La Sicilia negli albori della sua storia (1911)

Da Emporium, Vol. XXXIII, N. 19, febbraio 1911.
Di Enrico Mauceri.

“■ Gli studi sulle civiltà primitive attraggono oggi la curiosità e l’interesse dei dotti che, interrogando le impervie montagne o le deserte valli di alcune regioni rimaste ancora quasi inviolate dal turbinoso flutto dei secoli, affaticansi a risolvere i tanti problemi che ci si affollano alla mente intorno ai nostri antichissimi padri, alla loro origine, ai loro costumi, ai molteplici aspetti della loro vita.
■ E le ricerche si seguono affannosamente ovunque attraverso le ridenti coste bagnate dal Mediterraneo: così nel nord Africa, come in Sardegna, in Sicilia, in Calabria, e, verso Oriente, in Creta, sulle sponde dell’Egeo, in Asia Minore. E tali ricerche, col fascino dell’ignoto, accendon d’entusiasmo giovani archeologi colti e valorosi che, votandosi alla scienza e non curando disagi e pericoli, tengon fisso lo sguardo là donde può uscire una sola parola rivelatrice; ammaliarono financo scienziati già vecchi e celebri in altre branche dello scibile, come Angelo Mosso, che ebbe così modo di mostrare la versatilità del suo grande ingegno accoppiante ad una straordinaria erudizione una forma eletta e simpaticamente suggestiva (si legga il suo bel libro Le origini della civiltà mediterranea).
■ La Sicilia preellenica, sino ad un cinque lustri addietro, era un incognita, e solo una dotta memoria del barone Von Adrian che del resto aveva carattere strettamente preistorico, e alcuni primi sudi di Francesco Saverio Cavallari e di Luigi Mauceri, davano il segno dell’abbondante messe che si sarebbe ricavata da esplorazioni metodiche e persistenti nelle campagne dell’isola. E le esplorazioni vennero e i risultati furono stupefacenti per opera e merito di Paolo Orsi che su di sé richiamò l’attenzione del mondo dei dotti.
■ Nel 1897, cioè dopo sette anni dal giorno in cui l’Orsi cominciò a squarciare il fitto velo avvolgente i popoli primitivi della Sicilia, Georges Perrot, il celebre autore dell’Histoire de l’Art, se ne occupò nella Revue des Deux Mondes (fasc. 1 Giugno), intitolando il suo lungo articolo: Un peuple oublié — Les Sikeles. Fu questo uno studio di rapida sintesi cui ne seguì un altro, nello stesso anno, di Giovanni Patroni, dal titolo: La Civilisation Primitive dans la Sicile Orientale pubblicato nel L’Anthropologie (Tome VIII); ma troppo prematura era allora una sintesi intorno a ricerche e a studi appena nascenti, cosa che si potrebbe forse tentare oggi dopo le ultime scoperte, le quali han rischiarato maggiormente quelle antichissime civiltà.

“Un vaso di Matrensa.”

■ Prima che il piccone dello scavatore svelasse il mistero, non si conosceva della Sicilia preellenica che quel poco, pochissimo, tramandatoci dalla tradizione. I poeti parlavan di Ciclopi e di Lestrigoni, ed Omero nella Odissea ricorda i Siculi che, stando alle parole di Tucidide, sarebbero venuti dal continente italiano.
■ Una distinzione si faceva tra Sicani e Siculi, gli uni creduti di razza iberica e provenienti dalla Spagna, gli altri di ceppo ariano e imparentati coi Latini. I primi, sempre secondo la tradizione, si sarebbero confinati nella parte occidentale dell’isola atterriti dalle eruzioni dell’Etna o cacciati dai Siculi. Ma le esplorazioni archeologiche han messo oggi a posto le cose, arrecando grande luce in un campo finora così buio, di guisa che possiam dire di conoscere, eccetto alcuni punti rimasti ignoti nella regione occidentale dell’isola, come, ad esempio, Erice, Entella e Segesta coi loro misteriosi Elimi, le popolazioni che dall’età neolitica all’enea abitarono la Sicilia.

