Da La Donna, Anno X, N. 222, 20 marzo 1914.
Di Anton Giulio Bragagli.
” «Après avoir dancé avec elle, j’étais si exténué, que je sentais mon âme près de s’éloigner de mon corps».
■ Qualche irriverente potrebbe canzonare, però, la sensibilità di Alfredo De Musset, con la maligna imagine di una elle tanto florida da somigliare a un elefante! Ma non ricordiamo ai ballerini sfortunati le dame soverchiamente ricche… di doni naturali. O meglio — poiché dimenticavo di scrivere per Donna — non facciamo ripensare alle signorine lettrici, i mastodontici cavalieri dal faccione rubicondo e tondo, così… ammirato nelle poco agili danze. Del resto pensino le signorine, che negli «altri tempi» i faccioni lunari, sorridenti nella cornice della parrucca bianca, e le opulenze delle floride persone vestite dai calzoncini corti e stretti, erano certamente più evidenti e ancor meno seducenti di quelle d’oggi, nascoste un poco dai moderni fraks.
■ Hanno mai imaginato le signorine, quei cavalieri dalla floridissima anca, civetteggianti negli inchini? Ma, parlando sul serio, come avranno fatto allora le persone grasse — curiose in quel modo — a compiere con la grazia tanto predicata dai maestri, tutti gli inchini di prammatica? Poiché, consideriamo un po’ questo… problema, gli inchini erano, come ognuno sa, numerosissimi e di frequentissimo uso.

■ Allora i maestri di ballo o di riverenze, o di altre simili arti eleganti e galanti, inventavano proprio loro un’infinità di balletti e di inchini, dedicati alla vertiginosa bellezza di molte dame, e li pubblicavano spesso in magnifici libri, illustrati da grandi tavole, ove spiegavano le squisitezze necessarie ai singoli gesti, tutto ad uso degli allievi e tutto a vantaggio aurifero di loro stessi: i bene pettinati creatori genialissimi.
■ Il Colpani, che cantò in versi sciolti La Toletta, in un punto
Loda che intanto
un elegante italo Marcello
il pie’ le addestri
onde poi liete, ne’ bei giorni suoi,
al grave minuetto, alla fugace
volubil danza ..
del par sia pronta e sulla tarda notte
il cadente spettacolo rinforzi.
■ Questo Marcello, che morì a Parigi nel 1759 dopo una gloriosissima carriera, non solo godette una fama sonora, ma questa per lui fu reputata niente affatto scroccata, perché tutti lo venerarono come il re dei minuettisti. Nel 1740 — l’epoca principalmente rappresentata dalle nostre stampe — egli, con… squisita raffinatezza di pensiero e di fini, rivolse tutte le sue cure alle riverenze: la parte più delicata della sua arte. E ne insegnava nientemeno che… 236, che volevano esprimere ognuna la condizione e il pensiero del riverente.

■ Grazioso il pensiero, no? Era come il linguaggio dei fiori: quell’altra geniale trovata di vent’anni fa.
■ I balli nel 1700 erano innumerevoli, si può dire. Ogni maestro ne macchinava cento o duecento.
■ Però, non ostante che i ballerini fossero alquanto immodesti nelle loro ambizioni inventive, pure il minuetto solo imperava con i pretesi requisiti deliziosissimi: occhi languidi, bocca sorridente, vita fastosa, mani innocenti e piedi ambiziosi. L’occhio languido — necessità prima — significava infatti l’umiltà indispensabile al buon minuetto: il disinteressamento dei due che, con occhi non languidi, avrebbero potuto intendersi, invece, in segrete cose, o pure avrebbero potuto mostrare una certa inelegante confusione per il ballo stesso preoccupante.


■ La bocca ridente, a sua volta, doveva bene atteggiarsi con grazia, affinché fosse deferente o cortese, là dove stretta o ammusata o amara, avrebbe annoiato l’altro. E così la vita fastosa era bella all’aggraziata pompa di cui il minuetto traeva il più vivo carattere; mentre a lor volta, le mani innocenti, mostravano la semplicità del fine del ballo, naturale così, e fresco e spontaneo, anche nella raffinatezza gentile della sua arte.
■ I piedi dovevano essere ambiziosi, invece! Curioso eh? Ambiziosi nella mostra di se stessi, così graziosamente calzati e così sottili e piccini nel volger le punte a lato, o in basso o in avanti, facendo tutte godere le proprie grazie del collo. Così il minuetto, per la dama, era uno studio squisito di movenze leggiadre e fini, di sorrisi dolci e lusinghieri, di sguardi appassionati con… correttezza, e di fugaci ineffabili rossori dei pallidi visini incipriati…

