di A. Purasanta.
Supplemento illustrato al N. 9389 del Secolo, 25 Maggio 1892
“UDINE STORICA
Le origini.
Delle origini della città, a dir vero, nulla havvi di accertato. Le affermazioni degli storici che se ne so no occupati basano tutte su tradizioni o congetture più o meno attendibili.
Jacopo Valvasone dice che la città fu fondata da Attila durante l’ assedio di Aquileia, è che il nome lo prese da Uldin, capitano nell’avanguardia dell’invasore. — Di tale opinione sono anche Ottone da Frisinga, Goffredo da Viterbo, Marcantonio Sabellico, il Belloni, il Sigonio e altri.
Leandro Alberti e il de Candido stanno per la origine veneta, da Atina o Utina; per l’origine gallica si pronunciarono Enrico Palladio e il Capodagli; un anonimo la vuole fondata dai cimbri; Paolo Canciani dai longobardi col nome di Odino; il Lazio da Idunum nella Scizia ; il Partenopeo dai dudini; il Grion da Oidantion nell’Illirico; Il Camavitto, sulla fede del Cluverio, vuol farne una sola cosa con Vedinum dei carni; lo Sporeno la dice una colonia di Atina città del Lazio; e finalmente il Fistulario ed il Nicoletti l’ asseriscono di origine romana.
In mezzo a tante opinioni è quindi meglio astenersi dal pronunciare un giudizio definitivo.
Comunque, ad avvalorare l’opinione che la località fosse un posto avanzato dei romani, occorse questo fatto.
Nel 1855, l’Austria, volendo fortificare il castello, fece demolire le vecchie mura. Nell’eseguire gli scavi per le nuove costruzioni sì trovarono parecchie monete, fra le quali una d’oro di Giustiniano. Questa, nel verso, ha Giustiniano con elmo e lorica; con la destra sostiene un globo sormontato da una croce; la sinistra porta uno scudo, nel quale, intorno ad un cavaliere, leggonsi queste parole: — D. N. JVSTINIANVS. PP. NG. — Nel recto vedesi una vittoria alata, in piedi, portante con la destra il lituo e la croce, con la sinistra un globo, pure sormontato dalla croce; nel campo sinistro una stella con sotto la parola CONOB., e, all’intorno, VICTORIA. AVGG. A.
Non vogliamo tacere di una tradizione popolare, poco verosimile, che dice il colle del castello eretto da Attila per poter vedere l’incendio di Aquileia, distrutta dai suoi.
Tutto quanto abbiamo narrato finora però si basa su congetture più o meno fondate.
L’esistenza di Udine prima del 600 è accertata solo dal Chiaramonti che, nella sua Storia di Cesena, ricorda un Natalis utinensis, vescovo di quella città. Più tardi, nell’11 giugno 983, l’imperatore Ottone II, con diploma firmato a Verona, conferma donati a Rodoaldo, patriarca di Aquileia, quinque caastra, fra quali quello di Udene, che quindi allora doveva avere già qualche importanza.
Dominio dei longobardi e dei duchi di Carinzia.
Durante il lungo dominio dei longobardi in Friuli, quasi nessuna menzione viene fatta, nella storia, della città di Udine, — Non sappiamo se tal fatto si debba attribuire alla inesistenza di materiali per costruire la storia del passato, o alla mancanza di chi voglia occuparsi a rovistare negli archivi con quella diligente cura che sola può dare risultati soddisfacenti. Di Udine, è certo, poco o nulla ne parla il friulano Paolo Diacono, stimato a ragione il Tito Livio dell’epoca longobarda.
Non v’ha dubbio che Udine, in detta epoca, non poteva competere con Cividale, prima il Forum Julii de’ romani, e, poscia, sede dei potenti duchi longobardi, fra cui di quel Berengario che fu il primo re d’Italia.
Per questo il suo sviluppo venne rallentato, quantunque la felicissima posizione topografica dovesse fatalmente influire sull’ingrandimento della futura capitale del Friuli.
Dopo i longobardi ressero la marca friulana i duchi di Carinzia. Ed anche sotto il reggimento di questi duchi non si rileva che Udine avesse un’ importanza storica degna di essere ricordata.
ll dominio dei patriarchi.
Nel 1222, o, come altri vogliono, nel 1238, venne trasportata a Udine la sede patriarcale.
Il patriarcato d’Aquileia, sorto nel 597, con la nomina a patriarca di Paolino, fatta in occasione dello scisma prodotto da una questione di precedenza tra le chiese di Grado e Aquileia, ebbe una grande importanza religiosa e politica. Ma il patriarcato, che si chiamava ancora da Aquileia, non ebbe stabile dimora in questa città che fino al 737, epoca in cui la sede venne portata a Cividale, dove rimase fino al suo trasporto a Udine, avvenuto nel 1222, come più sopra si è ricordato.
Stabilita dal patriarca Bertoldo la residenza in Udine, l’incremento della città fu rapido e continuo. Da questo momento essa acquistò e mantenne il suo posto di capitale, contrastato bensì per lunghi anni, ma con poco frutto, da Cividale.
Durante un interregno di quattro anni, che precedette l’elezione del patriarca Raimondo Della Torre, nella città venne costituito il parlamento della patria, che resse, assieme ai patriarchi, le sorti del Friuli.
In generale il governo dei patriarchi fu fiacco come tutti i governi teocratici, e non seppe mai dare stabilità ad una pace che avrebbe senza dubbio contribuito a far sviluppare maggiormente le risorse del paese.
Una lunga serie di anni irrequieti trascorsero fino alla caduta del patriarcato, che avvenne nel giugno del 1420, con la aggregazione di tutta la provincia alla repubblica di Venezia.
Oltre alle guerre che quasi continuamente mossero al Friuli i conti di Gorizia e i signori da Camino, il paese era sempre travagliato da lotte intestine provocate dai feudatari contro il patriarcato e il popolo che sosteneva quasi sempre il potere ecclesiastico.
Gli aiuti che ai patriarchi Torriani diedero gli udinesi per le lotte che la famiglia del patriarca sosteneva contro i Visconti di Milano, fecero sì che alla città venissero concessi molti privilegi che durarono, non sempre incontrastati, fino alla caduta del governo patriarcale.
Il popolo udinese, geloso custode delle franchigie ottenute, in più occasioni si mostrò fiero nel sostenerle, combattendo accanitamente contro i nemici esterni ed interni che le volevano abolite, tentando di abbattere le libertà cittadine.
Notevole fu, fra altri, l’assedio che la città sostenne valorosamente nel 1290 contro gli alleati Enrico II di Gorizia e Gerardo da Camino, durante un interregno di quattro mesi, dalla morte del patriarca Raimondo Della Torre alla elezione di Pietro Gerio, sotto il cui dominio soltanto cessò, per eccitamento del doge di Venezia Pietro Gradenigo, la guerra intrapresa dal da Camino contro il patriarcato.
Dopo la morte del Gerio, e durante un nuovo interregno del patriarcato durato tredici mesi, altre contese scoppiarono tra le comunità del Friuli di cui, una parte, capitanata da Gillone di Villalta, combatteva Udine e Cividale, allora alleate.
Una dura prova ebbe a sostenere la città durante il regno del patriarca Ottobono de’ Razzi, piacentino, nominato nel 1502 dal papa Bonifazio VII.
Si erano, in tal tempo, nuovamente alleati, ai danni di Udine e del patriarca, Rizzardo da Camino e il conte di Gorizia. Aiutati da Paolo Boiani e da Carsimano Savorgnano erano giunti con un esercito numeroso sotto le mura della città, e fingevano desiderare la pace; ma, nel 14 dicembre 1309, un nobile udinese, Nicolo Albuzio, d’ accordo col nemico, fece svellere la porta di Grazzano dai suoi cardini. E già stavano le truppe alleate per entrare nella cinta, quando i cittadini, uomini e donne, aiutati dai cividalesi e dai contadini accorsi ai segnali, resistendo con disperato valore, obbligarono gli assalitori a ritirarsi dopo aver subite perdite considerevoli.
Il da Camino, pacificato col patriarca, e riconosciutosi vassallo di quest’ultimo, venne ucciso a tradimento nel 1312 a Treviso. Un anno dopo il conte di Gorizia tornò ad assaltare Udine, che anche questa volta resistette valorosamente respingendo il nemico.
Nel periodo non breve di un nuovo interregno, le fazioni dei Savorgnani e degli Indriotti, due potenti famiglie friulane, furono in continue lotte fra di loro; lotte che non cessarono fino a che il nuovo patriarca, Pagano Della Torre (1319-1352), non ebbe, parteggiando per i Savorgnani, distrutto la famiglia Indriotti nonché i suoi fautori.
Altre e non meno sanguinose lotte ebbe a sostenere in seguito la città, che non poté godere di un po’ di tregua che nel 1332, epoca in cui, tra il patriarca Pagano Della Torre e Alberto e Mastino della Scala, venne stipulata la lega di Campardo che aveva per scopo di provvedere alla difesa delle Alpi venete.
Ma intanto, nel 1334, veniva nominato patriarca Bertrando da San Genesio che energicamente si adoperò a correggere i costumi del clero, a dare assetto al governo della regione, a ordinare l’esercito, e più che altro a pacificare gli animi dei facinorosi feudatari che dilaniavano con le loro eterne lotte l’intero paese. L’ opera benefica ed efficace del patriarca gli procurò l’affetto del popolo, che lo aiutò a portare a compimento molte riforme che arrecarono al paese benefici veramente utili e duraturi.
