di Ester Danesi Traversari.
Da La donna, Anno II – N. 285, 5-20 novembre 1916
“Zona di guerra, Settembre 1916.
Bisogna ricordarle tra le più valorose sorelle. Esse lavorano in silenzio, indefessamente fin da prima che si dichiarasse la nostra guerra, quando dalle terre irredente ottantunmila profughi si riversarono nella regione ove s’iniziarono così tutte le opere di assistenza, di conforto, di beneficenza che poi si sono ampliate e applicate alle necessità di guerra.
Queste donne friulane hanno nel loro sangue la più fervente italianità. Per la fatalità del loro destino, più che in altre regioni d’Italia, esse hanno forse sofferto e combattuto per la loro salvezza patria e serbano nel cuore la memore fraternità di dolore e d’amore per le vicine città che erano, che sono ancora irredente. E operano in una profondità, dirci in una santità di sentimento che le onora e le fa degne dell’ammirazione di tutte le altre donne d’Italia e della loro commossa gratitudine. Allo scoppiare della guerra fu un accorrere generoso ove il bisogno nuovo richiedeva attività, soccorso, sacrificio.
Gli asili, per i figli dei profughi accolsero i figli dei soldati, le cucine economiche ne alleviarono le famiglie e tutta la beneficenza cittadina si adoperò in favore dei combattenti e delle loro famiglie.
L’associazione «Scuola e Famiglia» presieduta da quella gentildonna, dedita con fervore lieto ed intelligente ad ogni opera di bene, che è la signora Francy Fracassetti-Antonibon, si ampliò con l’aiuto del Comitato d’organizzazione civile e poté accogliere un migliaio di bambini nei due splendidi locali forniti di cortili vasti, di giardini, di una palestra ginnastica, che si trasforma ogni tanto in sala di cinematografie, e d’ampie trincee ove i bambini venivano rifugiati durante le quasi quotidiane incursioni di aeroplani nemici di che Udine è stata deliziata fino a pochi mesi fa. I piccoli, oltre alle cure e all’insegnamento, hanno due refezioni giornaliere e sono rivestiti e forniti di scarpe, di quei zoccoli forti e igienici, perché atti a preservare dall’umidità, sconosciuti nelle nostre città meridionali. Hanno un volto roseo, sano che dà consolazione a chi si adopera per il loro bene. Le maestre sono tutte volontarie e non si stancano alla fatica quotidiana. La stessa benemerita signora Fracassetti si occupa anche, insieme alla signora Francesca Nimis Loi, un’altra anima gentilissima, dell’ufficio notizie e informazioni che a Udine è particolarmente importante ed è interamente disimpegnato da donne; centosessanta signore e signorine volontarie che ogni giorno provvedono al disbrigo delle infinite ricerche, con amore di tenere sorelle, senza trascuratezza alcuna di tempo e di mezzi, e alle quali spesso tocca anche il doloroso incarico di partecipare la sventura e la morte, ciò che fanno con incomparabile delicatezza e con cuore esperiente.
Lo stesso on. Boselli, visitando di recente quest’ufficio, volle rendersi conto del metodo di funzionamento, ne restò ammirato e inviò alle due signore che lo presiedono il seguente telegramma:
«Ammirai e sentii nell’opera loro la virtù del pensiero e del cuore ispirata da fervido patriottismo e da alto senso fraterno. La patria del Friuli è esempio eccelso d’italianità. Plaudo e saluto».
Ad Udine, per opera del Comitato di organizzazione civile, esiste anche il Corredo del Soldato sotto la presidenza onoraria del venerando senatore di Prampero e della prefettessa sig.ra Bona Luzzatto Weilschott, che ogni opera di bene avviva e incoraggia del suo interessamento instancabile e offre nella città friulana una signorile, cordiale ospitalità degna delle nostre migliori tradizioni. Il Corredo del Soldato ha raccolto lana, ha confezionato migliaia di capi di biancheria, di vestiari, di tende mercé l’opera indefessa della contessa e del conte de Brandis che vi dedicano tutta la loro attività.