“Frammenti di terrecotte figurate di Stentinello.”

■ Il Museo di Siracusa con le sue ricchissime collezioni, frutto di tanti anni di lavoro dell’Orsi, n’è lo specchio fedele, ed in esso, infatti, ci è dato osservare il cammino faticoso percorso dai Siculi, dagli albori della storia sino alla fine del loro eroico duce, Ducezio, il sognatore dell’indipendenza della sua gente, morto nel 439 a. C., le cui imprese ci son narrate da Diodoro di Agira.

“Ascie di basalte. Dalle falde dell’Etna.”
“Terracotta (figurata?) di Caldare (Girgenti), di età neolitica (I. periodo siculo).”
“Cocci di Matrensa, di età neolitica.”

■ L’Orsi non ammette la pretesa diversità di origine tra Sicani e Siculi e crede, invece, che ambidue rappresentino il medesimo popolo proveniente dalle parti settentrionali dell’Africa e diffusosi per tutto l’Occidente mediterraneo, occupando le coste della Spagna, della Francia, della Liguria, della Sardegna, del Tirreno, della Sicilia.
■ I Sicani, dunque, secondo il pensiero del dotto archeologo, non sarebbero che i Protosiculi, e tale teoria oggi viene accolta come la più probabile, riconoscendosi inesistente qualunque relazione etnica fra Siculi e Italici. Prova manifesta ne è il costume funebre assolutamente differente, non essendosi mai rinvenute tracce alcune di cremazione presso i Siculi che, al contrario, religiosamente inumavano i loro cari nelle cellette scavate nei dirupi delle montagne.


■ I primitivi Siculi appartenenti al periodo neolitico, cioè a dire a circa due millenni a. C., li incontriamo nella parte orientale dell’isola, a Stentinello e a Matrensa, località ambedue nelle vicinanze di Siracusa; poco nella occidentale dove limitatissimi sono stati finora gli scavi.

“Ossa lavorate e coltelli di selce di Castelluccio (I. periodo siculo).”

■ Stentino è chiamata la deserta pianura tufacea sottostante a nord della collina rocciosa dei Teracati; ivi, e precisamente nel luogo detto Stentinello, sorgeva un piccolo villaggio preistorico costituito di capanne la cui popolazione viveva di pesca e di agricoltura. Sul suo terreno si son trovati sparsi, oltre che pezzi di selce e di ossidiana, numerosi cocci di bella ceramica ad impressioni che attestano il gusto artistico di cui eran dotati quei litoplidi. L’azione lenta dei marosi ha divorato qualche diecina di metri di spiaggia, ma, tutto considerato, si suppone che il villaggio sorgesse proprio in prossimità del mare, in un sito dominato all’intorno da alture distanti 2-4 chilometri.

“Frammento di anfora di Monte-Tabuto (I. per. siculo).”

■ La popolazione di Stentinello, carnivora e ictiofaga, era provvista di coltelli di ossidiana, spesso di selce di vario colore, bionda, bigia, scura, eccezionale la rossa e la giallastra, coltelli di tutte le grandezze e di tutte le forme, talvolta piatti, talaltra a sezione triangolare o trapezia. L’ossidiana era tratta da Lipari o da Pantelleria; la selce, come pare, dai filoni calcarei dei vicini Monti Hyblei. Non s’incontrano freccie, né cuspidi di lancia e giavellotto, non stromenti di sorta così frequenti nelle stazioni neolitiche del continente; solo alcune ascie di basalte, le quali dimostrano come questa fosse l’unica arma adoperata da quella gente contro i nemici e le fiere che infestavano le selve vicine.

“Un vaso di Monte-Tabuto (I. periodo siculo).”