Ma la popolarità del patriarca era vista, di mal occhio da quei nobili ambiziosi che volevano spadroneggiare sul paese e che ne giurarono la sua perdita. E difatti, ritornando il patriarca dal concilio di Padova, nel 6 giugno 1950, presso la Richinvelda, venne proditoriamente assalito e ucciso con un colpo di spada sotto il mento, datogli, sì crede, da Enrico di Villalta.
Il successore, Nicolò di Lussemburgo, che tenne il patriarcato dal 1350 al 1258, ne vendicò la memoria, facendo uccidere sei fra i principali congiurati e distruggendo parecchi castelli del Friuli e tutti quelli della Carnia.
In quest’epoca Carlo IV, fratello del patriarca, fu accolto con gran pompa in Udline, durante il viaggio che quel sovrano fece a Roma per farsi incoronare.
Troppo lungo sarebbe il voler, anche sommariamente, tener dietro alle varie vicende che si succedettero in questi anni e fino alla durata del governo patriarcale. Fu una serie quasi continua di lotte cittadine e di guerre con i vicini. Degno di nota però è il fatto che i cittadini udinesi sostennero e salvarono la loro, guardando ai tempi, sufficiente autonomia, combattendo contro i tanti nemici che agognavano distruggerla, e specialmente contro la corte papale che la voleva restringere.
Non meno degna di nota è la congiura del 1394, in cui venne giurata la morte del despota e feroce patriarca Giovanni di Moravia, avvenuta nel 13 ottobre dello stesso anno nelle vicinanze del castello di Udine per mano di Tristano di Savorgnano, eccitato dalla madre Orsina d’Este a vendicare il sangue del padre Federico di Savorgnano, morto nel 15 febbraio 1359 per opera dei sicari del malvagio patriarca.
L’energia dei cittadini udinesi venne spiegata di poi anche durante il patriarcato di Antonio Gaetano (1395-1402) sostenendo accanitamente i privilegi del popolo e respingendo gli attacchi dei nemici esterni, come aveva, anche prima, respinto gli assalti di Rodolfo d’ Austria che aveva tentato di conquistare la città e la provincia; e come respinse dopo gli attacchi di Federico di Ortenburg, vicario imperiale.
Di lunga data è quindi l’odio accanito che i friulani nutrirono e nutrono contro tutto ciò che sa di austriaco. E una prova si ebbe nelle guerre per l’indipendenza italiana ove tanti figli del forte Friuli accorsero volonterosi a combattere per liberarsi dall’abborrito giogo dell’Austria.
Il mal governo dei patriarchi tedeschi aveva tanto irritato gli udinesi che questi avevano dichiarato di volere solo un patriarca qui non sit theutonicus. Con tutto ciò furono costretti a subire Lodovico di Tech, eletto patriarca dal capitolo d’Aquileia nel 1412 e confermato sei anni dopo dal papa. E, più tardi, dovettero subire anche il dominio dell’imperatore Sigismondo che venne a visitare la città facendovi solenne ingresso nel 13 dicembre 1412.
Ma il dominio dei patriarchi era al suo fine, e nessuno lo rimpiangeva per le cattive prove che aveva dato del suo modo di governare. Il paese, danneggiato senza interruzione da lunghe e sanguinose guerre, anelava ad un’epoca di pace che gli permettesse finalmente di pensare al suo miglioramento interno.
Il dominio della repubblica veneta.
Fino dal 1412 un’armata della repubblica di Venezia, in guerra con l’imperatore Sigismondo, aveva fatto qualche scorreria in Friuli. Durante la lotta che Udine sosteneva contro Tristano di Savorgnano, i veneti, comandati da Carlo Malatesta, esercitavano una specie di pressione sulla città, e sostenevano in pectore le parti del ribelle Savorgnano che parteggiava per la potente repubblica.
Udine si preparava a difendersi dall’invasione veneta, mentre molte comunità del Friuli, fra cui Cividale, si avevano già poste sotto la protezione della Signoria di Venezia.
Questa aveva spedito un nuovo esercito comandato dal conte Filippo Arcelli, che era arrivato sotto le mura della città nell’aprile del 1419.
La lotta fu aspra e lunga, ma finalmente la vittoria sorrise alle armi de’ veneziani; tanto che gli udinesi, nel 4 giugno 1420, spedivano, al campo veneto di Pozzuolo, ambasciatori con pieni poteri per trattare la cessione della città. Nel giorno 6 dello stesso mese Filippo Arcelli e Tristano Savorgnano facevano il loro ingresso in Udine, e nel giorno 20 veniva eletto Roberto Morosini a primo luogotenente del Friuli per la veneta repubblica.
I luogotenenti duravano in carica un anno e, dopo il 1509, sedici mesi, per cui, durante il dominio di Venezia, il Friuli ebbe 286 luogotenenti.
Sotto il governo della Serenissima, Udine, divenuta una parte della repubblica veneta, perde della sua importanza; quindi la sua storia sì unisce a quella della repubblica stessa. Nei 377 anni del governo veneto una pace relativa permise alla città di ingrandirsi e di migliorare le condizioni dei cittadini.
Abbiamo detto una pace relativa perché, anche in detto periodo, la città fu assoggettata a dure prove. Difatti, dal 1470 al 1499, ben sette volte dovette difendersi dai turchi, che con facilità si introducevano nel paese dal mal difeso confine, che è poi quasi lo stesso che attualmente ci divide geograficamente dall’impero Austro-Ungarico. Non senza ragione quindi il senato veneto, in una sua ducale, si esprimeva: li passi del Friul sono aperti et largi, et dove senza alcuna difficultà poleno venir zente d’armi ed artellerie.
Ma, oltre alle incursioni dei turchi, travagliarono la città altre lotte, sollevate dai castellani del Friuli che parteggiavano per il conte di Gorizia e per l’Austria, contro la borghesia e il popolo della città che sostenevano il governo forte ed ordinato della repubblica veneta.
Le due fazioni si chiamavano degli Strumieri e dei Zambarlani: quella parteggiante per i feudatari, questa per la repubblica e per il popolo. La lotta durò oltre un secolo, ed ebbe termine con la pace conchiusa a Venezia nel 24 agosto 1568.
Una data tristamente memorabile per la città si fu quella del 27 febbraio 1511, in cui avvenne la tremenda strage detta del giovedì grasso. Il popolo udinese, aiutato da tremila contadini armati, prestando man forte al conte Antonio Savorgnano, capo dei Zambarlani, bruciò e saccheggiò le case dei nobili di parte Strumiera, molti dei quali, fra cui Teseo e Federico di Colloredo, Luigi, Isidoro e Nicolò Torriani, vennero messi a morte. II popolo, inferocito, non si ristette, ma continuò la strage nella, campagna, dove mise a sacco e smantellò sedici castelli appartenenti ai feudatari ribelli.
Nel 1511 e nel 1514 due volte Udine ricadde sotto il dominio degli imperiali, ma tutte due le volte l’esercito dell’imperatore non rimase padrone della città che per soli due mesi.
Altro avvenimento memorabile nella storia del popolo udinese è quello che ricorda la distruzione del palazzo del conte Lucio Sigismondo Della Torre, avvenuta nell’agosto del I717 per ordine della repubblica, e provocato dalle infamie che la famiglia feudale dei Torriani andava continuamente commettendo.
Dalla caduta della repubblica veneta al giorno d’oggi.
L’ultimo luogotenente della veneta Signoria a Udine fu Alvise Mocenigo, partito dalla città nel 2 maggio 1797.
Dopo varie vicende, Udine. occupata dall’esercito di Bernadotte, nel 18 maggio 1707, veniva. per il vergognoso trattato del 4 gennaio 1795, detto di Campoformio, ceduta all’Austria che vi rimase fino al 16 dicembre 1805, giorno in cui il generale Massena ne prendeva possesso a nome del primo Napoleone.
Ma l’Austria agognava sempre al possesso della vasta ed importante provincia friulana. Di fatti, combattendo in varie riprese con le truppe francesi, arrivò ad impadronirsi della città di Udine nell’aprile del 1800. Ma ne fu ricacciata un mese dopo, e vi rimase lontana fino al 25 novembre 1813, giorno in cui, ritiratosi il viceré Eugenio, il maresciallo Radivoievich vi entrava instaurando la dominazione austriaca, che la poneva in seguito a far parte del regno Lombardo-Veneto.
E veniamo al memorabile anno, in cui un soffio potente di nazionalità risvegliava da un capo all’altro l’Italia dal letargo di opprimente servitù che aveva addormentata ma non distrutta la fibra vitale del popolo italiano.
Già, durante i trentacinque anni di servitù, il patriottismo delle popolazioni friulane era tenuto desto, con imminente pericolo, da non pochi friulani ascritti alle società segrete, che cospiravano, unitamente ai patrioti delle altre provincie della penisola, per la sua redenzione.
La nuova dei moti di Vienna e le notizie che venivano dalle altre provincie d’Italia, scossero anche la popolazione udinese che fu sollecita a costituire la guardia civica, mentre il generale austriaco Auer, nel 23 marzo 1848, abbandonava la città. Sei giorni appresso, Udine, avendo fatto adesione alla repubblica di Venezia, veniva amministrata da un governo che si chiamò Comitato provvisorio del Friuli. Ma, il 22 aprile, dopo un bombardamento comandato dal generale austriaco Nugent, e una difesa eroica fatta dai cittadini alla minacciata porta Aquileia, la città, sprovvista di mezzi e di fortificazioni atti a difenderla, onorevolmente capitolava, e il dominio austriaco veniva ripristinato e vi durava fino al 24 luglio 1866.
