Le origini del tassametro (1910)

Da La Scienza per Tutti, Anno XVII, N. 27, 1 marzo 1910.
Di M. C.

” ■ È ancora il caso di ripetere il vecchio detto: Nihil novi sub sole. Anche il tassametro, lo strumento che ha fatto mandare un sospiro di sollievo al pubblico che va in carrozza ed ha, d’altro canto, suscitato le ire della benemerita ed organizzata classe dei vetturini, non è un’invenzione moderna, non è un ritrovato dei nostri tempi, in cui regna e governa la meccanica. Anche il tassametro risale ai tempi più remoti e non c’è bisogno di andarlo a ricercare nella culla di tutte le scienze, la Cina. Soltanto nei tempi passati lo chiamavano diversamente, lo chiamavano edometro. La differenza è lieve, ma lo strumento, come principio è lo stesso.

E sapete chi ce lo descrive nell’antichità? Marco Pollione Vitruvio, che visse 100 anni avanti Cristo; e ce lo descrive non già come una sua invenzione, bensì come cosa già da gran tempo esistente.

È nel libro X, al capitolo XIV della sua opera De Architectura che egli ci parla «de ratione mediendi iter peractum rheda vel navi», cioè del modo di misurare il cammino percorso in carrozza, o su di una nave.

■ Ecco come Berardo Galiani, napoletano, traduce il passo:
«Mi viene ora il pensiero di scrivere un artificio, niente inutile, anzi con molto ingegno insegnato dagli antichi, per mezzo del quale possiamo in un cammino, o sedendo in un cocchio, o navigando per mare sapere il numero delle miglia fatte. Si fa dunque in questo modo: La ruota del cocchio (A) sia larga per diametro di piedi quattro, acciocché segnandosi in essa un punto, se da questa stando sul suolo della strada cominci avanzandosi a fare il giro, quando ritorna a quel punto dal quale ha cominciato a girare, abbia scorso un determinato tratto di 12 piedi e mezzo. Ciò fatto, alla parte interna del mozzo della ruota (B) s’incastra fermo un tamburo (C), il quale abbia un dente sollevato da sopra la fronte del suo giro. Inoltre nel ventre del cocchio sia fermata una cassetta con entro, posto a coltello, un tamburo girante attorno ad un asse (D): il fronte del tamburo abbia 400 denti, tutti egualmente distribuiti corrispondenti al dente del tamburo inferiore; oltre a ciò si appicchi al fianco del tamburo superiore un altro dente più eminente degli altri. Sopra va situato, in un altro chiuso, un terzo tamburo orizzontale (E), dentato della stessa maniera e in modo che i denti corrispondano al dente che sta affisso al fianco del secondo tamburo; e in questo tamburo si fan tanti buchi quant’è il numero delle miglia del solito cammino d’un giorno, più o meno poco importa. In tutti questi fori van messe delle pallottole, e nella cassa, ossia fodera del tamburo, si fa un buco con attaccato un cavalletto (F) per mezzo di cui possa cadere nella cassa del cocchio dentro la conca (G) che si porrà sotto, ciascuna pallottola, nel giungere che fa a quel punto. Così, quando la ruota camminando muove insieme il primo tamburo, e il dente di questo in ogni giro urtando fa passare oltre un dente del tamburo superiore, farà sì che quando l’inferiore avrà girato quattrocento volte, il superiore ne gira una e il dente di questo, che sta affisso al suo fianco, non avrà spinto che un dente del tamburo orizzontale. Giacché dunque in quattrocento giri del tamburo inferiore gira il superiore una volta, il tratto del cammino sarà di cinquemila piedi, ossia di mille passi; e dal cadere e suonare che faranno le pallottole, si saprà ogni miglio che scorre: onde il numero delle pallottole raccolte indicherà la somma di tutte le miglia fatte nel cammino di quel giorno. Per la navigazione si può fare nella stessa maniera, con puntare solamente poche cose… »

■ Questa descrizione, non certo molto chiara, è nel trattato italiano illustrata da incisioni in legno, che chiariscono e spiegano il testo.
■ Una di esse rappresenta appunto un carro tirato da due cavalli. Nell’interno seggono due donne, indicanti col dito il meccanismo dell’antico tassametro, cioè dell’edometro, costituito da due tamburi giranti, fatti di assicelle, che ingranano con la ruota posteriore di destra.
■ Nel testo vitruviano vi è pure il disegno di un edometro navale, e di un altro edometro (nell’edizione curata da Luigi Merini, Roma, 1836) incassato nel corpo di un carro e ingranante una ruota di questo.”