■ Ma quel che contrasta con la rozzezza della popolazione primitiva di Stentinello sono le ceramiche elegantemente lavorate, i cui frammenti furon rinvenuti mescolati nella terra nerastra, in grandi scarichi, piccola parte del materiale di rifiuto della stazione. Le forme dei vasi dovean esser svariate, ma in prevalenza sferiche ad imitazione quasi di zucca, e notevole n’è la bontà della pasta. Lo stovigliaio conosceva forse un tornio molto rudimentale e completava il lavoro con grande perizia acquistata nell’impasto e nella manipolazione del vaso, le cui ineguaglianze dipendevan talvolta dalla cottura eseguita a fiamma aperta. La decorazione consistente in forme geometriche, ma combinate con gusto e lusso d’intreccio, conferiva vaghezza a tali stoviglie, rendendo veramente singolare la ceramica di quei litoplidi, superiore financo a quella di talune razze di civiltà più progredita, come sarebbero i terramaricoli. Siffatte forme, composte di linee rette isolate, o conformate a fasci, di triangoli, rombi, linee spezzate od ondulate, eran tracciate con stromenti adatti, cioè ora con una punta, ora con una stecca di osso di dimensioni e forme diverse, ora con una specie di pettine, ed ora con piccoli graticci di cannelle o di grossi e robusti gambi di paglie agresti. Maggior risalto acquistava l’ornamentazione del vaso con l’applicazione nei cavi delle impressioni di una sostanza depurata, candidissima, simile a calce, la quale molto probabilmente era una poltiglia di calcare bianco tritato introdotta nel solco lasciato dalla stecca.

“Collana di Palma Montechiaro (Girgenti), di età neolitica.”

■ L’attitudine all’arte di quei poveri capannicoli si manifesta inoltre, non solo nei vasi, ma anche in tre avanzi plastici che per un’epoca sì remota sono una vera rarità, rappresentando essi i primi tentativi dell’arte figulina. Raffigurano il primo, lungo mm. 36, l’avancorpo di un quadrupede privo della testa e delle gambe; il secondo, alto cm. 5,75, un torso umano mancante del capo e delle braccia; il terzo, una testa d’animale con le orecchie acuminate, il muso lungo e sottile, forse un lupo o cane da pastore.

“Chiusino di tomba sicula.”

■ Una recente scoperta dell’Orsi ci fa vedere un profondo fossato circolare che, a scopo di difesa, circondava all’intorno il piccolo villaggio di Stentinello; ma nessuna traccia di tombe s’incontra finora; ignoriamo, quindi, gli usi funebri di quel popolo che probabilmente inumava i suoi morti in modo molto semplice, cioè in una fossa della nuda terra, senza alcun segno esteriore.


“Chiusino di tomba sicula.”

■ Con l’aprirsi dell’età eneolitica, che segna un periodo di transizione dalla pietra al rame e quindi al bronzo, nuove manifestazioni artistiche appaiono, e accenni d’influenze esterne s’infiltrano, specialmente dalla parte d’Oriente e forse, anche, come pensa l’Orsi, dalla Spagna.

“Una tomba di Valsavoja (I. periodo siculo).”
“Vasi siculi di Girgenti.”

■ Caratteristiche principali di questo tempo, che dal II millenio va sino al XII circa a. C. (I periodo dell’Orsi), oltre alle tante altre che andremo enumerando, sono le funebri camerette in forma rotonda e a volta curva, scavate nella roccia, e la decorazione policroma del vasellame impiegata non solo esternamente, ma, alcune volte, pure nell’interno.
■ Anche in quest’epoca rarissime le vestigia di abitazione; dalla forma della tomba ci è dato solo arguire indirettamente che le capanne, costruite con canne e paglia, eran di forma circolare; una grande, estrema semplicità tutta primitiva, di fronte alla quale ci appare quasi stridente il culto grandissimo per i morti e la ricchezza del vasellame.

“Coltelli di selce, fuseruole, amuleti e pugnali di bronzo. Dal sepolcreto di Matrensa (II. periodo siculo).”