Impossibile sarebbe il descrivere l’entusiasmo unanime della popolazione udinese all’arrivo delle truppe italiane che liberavano la città dal lungo ed aborrito giogo dell’Austria.
L’ intervento diplomatico del terzo Napoleone, se univa da una parte Udine alla grande patria, lasciava dall’altra una importante regione della provincia friulana sotto il dominio della secolare nemica degli italiani, l Austria. E nel trattato di Vienna del 3 ottobre 1866 il confine del nuovo regno italiano veniva segnato in una linea che è la negazione assoluta di ogni norma amministrativa e geografica.
Prima di chiudere questo breve ed incompleto cenno storico della città di Udine, ci sia permesso ricordare la parte presa da molti dei suoi cittadini al moto insurrezionale del 1864, preparato dal Mazzini, in cui un manipolo di generosi, abbandonati da coloro che li avevano eccitati alla rivolta, tennero in apprensione, per un tempo relativamente non breve, il potente governo dell’impero austriaco.
UDINE MONUMENTALE
Il palazzo o loggia municipale.
Il primo e più importante fra i monumenti di Udine, è senza alcun dubbio il palazzo Comunale.
Costruito nel più bel centro della città, l’elegante edificio forma, con altri monumenti non indegni, quel complesso che fa della piazza Contarena, ora, Vittorio Emanuele II, una delle più belle d’Italia.
Il consiglio della comunità. di Udine, nel 24 gennaio 1441, su proposta di Nicolò Savorgnano, deliberava la erezione di un nuovo palazzo del Comune.
Nel 4 giugno 1448 veniva accettato il progetto presentato da Nicolò Lionello, architetto ed orafo udinese, e su tale progetto si costruiva l’edificio, a cui lavorarono il capomastro Bartolomeo delle Cisterne, gli scalpellini Battista ed Elia da Lugano, Amicino da Como ed altri rinomati artisti dell’epoca. Allo scultore veneziano Bartolomeo Buono, si ordinava, nell’11 giugno 1448, di scolpire in marmo la Madonna, col castello di Udine nella mano sinistra ed il bambino Gesù nella destra.
Alla decorazione vi lavorarono pure Nicolò, pittore da Venzone, e altro pittore, Stefano da Settecastelli, tedesco.
Il palazzo però venne compiuto solo nel 1548, e pare anzi accertato che gli ultimi lavori fossero eseguiti su disegni di Giovanni Ricamatore detto Giovanni da Udine. Sotto la loggia, allora in parte chiusa, il Pordenone dipinse la Madonna, che, danneggiata dall’incendio del 1876, venne restaurata, anzi, sì può dire, ridipinta dal Ghedina. Pure sotto la loggia venne eretto il monumento al luogotenente Trevisan, contornato da figure in chiaroscuro dipinte da Pellegrino da San Daniele.
La scala che conduce al piano superiore fu compiuta nel 1559, su disegno del Sansovino. La porta che mette a detta scala venne costruita dal Palladio. Il palazzo si fece servire a vari usi: fu sede del comune, scuola di filosofia, teatro, palestra di scherma e ginnastica, quartiere di lanzichenecchi e casino di società.
Nella sera del 19 febbraio 1876, un incendio, causato da una fuga di gas, distrusse completamente il palazzo, che, per voto concorde della popolazione, venne ricostruito nel luogo e nella forma di prima. E difatti, il carattere primitivo, nella ricostruzione, diretta dal celebre architetto friulano Andrea Scala, morto giorni sono, venne conservato scrupolosamente; solo il tetto, che era piano, venne modificato. Le decorazioni interne e la figura rappresentante la Provincia, vennero eseguite dal Bianchi, fiorentino, artista giustamente rinomato per tal genere di lavori, ed ora rapito immaturamente all’arte.
Delle decorazioni esistenti prima dell’incendio, opera del pittore udinese Stella, nulla rimase. Solo il soffitto dello scalone, dipinto da tre artisti cittadini, il Masutti, il Simoni e lo Zilli, si salvò dall’opera distruggitrice delle fiamme. All’angolo sud est della loggia venne collocata la statua rappresentante la Patria del Friuli, scolpita da Andrea Flaibani, tanto modesto quanto valente artista udinese, i mobili e i lampadari furono fabbricati da artisti della città, sotto la direzione del conte Uberto Valentinis. Nelle sale superiori si ammirano: una statuina dipinta, posta nell’intercolonnio sopra la porta d’ ingresso alla sala dei matrimoni, due grandi quadri del Carneo, uno dell’Amalteo e uno del Floriani.
Dopo la ricostruzione il palazzo fu destinato alla residenza del comune, destinazione che, sì spera, gli sarà sempre conservata, anche per rispettare la volontà degli antenati che ne decretarono la erezione perché servir dovesse alla residenza del magistrato cittadino.
Il castello.
Dell’antico fabbricato, distrutto dal terremoto nel 1511, non resta ora che il portico a piani inclinati, collocato a sud del colle, e dal quale si può salire al castello, posto sul culmine del colle medesimo.
L’attuale edificio, architettato da Giovanni Fontana, maestro del Palladio, sorge nel sito ove era collocato il vecchio. Si accede al castello per un arco eretto dal Palladio in onore del luogotenente veneto Domenico Bollani e chiamato anche oggidì Arco Bollani.
Quantunque rovinato da restauri parziali, eseguiti con poca cura e nessun amore, l’edificio si presenta maestoso e soddisfa l’occhio anche dell’intelligente.
Per una scala esterna, doppia, costruita da Giovanni d’Udine nel 1547, si accede al salone superiore, sulle di cui pareti, una volta, si ammiravano dipinti dell’Amalteo, del Grassi e di G. B. Tiepolo, ed oggi, invece, si deplorano sgorbi orribili di qualche mal pratico restauratore, e guasti e mutilazioni fatti dai soldati che vi stanziarono.
Nel castello abitarono prima, dal 1222, epoca del trasporto della sede da Cividale, i patriarchi di Aquileia, poscia, dal 20 giugno 1420, i luogotenenti della repubblica veneta, da Roberto Morosini ad Alvise Mocenigo, che partì dalla città, come si disse nel cenno storico, nel 1797, dopo l’ obbrobriosa e sleale vendita della repubblica, fatta da Napoleone Bonaparte all’Austria. Vi fu in seguito collocato il tribunale provinciale e le preture che vi rimasero fino al loro trasporto nell’attuale palazzo in piazza Ricasoli. Attualmente vi stanzia un battaglione di fanteria, ma si parlava di ridarlo al comune, che vi avrebbe di nuovo collocati gli uffici giudiziari, rifacendo caserma nel fabbricato dove presentemente i detti uffici hanno la lor sede.
E, parlando del castello, non va dimenticato il guardafogo (guardia del fuoco), che, tutte le notti, vigila scrupolosamente sulla città da una specola posta sul tetto dell’eminente edificio.
Non vi è di certo nessun forastiero, restato a pernottare nella città, che, sorpreso, non abbia sentito il suono melanconico di una tromba venire da lassù in alto. Il suono, poco dissimile dal silenzio militare, si ripete ad ogni ora, cominciando dalle dieci, con inappuntabile precisione.
E i cittadini udinesi lo amano quel suono, ad essi indicante che un uomo è là, sentinella vigile, pronto ad avvertirli coi lugubri rintocchi della campana, se un incendio si vede rosseggiare sinistramente fra le tenebre della notte.
Il portico e la piazzetta di San Giovanni.
Anticamente, cioè prima del terremoto del 1511, sorgeva sull’attuale piazzetta una chiesa dedicata a San Giovanni. Dopo la sua demolizione, su disegno di Bernardino da Udine, parente e maestro di Giovanni Ricamatore, venne costruita la nuova chiesa, ora abbandonata, e il porticato, opera veramente commendevole, e che ottenne la ammirazione di quel genio dell’architettura che fu Andrea Palladio, La torre dell’orologio, che elevasi elegante quasi al centro del porticato, venne costruita su disegno di Giovanni da Udine. Sulla torre, due figure in rame, colossali, battono a vicenda, con puntualità, a dir vero non inappuntabile,
le fuggenti nel nulla ore fatali.
Gli uomini delle ore — come li chiamano gli udinesi — vennero eseguiti nel 1850 da Olimpio Ceschiutti sopra il modello del Luccardi, e vennero sostituiti ai vecchi, opera di certo maestro Adamo di nazion tedesca.
Il porticato, elegante e svelto, per molti anni abbandonato, minacciava rovinare.
Devesi all’insistenza del senatore Gabriele Luigi Pecile, per molti anni operoso ed intelligente sindaco di Udine, se un restauro completo, ultimamente e con arte perfetta eseguito, restituì la solidità e l’eleganza primitive alla graziosa costruzione.
Durante la dominazione austriaca, cioè fino al 1866, il porticato, la chiesa e i locali annessi, servirono a uso del corpo di guardia.
Sulla piazzetta, distendentesi davanti al porticato, ridotta nello stato attuale fino dal 1530 per ordine del luogotenente veneto Marco Antonio Contarini, si ergono due colonne, portanti, una la statua della giustizia. opera di Gerolamo Paliario, l’altra il leone alato, scolpito recentemente dal friulano Mondini. Vicino alle colonne sono collocate due statue colossali di Ercole e Caco, che, un tempo, ornavano lo scalone del palazzo Torriani, distrutto come fu detto nel 1717, e che sorgeva sull’area dell’attuale pazza dei Grani, detta una volta, appunto in memoria del memorabile avvenimento, piazza del Fisco, dalla voce friulana fiscà, che significa distruggere.