■ I quadri principali del minuetto erano tre. Dapprima la dama e il cavaliere si ponevano di fianco tenendo però i visi rivolti l’uno verso l’altro, così da guardarsi negli occhi. E la dama portava le mani ai fianchi, tenendo sollevata un poco la veste con tre dita sole: pollice, indice e medio, mentre il cavaliere col cappello tolto di capo, teneva il braccio teso giù. Poi veniva la riverenza. Il cavaliere alzava il braccio destro e la dama il sinistro, fino all’altezza della spalla: quindi il primo porgeva alla dama la mano destra, con la palma aperta in alto, e lei su quella posava dolcemente la propria. Allora la dama e il cavaliere si riverivano, piegando nell’inchino la vita ed un ginocchio, e volgendo contro il suolo la punta di un piede fisso, mentre l’altro strisciava indietro, contemporaneamente all’inchino. Fatta così una prima e una seconda riverenza, la coppia si trovava di faccia e allora il cavaliere moveva un passo di fianco verso destra, essendo imitato subito dalla dama. Quindi, tornata questa alla destra del cavaliere, i ballerini facevano due passi in avanti, tenendosi per mano, e subito dopo il cavaliere muoveva altri due passi in semicerchio verso sinistra, imitato ancora dalla dama che li faceva verso destra, in modo che ambedue venivano di nuovo a trovarsi di fronte. Poi il cavaliere, con due passi fiancheggiati verso destra, prendeva il posto della dama, e questa il posto del cavaliere, per ricominciare quindi i passi descritti. Una profonda riverenza coronava il ballo.
■ Era famoso il minuetto di Exaudet, il capolavoro del genere, che veniva suonato specialmente. E quante generazioni ballarono alle sue note ! Innumerevoli canzonette furono poi scritte per esso, tutte simiglianti; quella classica però è la seguente:
Ùn désir,
Un soupir,
O ma fille,
Peut aussi troubler un cœur
Où se peint la candeur,
Où la sagesse brille.
Le repos,
Sur ces eaux,
Peut renaitre;
Mais il se perd sans retour
Dans un cœur dont l’amour
Est maître.
Mais, tandis que l’on admire
Cette onde où le ciel se mire,
Un zéphir
Vient ternir
Sa surface,
D’un souffle il confond les traits,
L’éclat de tant d’objets
S’efface.
■ Ciò che contribuiva molto a rendere squisito il minuetto, era il dolce piegar del ginocchio, il protendere elegantemente i piedi e l’esatto equilibrio della vita, tra le mossette delle mani e del capo, e i sorrisi, e le parolette gentili.
■ La maestria e la grazia del cavaliere consistevano nel porgere a tempo e con garbo i fiori ed i profumi di cui la dama si beava abbandonando il capo mollemente.
■ A tutte queste cortesie lei, poi, rispondeva… guardando ripetutamente il ballerino a traverso l’occhialetto, con commovente civetteria, o porgendogli, con gesto deliziosissimo, la scatola del… tabacco da fiuto!
■ Che dolci guiderdoni, signorine lettrici!
■ Perché anche loro, con altrettanto squisito pensiero, non decidono di offrirci teneramente… la scatola del tabacco da fiuto, dopo le nostre galanti freddure?
■ Però chi sa se il parere di miss Pankurst non sarebbe invece quello di offrire il porta-sigarette?



■ Ma torniamo agli antichi balli delle nostre stampe.
■ Allora per questi si aveva un amore che andava fino al fanatismo. Infatti Luigi XIV, il gran protettore del ballo, amava tanto la danza da prendervi parte lui stesso molte volte.
■ E’ pur vero che vi rinunciò dopo aver sentito nel Britannico di Racine il forte attacco contro le manie teatrali di Nerone, ma è anche vero, del resto, che nel 1661 istituì una Accademia reale di danza, oggi defunta, i cui componenti si adunavano una volta al mese per discutere intorno all’arte loro. Persino il filosofo Elvezio era folle- mente innamorato di quei balli, tanto che per divertirsi sufficientemente aveva afferrato la disperata decisione di danzare mascherato nel teatro dell’Opéra; fatto, questo, che anche oggi costituirebbe una enormità per un musone filosofo gravido di pensieri. Non vi pare infatti che a pena da un antifilosofo futurista — se fosse esistito allora — ci saremmo aspettati tanta agile spregiudicatezza?

■ Però non solo Elvezio danzò sui teatri, e non solo Luigi XIV ballò con M.me De Sévigné un minuetto di Lulli. Si racconta infatti che Don Giovanni d’Austria, vice-re dei Paesi Bassi, era anche lui così fanatico per la danza, che una volta si recò appositamente a Parigi per veder danzare un minuetto da Margherita di Borgogna.
■ I ballerini allora godevano la maggiore prosperità ed il più largo favore, specialmente tra le merveilleuses: le damine bizzarre che meravigliavano i borghesi del tempo con i cappelloni enormi e con altre eccentricità eleganti, facendo allora… quello che oggi le damine nostre fanno. Nel secolo XVIII costituivano a Parigi una vera società che vantava degli statuti dati, approvati e confermati con lettere dello stesso Luigi XIV, registrate allo Châtelet il 13 gennaio 1659 e al Parlamento il 22 agosto seguente. Il presidente di questa… lega di resistenza aveva diritto al titolo di Re di tutti i musici e maestri di ballo, e non veniva eletto con una votazione, ma saliva… al potere solo in grazia ad una quantità di buone referenze. Le quali, poi, non erano simili a quelle di un qualunque cassiere d’oggi, poiché dovevano essere scritte dallo stesso Re di Francia, quello vero. Innanzi a questi re dei danzatori e dei musici, i neofiti dovevano provare l’altezza dell’arte loro.