■ L’uso era quello di far disseccare prima il cadavere all’aperto e poi collocarlo accoccolato nell’angusta celletta dove prendevan posto varie diecine di scheletri sino ad arrivare ad una quarantina circa. La funebre grotta era scavata con la potente ascia basaltica nei fianchi della montagna, e solo quando non si prestava la parete, si scavava nel suolo una fossa in forma di pozzetto di accesso. Una tale singolare attitudine a scavare la roccia pare sia stata portata dai Siculi dalle primitive sedi dell’Africa, attitudine che trovò il suo sviluppo nella natura del terreno siciliano. Nella tomba si collocavano gli oggetti che avevano appartenuto al defunto: grandi bacini con acqua all’ingresso, e accanto al cadavere coltelli di selce, scuri di basalte, punteruoli di osso, pendenti, sostanze minerali, conchiglie, denti di squalo, piccoli bronzi che allora dovean essere preziosissimi, e altri oggetti considerati come amuleti. La presenza di tali oggetti dimostra come i Siculi avessero un concetto animistico, giacché essi credevano che i morti racchiusi nelle celle vi trovassero le comodità della casa e perfino gli ornamenti della persona.

“Pantalica – Necropoli sicula.”

■ Ma i Siculi si evolvevano al soffio di una grande civiltà, che spirava dall’Oriente: la civiltà di Hissarlik, e poi la egea o micenea. Alla prima appartengono gli eleganti ossi tubulari della necropoli di Castelluccio con piccoli globetti a rilievo ornati di incisioni lineari.
■ I Micenei furono i precursori della grande colonizzazione ellenica in Sicilia e stabilirono qua e là fattorie sulle coste dell’isola. Forse i Fenici di Tucidide altri non sono che i Micenei. Le influenze che essi andarono esercitando in Sicilia, divennero col tempo sempre più sensibili fino a rivoluzionare, come vedremo, completamente le industrie artistiche dei Siculi.

“Pantalica – Anactoron.”
“Pantalica – Necropoli Sacra – Particolare.”

■ Ricordiamo, a questo proposito, i rapporti etnici corsi tra Creta e la Sicilia, rapporti adombrati nel mito di Dedalo che cacciato di Creta da Minosse si rifugia presso Cocalo, re dei Sicani, nella sua capitale di Camico. Minosse, inseguendo il fuggitivo, porta seco una colonia cretese in Sicilia e vi muore (Diod. Sic. IV. 70, 79).

“Una tomba di Thapsos con chiudino (prima dell’apertura).”

■ Varie necropoli del periodo eneolitico han dato materiale importante nel quale scarsissimo è il bronzo. Fra esse, il primo posto spetta a quella così detta del Castelluccio presso Noto, dove si rinvennero i più antichi documenti della scoltura sicula, cioè due chiusini di tomba in calcare, decorati della spirale micenea.

“Cassibile – Necropoli.”

■ Numerosi frammenti ceramici, punteruoli di osso, macine di lava ed altri oggetti furono raccolti nella stessa contrada di Castelluccio dove sorgeva l’antico villaggio.

“Vaso di Thapsos con tentativi di figure a graffito. (II. periodo siculo).”
“Vaso di Thapsos con tentativi di figure a graffito. (II. periodo siculo).”

■ Sincrono è il magnifico vasellame rinvenuto nelle grotte-miniere di Monte-Tabuto presso Comiso, fra cui grandi brocche artisticamente colorate, che adoperavano (cosa strana) poveri operai adibiti al lavoro faticoso dell’estrazione della selce. Particolare è la forma del bacino biconico (c. d. a clepsidra) nel quale i profili sono spesso corretti, e dove l’argilla è mischiata con sostanze calcaree o silicee mancanti della necessaria coesione.

“Un vaso siculo (da Thapsos).”

■ Ma quel che rende curiosa questa ceramica è la varia e brillante decorazione ottenuta con una coloritura a guazzo, a tinte vivaci, con rosso predominaute e con ornati lineari bruni e neri. Lo stovigliaio, sur un fondo arancio o giallo caldo, tracciava motivi geometrici bruni, spesso assai complicati, imitando trecce di paglia o di vinco.
■ Nelle grotte N. 7 ed 8 fu trovato un piccolo nucleo di materia rossa colorante, farinosa, sembra ocra di ferro o terra rossa, usata per la dipintura dei vasi.

