di J. C. Bose.
Da La Scienza per Tutti, Anno XXI – N. 8 – 15 aprile 1914
“Posseggono le piante un sistema nervoso? Prima di rispondere a una simile domanda, è bene formarci un’idea esatta sulla funzione dei nervi, consistente nel trasmettere le eccitazioni da un punto all’altro, per mezzo di certe fibre conduttrici. In questo modo, l’organismo entra in rapporto con l’ambiente che lo circonda: ad esempio, lo stimolo che dall’esterno colpisce la retina, produce un impulso nervoso che giunge al cervello lungo il nervo ottico, e genera nel cervello stesso un altro impulso di reazione alla sensazione luminosa. Invece di terminare al cervello, il nervo può condurre ad un muscolo contrattile; in tal caso l’impulso si tradurrà in un movimento.
In fisiologia si dimostrano generalmente le caratteristiche degli impulsi nervosi, servendosi d’un organo isolato, contenente dei nervi e dei muscoli; sopratutto si esperimenta sul nervo sciatico della rana, disseccato assieme ai muscoli lombari, che possono riacquistare una specie di vita artificiale e sensibile durante parecchie ore. Infatti, se un punto qualsiasi del nervo è stimolato con una scossa meccanica od elettrica, l’eccitazione si propaga subito sino al muscolo, e si vede quest’ultimo rispondere, contraendosi. Ora, questo fatto non sembra molto dissimile da quello che si verifica in certe piante sensitive, come la cosidetta Mimosa; anche qui uno stimolo applicato al fusto si trasmette agli organi mobili, generando un cambiamento nella loro posizione. Il punto della Mimosa in cui la sensazione si rivela, è dove il gambo delle foglie si riattacca al fusto: la nostra fig. 1 dimostra appunto, nelle sue due parti a (stato di riposo) e b (stato di eccitamento), come il medesimo stimolo applicato ai punti N e N”, produca nella rana una contrazione negli arti posteriori, e nella Mimosa l’abbassamento delle foglie.
Tuttavia, non è facile andare oltre questa analogia di effetti esterni, che non ci dice nulla sulle sue cause intrinseche. Il tessuto conduttore della pianta è troppo immedesimato al suo fusto, perchè sia possibile isolarlo: solo dalla felce si potè disseccare qualche tessuto fibroso che ha proprietà conduttive. Inoltre, uno dei più stimati fisiologisti odierni, Pfeffer, ha creduto stabilire che nelle piante non si riscontra nulla di simile al sistema nervoso, almeno, nelle forme comuni agli animali. La sensibilità della Mimosa sarebbe dovuta ad un’azione puramente idro-meccanica, e non ad una vera e propria trasmissione a distanza.
Anzi, questa ipotesi è già servita a spiegare molti fenomeni, proprii alle piante sensitive. Si suppone che il loro tessuto agisca come un tubo di gomma pieno d’acqua, in modo che una pressione esercitata sul tronco si propaga, pel movimento stesso del liquido, agli organi mobili. La trasmissione dell’impulso nervoso è invece profondamente diversa, consistendo nel passaggio da una molecola all’altra del movimento prodotto dalla sensazione. I nervi sono infatti considerati come composti di cellule collegate e capaci di una grande mobilità: lo stimolo iniziale non è altro che una condizione di squilibrio generata nella cellula che lo riceve, e che tende a riacquistare l’equilibrio, riversando in certo modo il disturbo su quella vicina. La maggiore e minore mobilità e la sensibilità che ne deriva, spiegano i fenomeni della vita nervosa animale, e a loro volta ne dipendono: nello stato di piena vitalità ed in circostanze favorevoli, la mobilità delle cellule raggiunge un massimo, che non può superarsi se non con stimoli eccessivi o per via di sensibilità morbose; nei casi di depressione, di rilassamento, o peggio, di paralisi, la mobilità diminuisce, e può ridursi a zero, producendo la morte. Così una temperatura moderata accelera il propagarsi ed aumenta l’intensità delle impressioni; il freddo e la fatica ottengono l’effetto contrario; e gli anestetici sospendono addirittura ogni sensibilità — quando non sono veleni che la distruggono per sempre assieme al tessuto conduttore.