In fondo alla piazzetta si eleva il monumento rappresentante la Pace, scolpito dal Comolli, e destinato da Napoleone I a ornare la piazza di Campoformio, in memoria del trattato del 9 gennaio 1798 di infausta memoria. E nel mezzo, proprio davanti all’arco principale del porticato, venne innalzata la statua equestre a Vittorio Emanuele II, modellata dal Crippa, milanese, e fusa da Giovanni Battista De Poli, udinese, da poco mancato all’affetto e alla stima de’ suoi concittadini.
Sembrerà strano che, così vicini, sorgano due monumenti che ricordano avvenimenti tanto tra loro disparati. Ma le due figure, tanto diverse, ammoniscono ugualmente gli udinesi, a dare, occorrendo, il loro sangue per difendere la patria dai suoi nemici: ricordando la Pace l’obbrobrio dell’oppressione straniera, Vittorio Emanuele il lieto avvenimento dell’indipendenza e dell’unità nazionale.
Il duomo.
Non si hanno notizie sicure sulle origini della cattedrale udinese. Alcuni vogliono che il patriarca Bertoldo di Andechs vi costruisse una chiesa, nel 1235, dedicandola a Sant’Uldarico; altri, che il patriarca medesimo facesse restaurare, nel 1288, la chiesa già dedicata a Sant’Odorico.
Quello che invece si sa di sicuro è che, nel giugno 1855, il patriarca Bertrando di San Genesio, fattala ampliare ed erettavi la cappella dell’Annunziata, la inalzò al grado di collegiata.
I lavori di ampliamento continuarono fino al 1562; furono interrotti per vicende guerresche e ripresi nel 1368, nella qual epoca vi lavorarono gli architetti Federico da Varmo e Pietro Paolo da Venezia. La volta del presbitero venne costruita da un maestro Zanino, nel 1369: gli archi delle navate da certo Alvise, veneziano, nel 1423; i dipinti nella volta del coro, vasto e maestoso, furono eseguiti, intorno al 1483, da certo maestro Marco, ma di questi, pur troppo, oggi nulla rimane.
Due disgrazie, una ben distante dall’altra, contribuirono a far sì che la cattedrale udinese non diventasse uno di quei monumenti artistici che fanno restar sorpreso ed ammirato il forestiero che visita l’Italia, e che sorgono anche in località molto meno importanti della capitale del Friuli.
Vogliamo accennare alla sospensione del progetto che affidava la rifabbrica del duomo al Sansovino e a Giovanni d’Udine, e alla cattiva idea, venuta nel 1706 ai nobili Manin, di far eseguire i restauri necessari a loro spese, secondo il gusto cattivissimo dell’epoca.
Bellissime, e di uno stile purissimo, sono la porta principale nella facciata e l’altra vicina alla torre, e di cui si riproducono i disegni. L’interno del duomo, se non di stile corretto, è grandioso, ed ha delle opere d’arte pregevoli. Vi si trovano dipinti del Pordenone, del Tiepolo, dell’Amalteo, del Pellegrino da’ San Daniele, del Martini, di Maffeo da Verona, del Floriani, del Grassi, del Dorigny, francese, e del Novelli. Il Torretti, maestro di Canova, scolpì l’Annunziata e il patriarca Bertrando; Calderone e Picchi, udinese, eseguirono i bassorilievi in legno nel coro.
Vicino al duomo, sull’area dell’antico battistero, sorge la torre per le campane, fondata nel 1442, su disegno di Cristoforo da Milano e di Bartolomeo delle Cisterne, udinese, La sua altezza attuale è di quarantasette metri, ma, secondo il progetto, doveva elevarsi a circa settanta; al livello, cioè, dell’angelo Gabriele posto sul campanile del castello, annunziante alla vergine Maria, da collocarsi sul culmine della torre, la nascita del Messia.
Credesi però che l’angelo avrà da aspettare un bel pezzo prima di eseguire l’ambasciata.
Le chiese minori.
La Purità. — Fu eretta nel 1756 dal patriarca Daniele Delfino, sull’area del teatro Mantica, il più antico di Udine.
Vi si ammirano dipinti di G. B. e Domenico Tiepolo, e l’elegante fonte battesimale, scolpito da Giovanni de Biagio da Zuglio nel 1480.
San Francesco dell’Ospitale. — Una delle più antiche della città, venne fondata nel 1290. La vecchia architettura vedesi ancora in parte della facciata e nel campanile. Nell’ interno trovansi dipinti dell’Amalteo, dell’Aliense, del Grassi e del Paulini.
San Giacomo. — Questa chiesa venne cominciata nel 1370 per conto della confraternita de’ pellicciai. Nel principio del secolo decimosesto venne ampliata e costruita l’attuale bellissima facciata, su disegno di G. B. Grassi e di Bernardino da Udine.
Nella chiesa, fra altro, possonsi ammirare sculture del Contieri, e dipinti del Venier, del Rotari e del Grigoletti.
Sulla piazza, davanti alla chiesa, sorge, semplice ed elegante, una fontana innalzata nel 1552 su disegno di Giovanni d’Udine ed una elegante colonna fatta nel 1487.
San Pietro martire, — Antica chiesa del tredicesimo secolo. Di notevole in essa: il parapetto dell’altare del Rosario, scolpito dal Torretti, e dipinti del Pordenone e di Pomponio Amalteo, entrambi friulani.
San Cristoforo. — Anche questa chiesa è antica, essendo stata costruita nel 1358 dagli abitanti del borgo. Venne però completamente restaurata, meno la torre del campanile e la porta principale, che conservano ancora il loro primitivo purissimo stile.
La Madonna delle grazie. — Eretta sull’area dell’antica chiesa dei santi Gervasio e Protasio, che esisteva fino dal 1299, è opera del Massari e altri. Pure del Massari è l’altare, dove è collocata l’immagine della Madonna, proveniente da Costantinopoli e regalata dal luogotenente della repubblica Giovanni Emo, e che la tradizione vuole dipinta da San Luca.
La pala dell’altar maggiore, dipinta su legno pioppo, è una vera rarità, essendo l’unica opera di Luca Monverde morto giovanissimo. Vi sono inoltre buoni lavori di Domenico Tintoretto, del Diziani, del Lugaro e d’altri.
Cappella Manin della Natività di Maria. — Venne fatta costruire dalla famiglia Manin, a cui appartenne l’ultimo doge della repubblica veneta. Ammirabilissimi i quattro bassorilievi in marmo del Torretti, di soggetto biblico, e una statua della Madonna.
Le Zitelle. — Piccola chiesuola, fondata nel 1610, annessa all’educandato dello stesso nome: ma assai ricca di dipinti pregevoli. Ricordiamo gli autori: Maffeo da Verona, Peranda, Palma il giovane, Marco Vecellio, Cosattini e Balestra.
San Nicolò. — Chiesa costruita nel 1878, in uno stile semplice ma corretto, sopral’area della vecchia, che esisteva fino dal 1305.
San Giorgio. — E la parrocchiale di Grazzano ed è di recente costruzione. Prima però, poco lungi, sorgeva altra chiesa, appartenente ai cavalieri dell’ordine gerosolomitano, e che è ricordata fino dal 1221.
Sull’altare maggiore trovasi una pregiata tavola del Florigerio.
Il Redentore. — Anche questa venne di recente costruita sopra l’area di altra anticamente esistente. Notasi un lavoro di Palma il giovane.
B. V. del Carmine. — Fu costruita dai carmelitani nel 1525, ed entro vi si conserva la tomba del beato Odorico da Pordenone, celebre viaggiatore e missionario del secolo XIV.
S. M. del castello o San Biagio. — È la più antica della città: contemporanea al castello, sul cui colle è eretta, è ricordata fino dal 903. Il patriarca Bertrando vi tenne il suo primo concilio provinciale il 29 maggio 1525. Venne ricostruita nel 1500.
Sant’Antonio abate dell’arcivescovado — Fondata nel 1554, venne assunta al grado di chiesa patriarcale nel secolo XVI, quando i patriarchi dovettero abbandonare il castello al luogotenente veneto e recarsi ad abitare nell’ospizio degli spedalieri di Sant’Antonio di Vienna, che era unito a questa chiesa.
Ridotta nella forma attuale dal patriarca Barbaro, la facciata che oggi si ammira venne fatta costruire dal patriarca Daniele Delfino.
In questa chiesa vi tennero la sinode diocesana i patriarchi: Antonio Grimani nel 1627; Giovanni Delfino nel 1669: Dionisio Delfino nel 1703; Daniele Delfino nel 1740.
Altre e molte chiese minori si trovano nella città, ed in quasi tutte vi sì conserva, qualche pregevole opera artistica dell’epoca in cui l’arte era retaggio naturale degli artisti italiani.
Monumenti a Vitt. Emanuele Il ed a Giuseppe Garibaldi.
I due monumenti sorgono sulle due piazze omonime.
Il monumento a Vittorio Emanuele è in bronzo, e venne modellato dal cav. Crippa di Milano. E la riproduzione, quasi identica, del monumento eretto alla salita del Pincio a Roma, dal lato di piazza del Popolo, opera dello stesso Crippa.
La bellissima statua equestre venne fusa dall’udinese cav. G. B. De Poli, nella sua officina, assai nota per la perfezione dei lavori che da essa vengono eseguiti, e per l’Italia e per l’estero.
Come il restauro del porticato di San Giovanni, così il monumento a Vittorio Emanuele, sono opere che Udine deve alla tenace e costante volontà del suo cessato sindaco, il senatore Gabriele Luigi Pecile.