“Lancia di bronzo. Dal grande ripostiglio di Adernò.”

■ Ma più che il materiale in sé stesso, il fatto di incontrare per la prima volta in Italia delle miniere di età eneolitica sorprende addirittura. Una diecina di grotte artificiali si aprono nel caratteristico monte cosparso anche di sepolcri siculi, lungo la strada consortile Canicarao-Annunziata.
■ L’Orsi, nelle ricerche colà compiute e non interamente esaurite, attraverso lunghe gallerie sotterranee rinvenne una massa straordinaria di avanzi ceramici, molti scheletri umani e un buon numero di schegge di selce, di quella selce che vi si trova qua e là in sottili strati ed arnioni fra banchi calcarei. Tale e tanto materiale è servito a far ricostruire la vita del luogo rimasta fin qui misteriosamente avvolta da tenebre secolari.

“Pugnali e ascie di bronzo (II. periodo siculo).”
“Ascie di bronzo (II. periodo siculo).”

■ In piena età eneolitica una grande miniera di selce fu per lungo tempo sfruttata ad opera di operai, che, forniti di soli picconi di basalte e di pali acuminati in legno, e forse anche valendosi dell’aiuto del fuoco e dell’acqua, con dura, lenta, pericolosa fatica penetrarono nelle viscere del monte alla conquista della selce allora molto ricercata, specialmente dalle contrade che ne difettavano. Nelle profonde, oscure caverne, rischiarate da lucerne, erano molto probabilmente collocati in vari punti i bottini ovolari grezzi, alti poco più di 60 centimetri con 2 a 4 anse verticali e con cordoni a rilievo, ove dei manovaletti con secchie e catini semiovolari attingevan acqua, per distribuirla ai maestri che la richiedevano. Durante l’aspra, improba fatica, dovettero avvenire dei sinistri accidenti, provocati da frane improvvise; così si può spiegare la presenza degli scheletri.

“Vasi micenei trovati in tombe sicule del II. periodo.”

■ Caratteristico è pure il bicchiere biconico e biansato, in forma quasi di clepsidra, della importante necropoli di Monteracello, anch’essa presso Comiso, che ricorda un tipo trovato frequentemente da Schliemann a Troja e a Micene, nel quale si è voluto riconoscere il dépas amphikypellon di Omero.

“Grande vaso di Pantalica (II. periodo siculo).”

■ Come ho detto, nel periodo eneolitico rarissimo era il bronzo, il quale dovea avere allora grande valore pel fatto che, non possedendo la Sicilia miniere di stagno o di rame, veniva importato dall’Oriente, dapprima dai Premicenei e poi dai Micenei.


“Dalla necropoli di Matrensa o Milocca (Siracusa). (II. periodo siculo).”

■ L’età del bronzo (II periodo dell’Orsi) ci si presenta con le belle necropoli di Cozzo del Pantano, Plemmyrion, Thapsos, Cassibile, Pantalica, Molinello presso Augusta, ecc.; le prime tre nelle campagne siracusane, in un raggio distante dall’Ortygia greca da due a cinque chilometri; le altre poco lontane. Cozzo Pantano, così detto dal nome della palude (l’antica Lisimelia), è un rilievo roccioso di calcare quaternario, lungo un chilometro e recante ai fianchi una sessantina di sepolcri di forma circolare con vôlta ora pianeggiante ed ora a cupola, preceduti talvolta da un’angusta anticella. Cotesta necropoli ha dato un materiale importante in mezzo al quale spicca un elegante vasetto miceneo e un grande bacino lebetiforme, sulle cui spalle è ripetuta parecchie volte all’ingiro l’impressione di una foglia di olivo.

“Rasoi, fibule e gioielli di Pantalica (II. periodo siculo).”