Si comprende ora l’enorme differenza che intercede fra tutto ciò e il semplice movimento dell’acqua in un tubo; movimento che può variare secondo le posizioni e la forma del recipiente — (le quali sarebbero anch’esse immutabili nelle piante) —; ma che è quasi insensibile agli sbalzi della temperatura ed alle circostanze esterne in generale; che si mantiene qualunque sia il liquido contenuto; e sopratutto che non ha coscienza nè potere di frenarsi o comunque reagire su se stesso, od ubbidire ad impulsi volitivi. Si può dunque riassumere in teorema che quando i cambiamenti fisiologici influenzano la trasmissione degli stimoli, essa ha un carattere nervoso; in caso contrario, ha un carattere puramente meccanico.
Non tutti però i sostenitori della sensibilità nervosa delle piante accettarono le conclusioni sopra citate del Pfeffer; anzi, il criterio di distinzione or ora esposto fu adottato per nuovi esperimenti. Si dimostrò da una parte che il cloroformio è impotente ad impedire la propagazione dello stimolo nella Mimosa, arguendosi che non si tratta di nervi od altri sistemi equiparabili; dall’altra parte si oppose che l’inazione del cloroformio era dovuta alla sua mancata penetrazione nell’interno, invece di agire inutilmente sulla superficie. Si provò allora con dodici altri differenti metodi, fra cui i due principali parvero rivelare un’analogia fra gli animali e le piante, dando nuovi aspetti al controverso problema. Le ricerche furono appuntate, come sempre, sulla Mimosa, allo scopo di verificare: 1.° se i cambiamenti fisiologici alterano la rapidità nella trasmissione dell’impulso; 2.° se l’impulso può essere arrestato o indebolito coi mezzi usati a tal fine per gli animali. È ovvio che, dimostrato questo, la sensibilità nervosa di certe piante non presenterebbe più alcun dubbio.
Le esperienze si risolvettero così in un’accurata misurazione della rapidità con cui gli stimoli si trasmettono e rivelano una sensazione, variando le condizioni fisiologiche e fisiche del soggetto e dell’ambiente. Un pezzo di tessuto vegetale, come si vede nella fig. 4, è incastrato, nel suo punto centrale C, in una scatola in cui si può variare la temperatura o introdurre un anestetico, Per ottenere uno stimolo istantaneo, si usa una scossa elettrica, condotta dai due fili situati al punto B, vicino all’attacco del ramoscello sul fusto, oppure da due altri fili situati in A, più lontano. Un minimo di tempo sarà sempre necessario perchè lo stimolo metta in moto gli organi interni, qualunque sia la loro natura, e perchè si propaghi all’organo mobile; un altro margine di tempo è necessario perchè l’organo possa percepirlo e rispondere. Questo ultimo intervallo fu chiamato «periodo latente»; e siccome poi l’intervallo totale differisce secondo che la scossa è applicata in A o in B, cioè più lontano o più vicino all’organo mobile (il bulbo), si arriva a determinare la velocità con cui si trasmette nella pianta. Basterà dopo applicare l’agente esterno C — fisico o fisiologico — per verificare le eventuali variazioni.
Senonchè queste variazioni devono essere così minime, data la torpidezza della vita vegetale, che difficilmente l’uomo potrebbe constatarle, se non per mezzo di strumenti delicatissimi capaci sia di misurare, che di lasciare un’impronta grafica dei risultati. Il mezzo più semplice e che prima si presenta, è quello di attaccare con un filo una foglia di Mimosa ad una leva V (fig. 8) che porta ad angolo retto un’asticciuola W, con la punta curvata e rivolta verso una lastra mobile affumicata di vetro G, sulla quale si posa ad intervalli regolati da un movimento d’orologeria.