Per i prigionieri, per alleviarne la durissima sorte, si occupa, corrispondendo con la Croce Rossa, la contessa Elisa de Puppi. Un posto importante ad Udine è quello di conforto alla Stazione dove accorsero, allo scoppiare della guerra, le dame della Croce Rossa, prime la contessina Bianca di Prampero, la marchesa di Colloredo, la signora Nimis. Divenne presidente dell’opera la signora Luzzatto e mentre le signore già nominate si dividevano negli ospedali e in altre opere, ella ne stabili l’organizzazione per il lavoro grandissimo che vi è richiesto. Dai luoghi di combattimento, dagli ospedali da campo giungono a Udine le migliaia di feriti e di prigionieri e a giorni, a migliaia sono stati distribuiti le razioni di latte caldo e di biscotti. Le bianche infermiere corrono con le ampie ceste cariche di tazze fumanti e col ristoro portano ai sofferenti il loro sorriso, il loro augurio fervido, la grazia del loro gesto gentile.
Oltre alla presidente, che ama di particolare amore questa istituzione di operosità quotidiana, sono benemerite le signore Camavito e Montini della Croce Rossa, che aiutate da cinquantatré signore e signorine piene di zelo, hanno dato al Posto di Soccorso tutta la loro amorevole attività.
E che dire delle dame della Croce Rossa?
Esse sono sparse un po’ dappertutto, al Posto di Conforto alla Stazione, nei diciannove ospedali di Udine, nei più avanzati ospedali da campo e ovunque portano l’abilità del sapere, la consolazione della loro dolcezza, lo spirito sublime di sacrificio.
Maggior numero di esse è all’ospedale di Toffo al quale ha dedicato tutte le sue cure la vicepresidente della Croce Rossa di Udine, la contessa Costanza di Colloredo, che in sala di medicazione, al reparto stomatologico, è instancabile dal mattino alla sera. Altre infermiere che non hanno mai tralasciato di prestare il loro preziosissimo ufficio, sono la contessa Amalia della Porta e la signora Pecile, nonché la signora Adele Luzzatto, decana delle infermiere, una delle più ardenti friulane che donò prima, cinquant’anni or sono, al primo soldato italiano che entrò in Udine la bandiera tricolore, ricamata da lei nascostamente durante l’infame servaggio, nell’attesa torturante del grande riscatto. E le ampie camerate del Toffo accolgono in turno altre cinquanta infermiere volontarie che all’assistenza ospitaliera dedicano intieramente la loro vita e al principio della guerra, quando tutta l’organizzazione non era completata, si sono prestate nei lavori più faticosi e più umili, non importa quale fosse la loro condizione sociale. Duchesse e contesse compirono ogni servizio richiesto dalle esigenze dell’ora, come le maestre mirabili di attività, di intelligenza, di patriottismo.
Al Seminario, altro ospedale di Udine, dal principio della guerra, si adoperano indefessamente modeste e nobilissime la contessa Arnaldi e la signora Murero.
E tre delle dame premiate di medaglia d’argento al valore sono pure di Udine: Fanny Luzzatto, Hilda Galli, Sara Battistelli. E di Udine era la contessina Bianca di Prampero che prima soccombette alle lunghe ininterrotte fatiche di infermiera.
Nell’ospedale di Toffo, nell’ampio salone centrale, ebbe luogo nella estate scorsa la consegna delle suddette medaglie al valore. Per l’occasione la marchesa Costanza di Colloredo pronunziò il seguente discorso che esprime con felice fervore il pensiero e il sentimento di tutte le donne italiane.
Esso suona così:
«Nei giorni solenni dell’anno 1915, quando tutta l’anima d’Italia era tesa in un anelito di sacrificio noi donne, ognuna di noi donne, rimpianse di non essere un uomo.
«I nostri figli, i nostri mariti, i nostri fratelli partivano verso le verdi Alpi su cui il nemico sedeva burbanzoso; partivano, la baionetta in pugno, il cuore saldo, l’occhio scintillante di gioia e di speranza e a noi pareva troppo bella la loro sorte, troppo umile la nostra di solitarie Penelopi.