■ Cassibile conta circa 2000 celle funebri di tipo prevalentemente rettangolare od elittico, dove si è rinvenuto un buon numero di vasi caratteristici, specie di presentatoi somiglianti a quelli di Thapsos, ma meno alti, e con’ la differenza che son trattati a stralucido rosso.

“Dalla necropoli del Finocchito presso Noto (Siracusa). (III. periodo siculo).”

■ Ma la più maestosa ed importante delle necropoli è quella di Pantalica, dove circa cinquemila camerette funebri, disposte a guisa d’immenso alveare, rivestono i declivi di quel pittoresco gruppo montano, una delle più singolari meraviglie della Sicilia.

“Un vaso di lentini (III. periodo sicuol).”

■ La cella sepolcrale non è angusta come nel periodo eneolitico, ma si allarga, si perfeziona, ed acquista una specie di anticamera in forma di trapezio con una seconda apertura sempre strettissima e preceduta qualche volta da un vestibolo a cielo scoperto. Altre particolarità sono alcune nicchie in senso orizzontale attorno alla parete della tomba rotonda o ellittica; il vasellame colorato, con pochi riscontri nell’isola e nel Mediterraneo, e alcuni strumenti creduti rasoi, unici in Europa, e dei quali si sconosce l’origine, oltre ad un numero straordinario di fibule di varia forma (ad arco di violino o ad arpa), alcune adorne di incisioni, e inoltre coltelli lanceolati, serpeggianti o a fiamma.

■ Nelle necropoli su menzionate l’Orsi ha rinvenuto un pregevole materiale ceramico assolutamente differente da quello del periodo eneolitico e dove è manifesta l’imitazione dei vasi metallici. I Siculi abbandonano la policromia e mirano a render preciso il contorno del vaso cominciando ad adoperare un vero tornio perfezionato; tentano anche di dare a graffito la figura umana e animale come in due vasi di Thapsos. Poco alla volta essi finiranno col subire le influenze micenee nella fabbricazione delle ceramiche, grazie alle relazioni divenute attive fra la Sicilia orientale e le coste dell’Egeo, donde provenivano vari prodotti: vasi, anellini in oro, pettini di avorio, e in abbondanza bronzi.

“Pugnali e coltelli di Pantalica (II. periodo siculo).”

■ Questa coltura micenea agisce più che altrove sulle coste, e poco sulle montagne. Eppure i vasi a stralucido rosso di Pantalica, fra cui uno grandioso e di belle forme che sembra ispirato dalla natura vegetale, potrebbero rappresentare forse un riflesso di questi influssi; inoltre, l’Orsi ritiene che opera di qualche architetto miceneo sia stato benanco l’Aractoron o palazzo del principe, i cui magnifici avanzi megalitici furono da lui scoperti nella stessa Pantalica. Quivi molto probabilmente fu in esercizio una fonderia, come si è rilevato dalla presenza di parecchie forme di armi, il che fa supporre che il diritto di fondere i metalli, quasi privilegio di zecca, fosse riservato al principe.

“Un vaso di Lentini (III. periodo siculo.”

■ Copioso è stato il numero delle lancie, daghe, spade, fibule raccolte in altri scavi; ed un grandioso ripostiglio rinvenuto di recente nei pressi di Adernò e composto di lancie, scuri, frammenti di centuroni ed altro, ci dimostra com’eran formidabilmente armati i Siculi quando nel sec. VIII affrontavano l’invasione greca.
■ Dopo pochi secoli vedremo compiersi una nuova rivoluzione nel campo delle industrie sicule al contatto delle prime colonie elleniche introducenti ceramiche la cui decorazione in bruno o rosso bruno è strettamente legata al geometrico così detto del Dipylon (III periodo dell’Orsi). Verrà compiendosi così il lavoro lento e tenace di penetrazione della civiltà greca; i Siculi a poco a poco saranno ellenizzati sino a confondersi nel V sec. con i Greci e a perdere la loro antica fisonomia.”