Quando la punta raggiunge sulla lastra la posizione a, indicata da una freccia nella nostra figura, si stabilisce, mediante qualche disposizione accessoria, un contatto elettrico momentaneo fra le due aste metalliche R e R’; in modo che la corrente prodotta dalla pila E, e circolante nel rocchetto interno P, ne genera un’altra di maggior tensione in quello esterno S, che lancia una scossa nel punto A del gambo della foglia. Dopo un certo periodo, si vede questo cadere: ma durante l’intervallo, la punta traccia una linea punteggiata ab. Quando poi la caduta del gambo abbassa la leva V, la direzione della linea si sposta, ed assume quella di bc; ma intanto, si è fissato il tempo occupato dalla propagazione dello stimolo nel gambo dal punto A all’attacco B, più il periodo latente necessario perchè l’organo mobile percepisca lo stimolo e vi risponda. Sottratto quest’ultimo, (dopo averlo trovato come nella fig. 4, applicando la scossa direttamente in B), e conoscendo quante volte la bacchetta W si posa sulla lastra per ogni secondo, è facile trovare la velocità della trasmissione.
Naturalmente, data la piccola forza sviluppata dalla Mimosa nei suoi movimenti sensitivi, è indispensabile, per non incorrere in errori enormi o non ottenere alcun risultato, costruire l’apparecchio in modo da presentare una minima resistenza alle segnalazioni. Ma siccome ciò è difficile, essendo abbastanza complicato, si ricorre ad un altro sistema, fondato sul principio della risonanza delle onde sonore. È noto infatti che se due strumenti a corda sono perfettamente intonati insieme, ogni nota tratta dall’uno si ripercuote e riproduce nell’altro, grazie alle cosidette «vibrazioni di simpatia».
Si potrebbe ora intonare l’asticciuola elastica V (fig. 14) destinata a scrivere sul piano mobile G su cui posa normalmente, con la corda G, in guisa da generare un identico numero di vibrazioni per secondo. Se la corda vibra, la punta non rimarrà in continuo contatto con la lastra di vetro, ma traccerà una linea interrotta. Per intonarla, basta stabilire conveniente la lunghezza della bacchetta V, dall’estremo fisso a quello libero: allora, se la linguetta produce cento vibrazioni al secondo, l’intervallo fra l’uno e l’altro punto scritto sul quadro, sarà d’un centesimo di secondo. In questo modo, non solo si evitano i disturbi dell’attrito che può essere considerevole, ma il registratore indica il tempo direttamente: sempre supponendo che il quadro G si muova dall’alto in basso, ad una velocità fissata, come del resto anche nell’apparecchio precedente.
Nei diagrammi così ottenuti, e riprodotti nelle figure 5, 6, 7, 9, 10, 11 e 12, il momento dell’impulso è segnato da una sbarra verticale. Si verifica che il periodo latente è brevissimo: corrisponde nel primo diagramma (fig. 5) a 10,9 spazi d’un centesimo di secondo l’uno: è quindi di secondi 0,109.
Le due linee rappresentano due esperienze consecutive, le quali diedero due risultati meravigliosi per la loro identità. Con un soggetto più sensitivo, e intonando il registratore a 200 vibrazioni invece di 100, si ebbe nel secondo diagramma (fig. 6) un periodo latente rappresentato da punti 14, 5 distanti fra loro secondi 0,005, cioè un totale di secondi 0,0725. Come si vede, dividendo in decimi lo spazio fra un punto e l’altro, vi è qui il mezzo, oltre tutto il resto, di misurare i millesimi di secondo!