È deplorabile però che la bellissima statua siasi dovuto, per mancanza di adeguati mezzi pecuniari, collocarla sopra un meschino piedistallo che fa una infelice figura in mezzo a quei gioielli d’arte che gli stanno da vicino.
La statua al generale Giuseppe Garibaldi è pure in bronzo, e venne fusa nella fonderia De Michieli di Venezia sopra il modello eseguito e presentato ad un concorso dal figlio del medesimo fonditore.
Il complesso del monumento non si può dire, dal lato psicologico, completamente non riuscito. Egli è certo però che, artisticamonte, il monumento è un’opera infelicissima, che non fa molto onore al giovane artista che l’ha modellato e meno al giurì che lo prescelse fra i parecchi modelli presentati al concorso.
Ma gli udinesi, lasciando correre i difetti che una accurata critica può trovare al monumento, si fermano sempre e volentieri davanti alla figura del simpatico eroe; e il loro cuore palpita commosso ai gloriosi ricordi delle gesta leggendarie e della vita di operoso patriotismo, che resero tanto caro ed amato — fra il popolo d’Italia — il nome di Giuseppe Garibaldi.
E passino pure in santa pace i difetti artistici di un’ opera, pur che essa sappia in ogni tempo spingere la gioventù udinese a sacrificarsi con entusiasmo per conservare la libertà e aumentare la grandezza della patria.
Palazzi pubblici.
Gli uffici comunali. — Dietro al palazzo della loggia, già descritto, il comune fece edificare altro fabbricato, destinato a contenere gli uffici del magistrato cittadino. Esso venne architettato nel 1195, e compito nel secolo seguente. Un progetto grandioso per la rifabbrica sua fu presentato dal giovane architetto friulano prof. Raimondo d’Aronco, già noto favorevolmente per molti lavori da esso compiuti.
In questo edificio trovasi il gran salone, destinato fin da principio alle adunanze del maggior consiglio, e che ora, dalla statua di Ajace Oileo, bellissimo lavoro dell’udinese Luccardi, ivi collocata, è chiamato Sala dell’Ajace.
Un tempo, tutt’all’ingiro, eranvi gli stalli dei consiglieri e la tribuna degli oratori; in seguito furono costruiti dei sedili a ridosso delle pareti, alle quali sono appesi dei grandi dipinti, alcuni di qualche pregio, come una crocifissione del Bellunello, la consacrazione di Santa Ermacora e i dottori della chiesa, opera del Pellegrino da San Daniele, la ultima cena, dell’Amalteo, la manna nel deserto, del Grifloni e diversi lavori del Secanti.
In questa sala ora si tengono pubbliche riunioni, conferenze, distribuzioni di premi e altre solennità cittadine.
Il monte di pietà. — A metà della via Mercatovecchio, la più importante tra le vie di Udine, sorge il monte di pietà, edificio eretto nel 1040, e che, conservando nelle linee qualche cosa della decadente fioritura artistica, non è opera né ammirabile, né malvagia.
Nella cappella vi si ammirano bellissimi freschi del Quaglia, sulla passione del Cristo e la vita della Madonna, un gruppo del Comini ed un dipinto dell’Amalteo, rappresentanti la Pietà; inoltre dei cuori con fiori dipinti ed in rilievo di pregio non comune.
L’arcivescovado. — Questo grandioso fabbricato venne eretto nel 1610 per ordine del patriarca Francesco Barbaro, sulla piazza Patriarcato, ora Ricasoli.
L’edificio è di buona architettura, ma i pregi esterni non hanno nulla a che vedere con quelli interni, veramente ammirevoli.
Cominciamo intanto dal dire che il soffitto di una delle stanze è dipinto da Giovanni Ricamatore: ed è questa l’unica opera che la città conservi del suo celebrato cittadino.
Poi accenneremo ai freschi del Tiepolo che adornano le pareti della galleria ed i soffitti dello scalone e di una camera; le decorazioni della galleria fatte dal Colonna; i freschi del Fabris nel soffitto del salone.
Il palazzo è dotato di una ricchissima biblioteca, fondata dal patriarca Dionisio Delfino; sul soffitto di questa biblioteca il Bambini dipinse egregiamente la sapienza divina. Nella cappella interna vi sono due dipinti di pregio non comune: la Madonna, del Palma, e l’Assunta, del Bambini.
Nel palazzo abitarono, prima i patriarchi, poscia, dopo il trasporto della sede a Venezia, i vescovi e gli arcivescovi che ancora vi mantengono la loro sede.
Nel 14 marzo del 1867, ricorrendo l’ anniversario della nascita di Vittorio Emanuele, e celebrando Udine la festa nazionale, la prima volta dopo la partenza degli austriaci, avvenne un fatto veramente deplorevole, che, fortunatamente, non ebbe serie conseguenze. Il popolo, indignato per il rifiuto a cantare il Te deum nella cattedrale, fatto dall’arcivescovo Casasola, già, poco beneviso agli udinesi, assalito il palazzo e forzatone l’ingresso, vi penetrava con l’intenzione di infliggere al prelato una severa lezione.
Buon per lui che in tempo veniva fatto fuggire per una porticina del giardino; diversamente si avrebbe forse avuto a deplorare un fatto doloroso per una cittadinanza che può mettersi fra le più miti ed assennate d’Italia.
Palazzi privati.
Belgrado. — Vicino al palazzo degli arcivescovi, ora descritto, trovasi un altro bellissimo e grandioso fabbricato, che appartenne alla famiglia patrizia dei Belgrado, dopo essere stato di un’altra nobile famiglia udinese, quella degli Antonini. Ora è proprietà della provincia, che, con assennata deliberazione, lo acquistò per farne l’abitazione del prefetto.
Degni di visita nel palazzo sono gli affreschi del Quaglia che ornano lo scalone e il soffitto della sala.
In questa sontuosa abitazione furono ospitati in tutte le epoche gli illustri personaggi che si recarono a visitare la città. Notiamo, fra altri: il pontefice Pio VI, Paolo I di Russia, Napoleone I, Francesco I d’Austria e Vittorio Emanuele II.
Antonini. — Severo e maestoso edificio, architettato da Andrea Palladio, e, malauguratamente, incompleto.
La sala al piano nobile fu dipinta, e non male, da un pittore tedesco, il Fischer, nella prima metà del XVII secolo.
Cernazai. — Vicinissimo a quello Antonini, ed una volta proprietà di questa famiglia, sorge il palazzo Cernazai, di architettura semplice, ma corretta ed originale.
Florio. — Merita ricordato, non per la architettura, che non ha qualità rimarchevoli, ma per la ricca e preziosa biblioteca, in cui, oltre ad una copiosa raccolta di opere stampate e manoscritti, sì conservano, un codice membranaceo della Divina Commedia del XIV secolo, ed altro simile dell’Eneide del secolo XV, senza contare un numero discreto di incunabuli rari e perfettamente conservati.
Caiselli. — In questo palazzo, eretto in piazza San Cristoforo, si conserva, e merita d’esser visitata, una copiosa raccolta di dipinti dei due Carneo, padre e figlio.
Mangilli. — Nel palazzo, come ricorda una lapide murata sulla facciata che prospetta la piazza Garibaldi, ebbe dimora l’eroe dei due mondi, quando recossi a visitare la città.
UDINE INTELLETTUALE
L’accademia. — Nella mania di accademizzare che si lasciò dietro il Rinascimento in Italia, anche Udine ebbe la sua piccola parte. Verso il principio del secolo XVII viveva già l’Accademia degli Sventati che morì tisicamente, nella prima meta del secolo XVIII. Si ricordano anche l’Accademia Giulia, verso la fine del seicento, quella Patriarcale, l’Ecclesiastica, dei Filomazi, degli Asciti.
L’attuale Accademia di Udine, ebbe vita nel 18 marzo 1756, e registrò fra i suoi membri sempre le migliori intelligenze del Friuli, occupandosi, non in vane lustre acecademiche, ma veramente in utili e pratici studi, e curando pubblicazioni che servissero a condegnamente illustrare la città di Udine e la sua provincia, tanto ingiustamente dimenticate.
Istituti scolastici. — La città di Udine ebbe, fino dai tempi più lontani, cura per l’istruzione dei cittadini. E difatti è provato che il comune fece aprire pubbliche scuole e chiamo maestri da fuori fino dal XIII secolo. Nel 1297 si rileva che certo Pace vi teneva pubblica scuola; nel 1389 esisteva una cattedra, da cui insegnava un Giovanni da Ravenna, segretario del patriarca. In quest”epoca si possono anche ricordare i nomi dei fratelli Giovanni e Giacomo da Spilimbergo ; più tardi, nei secoli XV e XVI quelli di Antonio Baratella da Padova, di Francesco Diana. di Francesco Rolandello da Treviso, di Marco Antonio Sabellico, degli Amasei, di Bartolomeo Uranio da Brescia, del Filomuso, dello Sporeno, e di altri, non meno illustri, che insegnarono nelle scuole udinesi.
Ora Udine è ricca di scuole e di istituti dove insegnano persone di ingegno coltissimo, istruendo la gioventù ed educandola, ad una vita laboriosamente utile per sé e per la patria.
Ricordiamo il liceo-ginnasio Jacopo Stellinî, l’istituto tecnico Antonio Zanon, la scuola tecnica, la scuola normale femminile, le scuole elementari, l’istituto femminile Uccellis, uno dei primi d’Italia: poi il seminario arcivescovile, il collegio Giovanni d’Udine, le scuole del patronato, le scuole dell’orfanotrofio Tomadini, e molti educandati femminili.