■ Il maestro di ballo — tanto bene ritratto da Molière — nella sua varietà pretenziosetta, era amabile anche se un po’ licenzioso al pari del gran mondo che costituiva la sua clientela, ed era ben leziosamente tronfio nell’importanza che credeva avere e nell’aria impertinente che si dava, da gran signore… parvenu. Del resto le dame se lo disputavano, come si disputavano il parrucchiere di moda.

■ Visse a Parigi un celebre ballerino, il Bocan, inventore della bocane, che fu il maestro di ballo delle Regine di Francia, di Spagna, d’Inghilterra, di Polonia e di Danimarca; fu favorito di Carlo I d’Inghilterra e fece impazzire tutte le dame eleganti, per la perfezione del suo metodo e della sua grazia. Ci potremmo chiedere come facesse a sostenere tanta vastità di cariche, ma questo deve restare un mistero, tanto più che era gottoso, storto e aveva le mani deformi. Dagli allievi, poi, si facevano ben riverire i maestri. Nella Choréographie del maestro ballerino Guillemain si leggono le seguenti norme per gli allievi, principi o borghesi che siano:
«Observations concernanis la leçon. — Il convient que l’écolier aille
au devant du maître quand il arrive;
on doit le recevoir très-poliment, lui
faire deux révérences; la première
très-profondément, la seconde moins
bas; on doit ensuite le fair entrer
dans l’appartement, lui présenter un
fauteuil ou une chaise pour s’asseoir.
Sitôt que le maître sera assis (!),
l’élève (demoiselle ou cavalier) lui
présentera les deux mains; il se pla-
cera à la première position, et fera
quatre révérences, les genoux bien
ouverts, la première très-basse, la
seconde moins, ainsi que les deux
autres, et ayant l’attention de ne pas
lever les talons. Après les révéren-
ces, l’écolier ou l’écolière marchera
en avant, puis en arrière, à droit
et à gauche, de còté, ainsi que de
toute autre manière que le maître
jugera à propos. La leçon finie, l’é-
lève aura l’attention de conduire le
maître jusqu’à la porte de l’appar-
tement; il lui fera ensuite deux ré-
vérences, la première bas, la seconde
moins; il le remerciera poliment des
peines qu’il s’est données et des attentions qu’il a prises.»

■ Erano modesti — non è vero? — i maestri di ballo!… Si racconta che uno tra i più celebri di questi, Gaetano Vestris, un giorno assicurò, con profondissima convinzione, che tre grandi uomini esistevano allora nel mondo: Lui, Voltaire e il Re di Prussia! Figuriamoci con quale prosopopea dirigeva i balli!
■ Molière, scrisse questa gustosa lezione di ballo in una delle sue commedie. Il signor Jourdain è l’allievo, cui il maestro chiede:
Un chapeau, monsieur, s’il vous plait.
(M. Jourdain va prendre le chapeau de
son lequais, et le met par-dessus son bon-
net de nuit. Son maître lui prend les mains,
et le fait danser sur un air de menuet qu’il
chante). La, la, la, la, la, la, la, la, la, la,
la, la… En cadence, s’il vous plait. La, la,
la la, la. La jambe droite. La, la, la, la,
la. Vos deux bras sont estropiés. La, la, la,
la, la. Haussez la tête. Tournez la pointe du
pied en dehors. La, la, la. Dressez votre
corps.
■ Il predetto Marcello una volta redarguì unaduchessa sua allieva, dicendo: «Ma signora, voi fate la riverenza come una serva!». E redarguì un’altra che lo riveriva, esclamando: «Voi, signora, vi presentate col fare di una stracciona di trivio; ricominciate la vostra riverenza, e che il titolo nobiliare vi accompagni anche nelle piccole azioni!».
■ Marcello infatti vedeva «un mondo» nel minuetto ! Una volta esclamò: «Que de choses dans un menuet!».
■ Figuriamoci dopo tanta perfezione d’insegnamenti e dopo tanta esigenza di squisitezze, quale spettacolo ineffabile dovevano offrire nei luminosissimi e sfarzosi saloni di allora, i pallidi colori dei rasi e dei broccati, armonizzanti coll’innocenza delle parrucche, con il pallore dei sorrisi, con la soavità languida degli inchini: leggeri velami di fruscio, al suono dolce e modesto delle spinette.”