Voce dalla rubrica “Varietà”, da Rivista Enciclopedica Contemporanea, 1914.
“La schiavitù nel Putumayo. — Son circa vent’anni che gli amici della libertà si occupano «della sorte delle popolazioni nere del Congo, cui l’avidità barbara dei bianchi ha sottomesso, nel loro proprio paese, a una schiavitù senza esempio per sfruttar le ricchezze delle loro foreste. Ma nessuno, o ben pochi, ha pensato alla sorte delle tribù brune del Putumayo, le quali subiscono da anni oppressioni anche peggiori.
Il vice-presidente della Lega Svizzera per la difesa degli indigeni del Congo, il Dr. H. Christ-Socin, tratta questa questione in un lucido e vibrante articolo.
Nella regione del Putumayo che appartiene al Perù, ma che per la sua distanza enorme dalla capitale e dai maggiori centri dello Stato, è quasi interamente sottratta ad ogni controllo del governo, i superstiti indi sono fatti schiavi, torturati e adoprati principalmente alla ricerca del caucciù. Nessuno si è mai dato pensiero di questi infelici e solo nel 1907, un giornale inglese, The Truth, richiamò l’attenzione de’ suoi lettori su «un sistema di atrocità» che impera tuttora sulla rete di riviere formanti il fiume del Putumayo, uno dei più grandi affluenti delle Amazzoni. Ma le rivelazioni del Truth passarono inosservate: troppo poco interessava una regione di cui s’ignorava perfino il nome.
Fu dato un nuovo allarme. Un giovane ingegnere americano, certo Hardenburg, ritornato dal Putumayo nel 1909, rimise alla Società antischiavista di Londra una relazione particolareggiata degli orrori di cui egli era stato testimonio. Questo manoscritto conteneva particolari così atroci che la detta società esitò a credervi.
Eppure la società accusata non era né peruviana, né esotica, ma inglese, la «The Peruvian Amazon Rubber Company», regolarmente registrata nell’ottobre 1907, per un milione di lire sterline come capitale di azioni, domiciliata a Salisbury House, London Wall, sfruttante il caucciù del Putamavo con numeroso personale di agenti bianchi e di cacciatori di schiavi armati, di cui 200 neri e sudditi britannici, stabiliti nell’isola inglese di Barbadah, il tutto basato sul lavoro forzato delle tribù brune della regione, e su un terrorismo omicida che non indietreggia mai nemmeno davanti ai delitti più vergognosi e che al contrario li erigeva a metodo di «politica indigena».
I giornali seri di Londra, il Daily Chonicle, Morning Leader, Daily News, con un coraggio lodevole pubblicarono alcune delle rivelazioni dell’Hardenburg. La società si dichiarò naturalmente innocente. Due volte ai secretari della Società antischiavista si rifiutò di dare spiegazioni. Un giorno un redattore di un giornale sollecitò un’intervista coi direttori della P. A.R.S.: gli fu mandata una lettera: l’aprì, non conteneva che un biglietto di banca.
Il Ministero degli Esteri inglese s’interessò anch’esso della questione, dando a un uomo assai benemerito nel servizio consolare, Sir Roger Casement, l’incarico di fare un’inchiesta sul luogo. Il compito era difficile. Oltre la resistenza sorda degli interessati bisognava tener fronte anche alle autorità peruviane che avevan tollerati gli abusi.
Nell’agosto 1910, il console generale Casement arrivò a Iquitos, un mese dopo a la Chorrera, centro della P. A.R.S. Ivi sino al dicembre, studiò a fondo la situazione e riempì non meno di trenta protocolli particolareggiati contenenti le deposizioni testuali degli abitanti, testimoni oculari e partecipi essi stessi degli orrori che da anni e anni funestavano quel paese.
Ecco il piano d’azione della Rubber Company. L’operazione preliminare, dalla quale tutto il resto dipende, è la «questione operaia» che questi industriali han risolto nella maniera più semplice. Organizzano delle correrias (scorrerie) di briganti arruolati, armati di fucili Winchester con 100 o 200 cartuccie a testa: sorprendono i villaggi di notte, incendiano le capanne, fanno fuoco contro quegli sventurati che oppongono resistenza o che tentan fuggire, e si trascinan via la preda: uomini, donne, bambini. Nella relazione annuale del Ministero della giustizia indirizzata al Congresso della Repubblica, si legge: «Pautumayo. In questa riviera non è possibile stabilire una missione a causa degli abusi dei caucheros (cacciatori di caucciù) contro i pagani, che essi maltrattano e assassinano pei motivi più frivoli impadronendosi delle mogli e dei figli».
La stessa relazione contiene i lamenti del prefetto apostolico di San Francisco de Ucayali, il quale protesta contro la tratta infame che spopola quelle regioni, contro il commercio dei giovani e delle giovani.
Questa tratta provoca e incoraggia frequenti caccie dirette contro quei poveri selvaggi che si strappano dalle case, si uccidono e si lasciano marcire impunemente.
Nulla è stato fatto da parte del Governo, per reprimere tali errori; si parla al contrario di spedizioni armate, dirette contro questi poveri indigeni per punirli del delitto d’aver difeso le loro famiglie e di aver vendicata la morte dei loro più cari.”