Merita un speciale ricordo la scuola pratica d’ arti e mestieri, dove egregi insegnanti impartiscono l’istruzione ai giovani operai, e che diede già dei risultati soddisfacenti.
Stampa. — Tenuto conto della importanza non grande della città’ la stampa cittadina ha una rappresentanza numerosa. Oggi vi si pubblicano quattro giornali politici quotidiani, il Giornale di Udine, diretto da Pacifico Valussi, il benemerito decano della stampa italiana, la Patria delFriuli, il Friuli e il Cittadino italiano, organo della parte, diremo così, nera della provincia friulana. Altri giornali e bollettini periodici vedono la luce nella città, e sono compilati da egregie persone che lavorano con lena ed amore ad illustrare la piccola patria per farla degnamente conoscere e farle prendere quel posto che meritamente gli spetta fra le altre provincie d’Italia.
Biblioteche. — La prima biblioteca di Udine venne instituita dal patriarca Dionisio Delfino, munifico e colto prelato. Oggi la biblioteca contiene circa trentamila volumi di opere importanti e rare, oltre a una non piccola raccolta di preziosi manoscritti e incunabuli che trattano di storia patria, di liturgia, d’arte, di letteratura, di poesia latina, italiana e dialettale.
Meritano speciale menzione alcuni manoscritti liturgici dell’abazia di Moggio, i codici in lingua ebraica, greca, latina e italiana, gli scritti archeologici, parte dei quali inediti, del conte Gerolamo Asquini, la rarissima edizione greca delle Opered’Aristolele, pubblicata da Aldo a Venezia nel 1495-98, la raccolta delle Bibbie dei SS. Padri e delle Fabbriche di Francia, opera di lusso regalata dal re Luigi XIV.
Ma la biblioteca arcivescovile, ricca, è vero, di opere e manoscritti antichi, non seguiva il movimento letterario contemporaneo, vuoi per mancanza dei mezzi occorrenti agli acquisti, e vuoi per la ripugnanza nei preti a raccogliere le opere della moderna letteratura, combattente per il trionfo di nuovi concetti filosofici, tendenti ad abbattere le dannose teocrazie ed oligarchie, tanto tenacemente sostenute dai ministri della chiesa.
Il legato di circa tremila volumi lasciati al comune dal conte Ottaviano Tartagna nel 1827, fece nascere la buona idea di fondare una biblioteca comunale, che riempisse la lamentata lacuna. In breve per doni «dei cittadini e per acquisti fatti dalla amministrazione comunale, la biblioteca fu dotata di un numero elevato di volumi e di una quantità rilevante di manoscritti e pergamene interessantissimi.
Queste ultime ascendono a circa dieci mila e cominciano dal secolo XI.
Oggi la biblioteca, frequentata assai dagli studiosi, possiede quasi trentamila opere ton circa 45 mila volumi. Gli acquisti sono fatti con giudiziosa cura dall’operosissimo ed intelligente bibliotecario, dottor Vincenzo Joppi, benemerito anche per pubblicazioni pregevolissime sulla storia della città e della provincia.
Fra le biblioteche private di qualche importanza vanno ricordate quella dei conti Florio, quella dei fratelli Antonio e Vincenzo Joppi e quella Cernazai, ora in proprietà del seminario arcivescovile.
Atti importanti per la storia della città sì conservano pure negli archivi municipale, notarile, dell’ospitale, patriarcale e del capitolo metropolitano.
A completare il cenno in questa parte, ricorderemo che Udine è dotata di una scuola di stenografia che ha dato dei buonissimi risultati, e che ottenne varie onorificenze alle mostre alle quali si presentò.
La società di ginnastica è fiorente, ed anche ultimamente, al concorso di Roma, venne meritamente premiata. L’istituto filodrammatico Teobaldo Ciconi ha unita una scuola di recitazione frequentata discretamente, e la società filarmonica e la scuola municipale di musica danno dei buonissimi allievi specialmente di strumenti ad arco.
UDINE BENEFICA E PREVIDENTE
Per persuadere sulla importanza che hanno gli istituti di beneficenza, basti il dire che Udine, con una popolazione inferiore ai trentamila abitanti, ha un patrimonio depurato di quasi otto milioni di lire, con una rendita annua di circa lire ottocentomila, che sono quasi tutte adoperate al alleviare le misere condizioni dei poverelli, mercé la disinteressata ed efficace opera di benemeriti amministratori che reggono le varie istituzioni udinesi. A prova basti il fatto, meritevole di nota, che le spese d’amministrazione ed altre, meno le imposte, per tutto il colossale patrimonio, non ammontano alla cifra di centomila lire annue!
Fra gli istituti di beneficenza meritano speciale menzione l’ospitale civile, il monte di pietà, la casa di ricovero per i vecchi, l’istituto Renati, l’istituto Micesio, l’istituto Tomadini, la casa delle zitelle e molti altri che sarebbe lungo a ricordare.
A coadiuvare l’opera benefica degli istituti ricordati, a Udine furono istituite parecchie società di mutuo soccorso, prima fra cui annoverasi quella generale fra gli operai, con un patrimonio di oltre duecento mila lire.
UDINE INDUSTRIALE
Sete. — Una delle più antiche c più diffuse industrie udinesi è certamente la serica, la cui origine risale fino al secolo passato. Molte filande a vapore funzionano entro le mura della città, occupando un numero elevato di operaie, buona parte delle quali vengono dal contado.
La seta che producono le filande udinesi, ed in genere quelle di tutto il Friuli, hanno grandissimo pregio sui mercati francesi per la loro bontà e per il perfetto sistema con cui vengono lavorate.
Non si può certamente omettere di ricordare, lodandoli, gli industriali serici udinesi che continuano a tener viva una industria, oggi, pur troppo, tanto poco rimunerativa.
Metalli. — Questa industria negli ultimi anni ha preso nella città un ben largo sviluppo.
Il primo a dare impulso alla lavorazione meccanica dei metalli fu il bresciano Antonio Fasser, venuto a stabilirsi a Udine dopo il 1547, e morto ancor giovane, pochi mesi or sono.
Oggi, oltre lo stabilimento del Fasser, ingrandito, vi sono impiantate le ferriere di Udine, stabilimento di prima importanza, che occupa oltre centocinquanta operai e che lavora ogni anno più che seicento vagoni di ferro mercantile, di eccellente qualità e che si vende tutto in Italia.
Ricordiamo inoltre le fonderie addette alle ferriere e quelle Bastanzetti, De Poli e Broili, dalle quali uscirono opere importanti e riuscitissime.
Altri laboratorii di minore importanza, ma non meno degni di lode per i loro lavori, sono quelli del Grossi, del Ceschiutti, del Malignani, del Modotti, del Bertoli, dei Santi e Grassi, ecc.
Legnami. — In prima linea mettiamo la grande fabbrica dei parchetti aperta solo nel marzo del 1890, ma che giù a quest’ora ha preso uno sviluppo straordinario per la bontà dei suoi prodotti ed il loro prezzo veramente eccezionale. Poi ricorderemo le fabbriche di liste dorate e di metri di M. Bardusco, industriale degno dei maggiori encomi per la sua straordinaria intraprendenza; le fabbriche di sedie con legno curvato delle ditte Antonio Volpe e Sebastiano Nardini.
Un’industria che non mancherà certo di un vantaggioso avvenire è quella degli oggetti in vimini, per la quale sono già istituite scuole apposite ove vengono istruiti gli operai nel non facile lavoro.
Sostanze fibrose. — Vanno ricordati per la loro importanza parecchi stabilimenti dove si lavorano le materie tessili. Essi sono il cotonificio udinese, le tessiture di Marco Volpe e di Luigi Spezzotti, la fabbrica di maglie del Plateo, quella di cordaggi dei fratelli Angeli, la tessitura della seta dei fratelli Raiser.
Questi stabilimenti occupano costantemente circa un migliaio di operai d’ambo i sessi, appartenenti quasi tutti alla città ed ai villaggi contermini.
Carta e affini. — Di recente impianto è la cartiera dei fratelli Fenili, in cui si produce carta da impacco di buonissima qualità.
Le tipografie udinesi sono parecchie e meritano speciale menzione quelle del patronato, di G. B. Doretti e soci, di M. Bardusco, di Giuseppe Seitz, la Cooperativa e quella Cantoni.
Non si può omettere di fare un particolare cenno della rinomata litografia di Enrico Passero, stabilimento importante e, per la bellezza dei suoi lavori, annoverato fra i primi d’Italia, nel genere.
Sostanze alimentari. — Parecchi molini a cilindri sostituirono i vecchi sistemi della macina, producendo farine di tipo bellissimo e che vengono vendute sui mercati d’ Italia con grande facilità. Udine è poi dotato di fabbriche importanti di paste è di torchi da olii nonché di una pilatura da riso di proprietà della rinomata, ditta G. B. Degani.
Altre industrie cittadine degne di nota sono le concerie, la fabbrica di unto da carro del Marcovigh, la grande fabbrica dei fiammiferi della ditta Maddalena Coccolo, lo stabilimento pirotecnico di Giusto Fontanini, inventore di una utilissima macchina per fare i razzi, le fabbriche di birra dei fratelli Moretti e del Dormisch, e altre che lungo sarebbe il ricordare.
Abbiamo voluto fare un rapido accenno alle industrie impiantate per poter poi infine ricordare che a Udine non venne mai impiantata un’ industria senza che questa non avesse un esito felice. Questo dipende dalla laboriosità veramente rara dell’operaio, e dalla sua sobrietà, che lo fa accontentare di un salario mitissimo.