La velocità di trasmissione è registrata nel diagramma di cui alla fig. 9 ove i punti successivi sono separati da soltanto un decimo di secondo, per ridurre proporzionalmente la lunghezza della linea dovuta al periodo latente: infatti la linea superiore, ottenuta applicando direttamente lo stimolo all’organo sensibile, diverge subito al secondo punto. Le due linee inferiori rappresentano una distanza di 30 millimetri lungo il gambo della foglia, percorsa in secondi 1,5; la velocità è dunque di 20 millimetri per secondo. Essa è minore di quella manifestata dagli animali superiori a sistema nervoso perfezionato; ma è maggiore di quella degli animali inferiori, che hanno organi rudimentali di senso e di trasmissione. La Mimosa sarebbe dunque una media; quanto alla durata del periodo latente, essa può discendere in certi soggetti vegetali sensitivi ad appena sei volte quella di una rana in piena vitalità, valutata 0,01.
Gli esperimenti più interessanti furono però quelli che riguardavano la controversia fra la spiegazione nervosa e l’ipotesi meccanica della sensibilità. Ad esempio, la temperatura ha una indiscutibile influenza sui nervi, mentre non ne ha sul movimento dei liquidi — entro i limiti, naturalmente, del gelo e dell’ebollizione. Orbene, il diagramma di cui alla fig. 7 dà la prova decisiva di tale influenza sulla rapidità di trasmissione, anche per leggeri sbalzi quasi inavvertibili all’uomo: le tre linee corrispondono, dall’alto in basso, a 31, a 28 e 22 gradi, mantenendo eguale la distanza. La velocità è più che raddoppiata per un aumento di 9 gradi. La controprova si ottiene invertendo l’esperimento, e ritardando la velocità col freddo: nella fig. 10, la linea N. 1 fu tracciata in condizioni normali; quella N. 2, mediante un leggero raffreddamento; quella N. 3, applicando il ghiaccio sul gambo. La linea superiore (4) indica il periodo latente, soppressa la distanza mantenuta per le altre.
Anche l’elettricità si comporta come sui nervi in genere.
Se si fa passare una corrente continua in un tratto di nervo posto fra il punto ricevitore dello stimolo e il luogo ove la sensazione si manifesta, la sensibilità rimane interrotta completamente: togliendo la corrente, anche l’arresto scompare.
Nella Mimosa si riproduce esattamente il fenomeno nella fig. 11, i punti B B, indicano i momenti di interruzione prodotti dall’elettricità; gli altri tre, i momenti in cui l’interruzione elettrica fu soppressa.
Infine, la sensibilità delle piante può essere annientata dai veleni, sempre come quella degli animali. Abbiamo già ricordato il difetto delle esperienze del Pfeffer: il cloroformio, applicato alla superficie esterna dei tessuti, svapora immediatamente, e non esercita nessuna azione all’interno. Usando un gambo sottile e quindi più sensibile, ed assogettandolo ad un potente veleno non volatile, in modo che la piccola parte assorbita fosse sufficiente per attaccare i tessuti interni, si ebbero risultati assolutamente decisivi. Con una soluzione di solfato di rame, la conduttività fu arrestata dopo venti minuti; con una di cianuro potassico, dopo 5 minuti. Ciò è visibile nell’ultimo diagramma (fig. 12): la linea N. 1 rappresenta la condizione normale, e quella N. 4 il periodo latente; la linea N. 2 indica che l’impulso non si è affatto trasmesso, ed il registratore continua a segnare sul quadro indefinitamente, senza spostare la direzione del tracciato; infine, la linea N. 3 rivela la persistenza dell’insensibilità anche con un impulso cinque volte maggiore.
Sembra dunque provato che certe piante posseggono delle funzioni e delle capacità simili a quelle animali, oltre quelle generalmente ammesse, come la produzione di pigmenti e la respirazione mediante le foglie. Se ora a tali funzioni corrispondano organi suscettibili di essere paragonati, è difficile a dirsi: è facile, anzi, che il loro sistema nervoso, quando esiste, sia radicalmente diverso da quello di una rana; ed è certo che, in qualunque modo, le cellule di cui è composto hanno la caratteristica ben nota di tutti i vegetali.”