di Barbara Allason.
Da La Donna, Anno X, N. 239, 5 dicembre 1914.
“Come la guerra ha trovato gli uomini tedeschi pronti alla mobilitazione, ai combattimenti, e ogni specie di sacrificio in pro della patria, così ha trovate le donne tedesche pronte al sacrifizio della loro felicità domestica e pronte, nel limite delle loro forze, a secondare la grande opera della difesa nazionale.
Unanime! Questa è la grande parola che, indipendentemente dal volger degli eventi, o dal prevalere delle simpatie personali, va detta oggi della Germania; l’ideale comune ha spezzato tutte le barriere, colmato tutte le differenze tra partito e partito, tra casta e casta; conservatori discendenti da antichi feudatari e operai iscritti alle leghe del lavoro, soldati di professione e intellettuali tendenti per filosofica speculazione al pacifismo, uomini ligi a vecchie leggi e femministe avanzate, non hanno oggi sulle labbra che una sola parola, e questa parola è inno d’amore alla patria, è affermazione del sacro diritto della Germania a difendersi, è proclamazione infiammata di voler vincere a qualunque costo, senza limiti di sacrifizi e di sofferenze.
L’altro carattere del movimento bellicoso germanico è l’ordine: ordine nella sistemazione dell’esercito, ordine nella disposizione di tutti gli organismi destinati a concorrere alla riuscita della guerra.
In tutti i paesi percossi dal flagello guerriero ci son donne che aiutano, che soccorrono, che provvedono; solo in Germania si è parlato e si può parlare di una «mobilitazione delle donne». Regina Deutsch, nella rivista Die Staatsbürgerin (settembre-ottobre 1914) dice precisamente così: «Il 1° agosto, alla stessa ora in cui avvenne la mobilitazione dell’esercito, si pubblicava il piano di mobilitazione che la Presidenza dell’Unione delle società femminili aveva elaborato». Tutta la vasta falange di quelle donne tedesche che aspirano da anni ad essere «cittadine dello Stato», scoppiata appena la guerra si dichiararono pronte ad assumere, in cambio dei compiti di beneficenza dei tempi normali, altri compiti sociali attinenti allo stato di guerra.
Le tre grandi associazioni del «Servizio femminile nazionale» (Nationaler frauendienst), dell’«Unione femminile patria» (Vaterländischer Frauenverein) e della «Croce Rossa» si misero immediatamente d’accordo, dividendosi le attribuzioni. Restava il dubbio circa l’atteggiamento che avrebbero assunto le «Socialiste». La loro duce — Luisa Zietz — chiamata a pronunciarsi davanti al Parlamento (fatto unico negli annali delle Camere rappresentative), senza prendere formale impegno, lasciò intravvedere la possibilità che anche questo partito avanzatissimo facesse causa comune; Gertrude Bäumer, per intelligenza ed energia mirabile presidentessa del Nationaler Fraunendienst, accolse questa parola come una promessa e dischiuse la prospettiva di una magnifica attività alle sorelle d’avanguardia.
Queste non esitarono ad accettare, e ora tutte le attività femminili sono riunite in un corpo compatto, avente mille compiti diversi, ma animato da una sola volontà. Le socialiste avvezze alla scuola ferrea dell’organizzazione, portano il loro valido contributo di disciplina e di ordine; mentre le altre donne, appartenenti ad associazioni che ebbero sempre di mira la carità, le forme pratiche dell’assistenza sociale, completano l’opera; e tutte, secondo il grado della loro capacità, sono collaboratrici o direttrici.
Numerosissime sono le opere germinate da questo enorme concorso di energie: le donne lavorano a preparare gli indumenti (specialmente oggetti di maglieria e di lana) che servono al soldati, si adoperano per ottenerne dalla carità privata e non solo in Germania ma da tutti i tedeschi sparsi sulla faccia del mondo, curano che questi oggetti vengano disinfettati e distribuiti equamente ai combattenti, curano soldati feriti ed ammalati, li assistono nella convalescenza. Un’ altra falange di donne si occupa invece delle donne e dei fanciulli cui la guerra ha tolto il sostegno di famiglia e alle prime danno lavoro, ricovero, se di condizione relativamente agiata pietosi luoghi di convegno ove, lavorando per quelli che combattono, dimentichino alquanto i dolori individuali; ai bimbi forniscono asili, cibo, luoghi di convegno e, spesso, la tutela di famiglie agiate che li ricevono alle loro tavole e li albergano nelle loro case.
Innumerevoli sono, a Berlino e nelle provincie i Kriegsmittagstisch (pranzi di guerra), dove per 30 pfennig (circa 30 centesimi) le donne cui la guerra ha tolto il marito e in generale i bisognosi ed i disoccupati, ricevono un buon pranzo nutriente di tre portate, e i bambini un adeguato pranzo per 10 centesimi; numerosissimi gli asili che ospitano i bimbi nelle ore in cui la madre lavora.