Vogliamo sperare che il fortunato esito dell’industrie impiantate invoglierà i capitalisti friulani a studiare l’istituzione di altre industrie che siano fonte di guadagno per essi e di risorsa per il paese.
MUSEO FRIULANO
Il museo è collocato nel palazzo legato al comune dalla contessa Teresa Dragoni-Bartolini.
Solo da pochi anni, alcune persone, animate dal nobilissimo scopo di dar lustro alla città e dall’amore per le arti e le scienze, si diedero, con lodevolissimo intento, a formare una raccolta di oggetti, che potessero servire agli studiosi di elemento per ricostruire la storia del passato della vasta ed importante regione friulana.
E, tenuto conto degli scarsi mezzi di cui dispone il museo, si può dire che l’ opera di questi benemeriti cittadini ha sorpassato le più rosee speranze.
Il carattere sommario e popolare di questa pubblicazione, non ci permette di dilungarci nella minuta descrizione di tutte le collezioni che adornano oggi le sale del museo.
Non vogliamo omettere però di ricordare, fra tali collezioni, quella delle ambre romane, collane, avori, ecc., legata dal conte Francesco di Toppo.
Questa raccolta, svariata e copiosa, è di tale importanza, che nessun museo del mondo può vantarsi di possederne una uguale.
Né va dimenticata una raccolta di sigilli moderni e medioevali, lasciata dal Cigoi, ed in seguito aumentata, e che può servire di base a seri ed utili lavori sulla sfragistica friulana.
Non disprezzabile è la raccolta di armi, vetri, bronzi, vasi, anfore, ecc., di tutte le età e di tutte le forme.
La pinacoteca, non notevole per abbondanza, ma pregiata per la qualità dei dipinti, contiene opere di rinomatissimi artisti; citeremo: una tela di Gerolamo d’Udine, opera unica di questo artista, altra tela di proporzioni colossali di Palma il giovane, tre quadri del Tiepolo, un ritratto di Cornelio Frangipane, copia dal Tiziano; e poi quadri del Callot, del Giuseppini, del Politi, del Grisoletti, del Darif, ecc.; alcuni schizzi originali del Tiepolo, del Caracci, di Paolo Veronese, del Parmigiano, del Pordenone, dell’Amalteo, del Palma, del Tempesta, del Rotari, ecc.: una raccolta di più che mille stampe bellissime degli autori più celebrati.
Se i friulani, come è sperabile, continueranno a circondare il museo di quell’affetto che merita, in brevi anni esso potrà contenere elementi tali da renderlo interessante agli studiosi di tutto il mondo.
DIALETTO E SUA LETTERATURA
Il Friuli, abitato un tempo da popoli celtici, venne, dopo aspre lotte, conquistato dai romani.
I vinti non tardarono a adottare la lingua dei vincitori, facendole però subire notevoli cambiamenti nella fonetica, e nella sintassi.
Le basi celtiche e romane del dialetto lo fecero annoverare, da illustri filologi moderni, fra le lingue ladine, o retoromanze, parlate nelle due provincie del Friuli, nelle alte valli dell’Adige, in parte del Bellunese e nel canton Grigioni.
Nuove modificazioni però il dialetto subì anche in seguito per le invasioni barbariche e più particolarmente per quella dei longobardi che si fermarono a lungo nel paese.
I contatti lunghi avuti più tardi coi galloispani ebbero per risultato altre modificazioni; tanto che qualche autore, e con plausibili ragioni, fece dei confronti per stabilire al friulano una fratellanza strettissima col provenzale, col francese e con lo spagnuolo.
Ultimamente del dialetto friulano si occuparono parecchi autori, fra cui ricorderemo Gartner, Czoernig e Ascoli, friulano, che lo illustrarono con competenza e diligenza massime. Le loro opinioni non sono però perfettamente concordi sull’etimologia dei vocaboli che compongono il dialetto.
Noi non possiamo in questo lavoro occuparci a dimostrare quale dei tre autori sia maggiormente nel vero; ci limiteremo ad osservare che l’origine popolare del dialetto viene provata dalle sue radici quasi tutte derivate dal fermo rusticus e dal castrensis.
Tale fatto concorda pienamente con i ricordi storici che asseriscono la potenza e la floridezza delle tre colonie romane del Friuli: Aquileia, Cividale (Forum Juli) e Zuglio (Julium Carnicum).
Oggi il dialetto friulano è parlato nelle valli della Carnia e in quella del Ferro, nelle prealpi tra il Livenza e l’Isonzo, nell’alto piano fra il Tagliamento ed il Livenza e nella pianura fra il Tagliamento e l’Isonzo; meno qualche eccezione in borgate che devono la loro origine a colonie venete, come Latisana, Marano, Palmanova.
Si può quindi calcolare che le persone che lo parlano siano in numero di cinquecentomila. Questo però va sempre più assottigliandosi per la guerra che gli viene mossa da ogni parte: nelle scuole, nell’esercito, nelle famiglie.
La letteratura del dialetto friulano è ricca quanto quella dei più importanti dialetti d’ Italia. La letteratura popolare annovera in quantità fiabe, tradizioni, leggende , canti popolari o villotte, proverbi, ecc., che vennero raccolti da parecchi studiosi e pubblicati in varie edizioni.
Le villotte friulane sono la spontanea creazione della musa popolare, assai raramente il parto di un poeta vernacolo; da ciò una forma non sempre corretta, ma una originalità costante ed una efficacia di pensiero raggiunta quasi sempre con concisione e facendo spesso uso di reticenze arditissime.
La forma usata per il metro lirico delle villotte è la quartina di ottonari, le cui rime ordinariamente cadono sul secondo e sul quarto verso. Il contenuto di questi canti popolari si aggira quasi sempre sopra argomenti amorosi; il frizzo pungente, le allusioni licenziose si riscontrano raramente ; le oscenità sono sconosciute.
Il popolo friulano, cantando le sue canzoni, le riveste di un’armonia melanconica ma perfettissima, ed avente spesso frasi musicali di sublime originalità.
Il dialetto friulano ha avuto anche i suoi scrittori. Sì rinvennero composizioni dialettali che risalgono al secolo XIV; fra altre una lirica di quattro strofe di argomento erotico. Del secolo XV conservasi una canzone di tema amoroso.
La letteratura dialettale friulana, quasi nulla fino alla caduta del governo patriarcale, prende uno sviluppo importante, appena la provincia, posta sotto la protezione della potente repubblica di Venezia, comincia a godere di una tranquillità relativa, ma molto superiore a quella avuta sotto il fiacco reggimento dei patriarchi.
Di edito nel secolo XVI abbiamo: una canzone sulla vittoria di Lepanto, la versione della novella IX, giornata I, del Decameron nell’opera del Salviati, ed un madrigale in lode del luogotenente veneto N. Contarini, scritto da Gian Domenico Cancianino.
Il chiarissimo dottor Vincenzo Joppi, bibliotecario della comunale di Udine, curava la pubblicazione di alcune liriche e frammenti poetici dovuti alla musa dialettale. Fra questi ricordiamo lavori del Morlupino di Venzone, del Sini di San Daniele, del Biancone di Udine, di Luigi Amalteo di Pordenone; più un Travestiimento del I e di parte del II canto dell’OrlandoFurioso di Lodovico Ariosto, scritto da un anonimo.
Anche il seicento si distinse per una disecreta attività della letteratura dialettale friulana, che andava acquistando più correttezza grammaticale e più spigliatezza nello stile.
Nel Ragionamento sopra la poesia giocosa, pubblicato da Nicolò Villani a Venezia nel 1634, è detto che si distinsero nella poesia friulana del secolo XVII Gaspare Garabello, Gerolamo Missio, Daniello Sforza, Brunellesco Brunelleschi, Francesco de’signori di Zucco, Plutarco Sporeni, Giovanni Pietro Fabiani e Paolo Fistulario, tutti udinesi, che, come dice il Bonini nella Guida di Udine, «congiunti nel vincolo accademico, secondo portava la moda, sfogarono in rime la loro vena sull’eterno argomento dell’amore.» In una collezione di poesie, edita ad onore del Luogotenente della veneta repubblica Gabriele Marcello, figurano due sonetti del conte Ermes di Colloredo, che, dopo il Zorutti, stimasi il migliore degli altri verseggiatori friulani, e altri due sonetti ed una Cingaresca del conte Giovanni Giuseppe Della Porta. Del conte Ermes di Colloredo abbiamo un Canzoniere pubblicato in varie edizioni.
E, attraverso il XVIII secolo, ricco per numero di pubblicazioni non certo per il valore di esse, ricordando il Paciani, il Busisio con la sua traduzione dell’Eneide in versi berneschi friulani, il De Caneva, il Comini, e altri, veniamo all’epoca moderna, la che diede uno sviluppo insperato allo studio del dialetto e della sua letteratura.
In mezzo ad una schiera di valorosi cultori della letteratura friulana, fra cui ricorderemo l’Ascoli, col suo Schizzo storico-filologico sull’idioma del Friuli e sullasua affinità colla lingua valaca e con gli scritti nell’Archivio Glottologico, da questo eminente filologo diretto; l’ abate Jacopo Pirona col suo Vocabolario friulano; e poi il Brunialti, il Della Bona, lo Czoernig, il Barozzi, il Ciconi, il Gortani, il Joppi, il Leicht, lo Schneller, il Cherubini, il Cattaneo, il Flecchia, il Fornari, il Wolf, lo Simzig, l’Arboit, il Murero, sorge eminente la personalità originale di poeta vernacolo di Pietro Zorutti.
