differenza di quel che accade nei Congressi maschili, chiacchiere inutili, e discorsi retorici quasi non se ne siano fatti, un po’ per il buon senso delle delegate, un po’ per l’energia della sig.a Chapman Catt, una presidente che sarebbe capace di far rigare dritto anche il Parlamento italiano. Qualche cosa dunque resterà da discutere al prossimo congresso il quale sarà fra due anni a Parigi, se le Francesi non avranno il voto prima, nel quale caso sarà a Bucarest. Che se anche le Rumene avessero il voto, si potrebbe andare nell’Uruguay, o addirittura nel Giappone — e le Francesi e le Rumene non sarebbero forse invidiose…
■ Ma a Parigi o a Tokio, a Bucarest o a Montevideo il prossimo congresso non avrà un aspetto molto diverso da quello di Ginevra: il grande svolto nella storia dei congressi suffragisti è stato da Budapest a Ginevra, dal 1913 al 20: allora si trattava di lottare per imporre il principio teorico della partecipazione delle donne alla vita politica; e la propaganda, la polemica, con gli avversari, uomini e donne, e magari contro gli uomini e le donne, informavano lo spirito delle associazioni e delle delegate: ora il principio teorico è accettato universalmente e si tratta solo di trovare il modo di metterlo in pratica, pacificamente, dovunque.
■ Ciò che, tuttavia, non è molto facile, come sanno le suffragiste svizzere, e anche quelle italiane.”