E tutto questo, s’intende, controllato, allestito e assiduamente sorvegliato dalle donne della «Unione Nazionale», dalle volontarie della carità.
«Il lavoro — dice Anna Plothow — che dà una cucina per i bambini tra le 12 e le 14½ non è piccolo davvero; poiché in quello spazio di tempo si tratta di dar da pranzo a circa 800 scolaretti e a 300 madri e bimbi piccoli. Io visitai qualche tempo fa una di queste cucine nel lontano Wedding(1). In quel dì si celebrava appunto la vittoria di Tannenberg e quella grigia strada dei poveri la celebrava luminosamente, poiché dagli innumerevoli balconcini adorni di verdi tralci che paiono nidi di rondine sul fronte delle case, ondeggiavano al vento centinaia e centinaia di bandierine nazionali… Davanti alla cucina stavano centinaia di bimbi che spettavano tuttora il loro pranzo. Una guardia civica badava all’ordine… Ad un cenno delle signore della presidenza, contava un gruppo di 20 o 30 bambini e li mandava dentro. Tra i bimbi non c’era impazienza. Essi sapevano che sarebbero stati tutti sfamati, e il loro aspetto fresco e pulito rallegrava la vista».
Compatte dunque nell’opera di aiuto richiesta da quest’ora solenne, tutte le donne di Germania che da tempo aspirano a una vera vita sociale: concordi dall’ultima gregaria alle presidenti delle grandi associazioni come Giuseppina Levy Rathenau o Edvige Heyl che io ho già presentato alle lettrici di Donna come la preziosa ed insuperabile presidentessa del Lyceum-Club di Berlino.
Ma non meno mirabile, anzi per certi riguardi, più significativo e commovente ancora, lo spettacolo che di questa concordia, di questo affratellarsi in un ideale comune, danno tutte le donne di Germania, anche quelle infinite miti e silenziose che fino a ieri non vissero che delle modeste gioie domestiche, dei loro umili doveri, della loro maternità solerte, delle loro metodiche e diligenti cure casalinghe. Oggi tutte si risvegliano, esse che non seppero che le ansie per la salute dei loro cari, e la cura delle profonde guardarobe piene di lini odorati, e il rito un po’ complicato della cucina, e, semplici, senza gesti di spartane, senza declamazioni fuori posto, si accordono e fondano tutte le loro tenerezze, le loro lagrime e i loro strazi nella sola grande e augusta parola di «Patria».
Sì, quest’augusta visione assorbe per esse ogni altra visione, e perché resti in fiore e trionfi di ogni insidia la loro cara Germania, di cui tutte, anche le più umili e le più silenziose, eran tanto fiere e felici, tacciono tutti gli egoismi, anche quell’amore dei figli che .è il più profondo nei cuori feminei, anche quell’amore dello sposo, del marito, che in nessun paese come in Germania — e sia detto con buona pace dei paesi dei facili divorzi e delle facili infedeltà — dà tanti magnifici esempi di coppie modello, unite per tutta la vita da serena consuetudine di affetti. Bisogna aprire le lettere di queste donne, ai parenti, alle amiche più intime, ai connazionali e stranieri; tutte dicono la stessa cosa; brevi e sobrie, dàn notizia dei cari lontani, dei diletti presi nel grande ingranaggio della guerra; alcune più strazianti comunicano la notizia di una perdita irreparabile, ma nessuna impreca, si rivolta, protesta. È per la Germania!
Così quel magnifico sentimento del dovere che sostiene da più di tre mesi l’esercito germanico impegnato contro nemici formidabili, che lo ha menato a tante stupende vittorie e l’ha sostenuto nelle sconfitte inevitabili, anima anche le bionde figlie di Arminio.
Per esse, per tutte, dalla cattolica alla libera pensatrice, dalla suffragista all’umile vestale del focolare, dall’operaia alla dottoressa universitaria, vi è, al disopra degli affetti individuali anche i più santi e dell’individuale felicità anche la più dolce, qualcosa di superiore, a cui gli attaccamenti individuali devono cedere il passo, vi è un ideale che oggi si chiama «la Patria » e domani potrebbe chiamarsi «Fede, Umanità, Dovere».
Non temiamo di dire alle donne italiane che esse devono ammirare le loro sorelle tedesche e proporsi d’imitarle, ove suonasse per la Patria l’ora dei grandi cimenti. Amare il proprio paese non vuol dire illudersi e accecarsi sui suoi difetti e sui suoi torti, amar l’Italia non vuol dire dimenticare i pericoli che potrebbero derivarle in un’ora di risoluzione suprema dal suo facile scetticismo, dal suo individualismo, dalla sua difficoltà di fondersi ed abnegarsi unanime per un comune ideale.”