Anche per il giudizio critico su questo maggiore tra i poeti friulani, ci permettiamo di adoperare le parole dell’egregio prof. Pietro Bonini:
«Si tratta — esso scrive nella già citata Guida di Udine — d’un poeta vero. In lui completa, sino alle più lievi sfumature, la conoscenza dell’idioma friulano, spiccata l’intuizione della natura, pronto lo scherzo, spiritoso l’epigramma, il verso adatto sempre al soggetto: ricco a volte di nerbo e delizioso anche per metastasiana melodia. Egli ride e folleggia: è l’anima delle liete brigate; le sue rime burlesche di gaudente fanno buon sangue; si direbbe, leggendole, ch’ei non può assorgere alle altezze ove ha dominio il cuore. Ma no, ché La plovisine, La gnott d’avril, L’invid a Tonine, La gnott dei muarts e alcune altre liriche, rivelano chiaro che il Zorutti, ha un’altra corda nella sua cetra: quella mesta e soave della elegia e dell’idillio.»
Poi soggiunge: « Osservatore finissimo della umana tragicommedia, psicologo e critico, tutto a lui è argomento di poesia, ed è creatore di tipi comici e di lepidi motti che il popolo friulano non potrà dimenticare. Non sempre è casto nei versi, che danno di frequente in ischerzi scapati, ma non va fino alla sudiceria, e non sembra che si compiaccia nell’indegno trastullo.» Tale il Zorutti, e il giudizio del Bonini è veritiero in ogni sua parte. Un torto, e grave, ha però il grande poeta friulano, e il Bonini lo nota:
«Bisogna ben dirlo: il Zorutti non fu degli eletti che pugnarono colla penna pel risorgimento nazionale: se non inchinossi alla dominazione straniera, questa però non ebbe mai a sentire la punta delle sue freccie.»
E il torto del Zorutti è tanto più grave, in quanto che a Udine era numeroso lo stuolo dei patrioti che cospiravano per la redenzione della, patria.
UOMINI ILLUSTRI
Gli uomini illustri udinesi dal XIV al XIX secolo sono circa duecento, fra cui 12 medici, 11 scienziati, 16 teologi, 7 filosofi, 25 giureconsulti, 2 archeologi, 19 storici, 9 eruditi, 18 letterati, 23 poeti, 12 oratori, 5 umanisti, 25 pittori, 10 altri artisti, 6 agronomi.
Tra le famiglie che diedero più uomini illustri notansi: Caimo, Candido, Fabrizi, Montegnacco, Deciani, Cantinella, Cantone, Floriani, Nigris, Secante, Dragone, Giusti, Luisini, Sporeni, Amasei, Antonini, Asquini, Belgrado, Canciani, Colloredo, Cernazai, Florio, Liruti, Madrisio, Manini, Ottelio, Palladio, Paolini, Percoto, Treo, Venerio, Valvasone, Maniago, Marinoni, Lionello, Zanon, Zorutti, e altre.
Di alcuni illustri udinesi daremo qui in seguito un piccolo cenno biografico.
RICAMATORE GIOVANNI detto GIOVANNI DA UDINE. — Nacque a Udine nel 1489 e morì a Roma nel 1561, o, come altri vogliono, nel 1564. Dimostrata una tendenza naturale per le arti belle, il valente pittore udinese Giovanni Martino gl’insegnò i primi elementi del disegno, mandandolo poscia a perfezionarsi a Venezia presso Giorgio Barbarelli detto il Giorgione. Passato quindi a Roma vi conobbe Raffaello Sanzio, del quale fu uno dei migliori allievi.
Giovanni d’ Udine fu superiore a qualunque nel dipingere uccelli, quadrupedi, uccelliere, colombai, viti, frutta, fiori e altri ornamenti.
Nel rappresentare il grottesco fu anche insuperabile. Le migliori sue opere si ammirano nelle gallerie vaticane.
Raffaello gli fece dipingere spesso gli accessori che ornano i quadri del sommo urbinate. Giovanni d’Udine fu anche buon architetto e stuccatore di grandi meriti,
GEROLAMO SAVORGNANO. — Famoso guerriero, fu uno dei più grandi capitani della repubblica di Venezia. Discendente di una fra le più illustri e antiche famiglie del Friuli, a venti anni cacciò i tedeschi dalla patria sua e poscia li sconfisse completamente nel Cadore. Qualche anno dopo, i tedeschi, minacciando invadere i territori della repubblica veneta, Gerolamo Savorgnano, tenne testa all’esercito invadente, obbligandolo a fermarsi davanti alla sua rocca di Osoppo. Per questo fatto, che permise alla potente regina dell’Adriatico di raccogliere un esercito e respingere il nemico, Gerolamo Savorenano fu chiamato il Fabio Massimo della veneta repubblica.
ANTONIO ZANON. — Agronomo, nato a Udine nel 1696, morto nel 1770. Introdusse nel Friuli la coltivazione del gelso e del baco da seta, apportando alla provincia i grandi benefici anche con altre sue innovazioni. Dedicò tutta la sua vita in studi e ricerche sull’agronomia ed altre scienze, raccogliendo le sue osservazioni e le cose apprese in parecchi volumi da lui pubblicati, fra cui ricordiamo: Lettera sull’agricoltura, arti e commercio, 7 volumi in-8°, Venezia, 1763; Dellaformazione e dell’uso della torba; Della cultura e dell’uso della patata; Delle marne degli altri fossili per ingrassare i terreni; Saggio storico della medicina veterinaria.
JACOPO MARINONI. — Matematico, architetto e astronomo insigne; nacque a Udine nel 1667 e morì a Vienna nel 10 gennaio 1755.
Succeduto al conte Anguissola nella cattedra di matematiche al collegio de’nobili, venne poscia creato consigliere addetto alla direzione delle fabbriche imperiali. Nel 1714 inventò uno strumento per misurare le superficie, che chiamò bilancia planimetrica.
Nel 1719 venne incaricato di eseguire il piano catastale della Lombardia. Lasciò molti scritti pregiati fra cui ricorderemo: Columna herculea geometrice construeta; Astronomica domestica specula et organico apparatu astronomico; De re ichnografica; De re ichnometrica, ecc.
PERCOTO GIAN MARIA. — Missionario instancabile, nato a Udine nel 1729. Nominato vescovo di Maxula, gli venne affidata la direzione delle missioni nell’India. Tradusse in birmano i libri dei padri della chiesa; compose un dizionario ed una grammatica latino-birmana e tradusse in italiano varie opere giavanesi. Morì ad Ava nel 1776.
PAOLO CANCIANI. — Appartenne all’ordine de’ serviti, fra i quali emerse per il suo ingegno e la seria applicazione allo studio.
Si rese celebre e benemerito delle patrie lettere per la sua opera Barbarorum leges antiquae cum notis et glossariis, pubblicata a Venezia nel 1781.
Era nato a Udine nel 1725, nella quale città morì nel 1810.
ZORUTTI PIETRO. — Nacque a Lonzano nel 1792, e fin da giovanetto abitò a Udine, dove morì nel 1867. Fu, come si disse, il sommo fra i poeti friulani. Lepido e facile allo scherzo era l’idolo delle allegre brigate, fra cui trascorse molta parte della sua vita spensierata.
Le sue poesie, raccolte in due volumi per cura dell’Accademia di Udine, sono monumento perenne della sua fibra di vero poeta vernacolo.
LA VITA ATTUALE
La vita esterna che oggidì conducono gli udinesi, è presso a poco quella che si vive in tutte le città di provincia d’Italia. L’allegra spensieratezza della prima metà di questo secolo è sparita completamente ed ha lasciato luogo ad una laboriosa serietà, causata dagli aumentati bisogni delle popolazioni.
Il carattere del cittadino udinese è piuttosto refrattario alle espansioni, che sono una caratteristica degli altri popoli veneti.
Per questo, il forestiero, appena giunto nella città, ne riceve un’impressione poco gradita; impressione che va scomparendo man mano che il suo soggiorno si prolunga, fino a che cessa totalmente, anzi si cambia in viva simpatia, quando il lungo contatto, lo ha fatto scoprire, sotto una scorza un po’ ruvida, una grande bontà di cuore ed una lealtà di sentimenti che da nessun popolo sono certamente superati.
Il friulano in generale è assai laborioso: è sobrio e modesto tanto che la sua ritrosia alla réclame lo lasciano quasi sconosciuto alla maggior parte degli italiani.
La vita esterna dei cittadini si limita a poche passeggiate diurne, ad assistere ai concerti pubblici ed alle serate teatrali, non troppo frequenti, ma, in compenso, quasi sempre eseguite da buoni elementi artistici.
In poche occasioni Udine offre motivo di allettamento al forestiero per visitare la città. Queste sono il carnevale e le feste del mese d’ agosto, nel qual mese hanno luogo grandi fiere e divertimenti pubblici, primo fra quali le corse di cavalli al trotto.
Il carnevale poi è caratteristico per la passione del ballo per il ballo che hanno gli udinesi. Per essi un ballo è un avvenimento artistico, non un’orgia, come, pur troppo, è in tutti i balli pubblici delle maggiori città italiane.
Del resto, a dimostrare quanto gli udinesi abbiano sentito l’impulso di modernità, che invade il mondo civile, basti il dire che la città ha compiuta quasi interamente la fognatura con sistemi moderni, è illuminata tutta a luce elettrica, ha un servizio interno di trama cavalli, ed è in molta parte pavimentata in legno.
Il forestiero, poi, che vi arriva, trova tutto il confortabile in numerosi e puliti alberghi, ristoranti e caffè.”