«Ma presto ci siamo accorte che un còmpito c’era anche per noi, un compito più arduo, più virile, più urgente della passiva virtù di Penelope che richiede anch’esso saldo cuore, docili nervi e anima di madre. Tornavano i nostri figli, i nostri fratelli, i nostri mariti. Quelli che tornavano, ahimè! quanto bisognosi di noi! Non solo le carni lacerate, le membra tronche e gli occhi spenti, ma il cuore che aveva troppo pulsato troppo odiato e troppo sofferto aveva bisogno di un tenero sguardo, di una carezza, di una voce soave.
«Allora, anche noi, spinte dall’amor di patria, dalla pietà e dalla sublime poesia del dovere, abbiamo lasciato le nostre case e mentre in ogni soldato si scopriva un eroe in ogni donna italiana si scoprì l’anima di una suora di carità. Non tocca a noi dire con quale gioia profonda e solenne viviamo coi soldati feriti dal mattino alla sera e dalla sera al mattino. Ci sentiamo ancora umili e piccole di fronte a voi, soldati! Abbiamo imparato da voi la sofferenza eroica e l’eroico silenzio!
Le più fortunate, quelle che vissero veramente la santa guerra di redenzione, sono le poche che poterono spingersi su su più vicino al fervore della lotta, che poterono accogliere i feriti subito, quasi alla prima dolorosa tappa di ritorno e che ebbero l’eco delle immani cose che essi avevano visto, udirono vicino l’urlo del cannone, sentirono l’ala della morte sfiorare la loro fronte.
«Tu che oggi ricevi dal tuo paese questa sacra medaglia che ti pareggia ai prodi, tu che fedele come una sentinella, che muore ma non arretra, hai continuato, durante il bombardamento di Cormons e del suo ospedale colpito, ad incuorare i figli d’Italia affidati a te, tu fosti tra le fortunate e noi t’invidiamo, tu che non hai tremato quando imminente poteva essere la morte, tu che hai nel cuore quella tenace fedeltà del dovere che regge tutta Italia in quest’ora. No, noi ora non rimpiangiamo più di non essere un uomo, ciascuna di noi può dire per se stessa la parola di un poeta il quale dice a un suo eroe: «Forte come un uomo».
«Oh! sì, lasciateci quest’orgoglio di sentirci forti specchiandoci in questa, che con le intrepidi compagne, rappresentò così nobilmente le infermiere d’Italia!
«E tu lascia che io ti abbracci a nome di tutte le tue compagne di fatica e di abnegazione, a none di tutti che come te sanno che un’italiana oggi non trema».
E il pensiero dei soldati, che la tenerezza e la cura amorosa di un’infermiera consolano nelle ore della sofferenza e del dolore, si può riassumere in questa dedica che ho sotto gli occhi, scritta a tergo di una fotografia donata dai feriti appunto alla Marchesa di Colloredo. Eccola:
«Nobiltà di lignaggio armonicamente fusa in ogni più delicata virtù fanno di Costanza Roberti di Castelvero marchesa di Colloredo la dama eletta.
«La lagrima che bagna il suo occhio dolce ed offusca il suo sguardo sereno, la carezza delicata della sua mano diafana, la soavità della sua voce pietosa, la rendono agli occhi nostri madre e sorella impareggiabili.
«Con animo grato ed a loro ricordo gli ufficiali feriti».
Così le donne friulane onorano altamente nelle opere civili e di assistenza di quest’ora grave e grande di guerra, tutte le loro sorelle di patria.
Ma non si contentano e fanno altro: esse già provvedono ad istituire nuove industrie tra le donne della regione per farla più ricca e per aiutare l’Italia anche nella sua opera di indipendenza industriale e commerciale.
Di questo dirò altra volta.
Perché dobbiamo conoscere l’opera e l’animo di tutte le donne d’Italia, dobbiamo tutte sentirci unite in uno stesso sforzo e trarre conforto ed emulazione le une dalle altre per il fine nobilissimo della grandezza nazionale.”