di Arturo Lancellotti.
Da Emporium, Vol. LXXII, N. 428, agosto 1930.
“Se ogni chiesa importante ebbe nei secoli la sua biblioteca, come poteva mancarne la Chiesa Romana? Fin dalle origini possedette lo scrinio, ad uso del Pontefice e dei familiari. Accanto all’Evangelo che fu il primo suo libro, i dottori deposero i chirografi di loro fede, e vennero copiosi i codici liturgici, le lettere di condanna contro gli eretici, i Regesti, ossia quei libri in cui erano trascritte le lettere dei Pontefici, ecc. Fin dai tempi di papa S. Antero, o Anterote (235-236) si ricorda un luogo destinato a conservare gli atti dei martiri e le carte della Romana Chiesa, luogo detto Scrinium, Vestiarium, Chartularium, o anche Chartarium. Purtroppo l’incendio diocleziano del 303 distrusse questo prezioso tesoro di memorie. Da ciò la penuria di documenti lamentata da S. Gregorio Magno.

Fra il 305 e il 384 Papa San Damaso, eretta a Roma la Basilica di San Lorenzo, ordinò, negli ultimi decenni del IV secolo, di stabilirvi gli Archivi e la Biblioteca Apostolica. Dopo il 418 Papa San Bonifacio I nominava, in una lettera diretta al Vescovo di Tessalonica, gli Archivi della Santa Sede.
Non si può dire con precisione quando questa Biblioteca embrionale si trasportasse al Laterano; certo vi era già nel VII secolo. Nel 649 Martino I accordava facoltà di trascrivere Codici. Nel 654 Eugenio I volle che parecchie memorie concernenti cose della Santa Sede fossero custodite al Laterano, e nel 687 Sergio I affidò la custodia della Biblioteca a Gregorio Suddiacono e Sacellario, divenuto poi, nel 715, Gregorio II.
Nel 745 Papa Zaccaria volle classificati i libri della Lateranense, ed ornò di portico, torre, triclinio, pitture e cancelli di bronzo il vecchio Scrinio. Fu di qui che Paolo I trasse nel 757 i libri che mandò a Re Pipino, mentre Adriano |nel 772 offri a Carlo Magno i libri liturgici gregoriani, assicurando alla Biblioteca gli atti greci autentici del Sinodo Secondo di Nicea, insieme alla loro versione latina. Poco dopo la liberalità nel dare era giunta a tanto che Gregorio IV (827-844) non poté offrire che un solo antifonario, l’ultimo rimasto, all’Imperatore Ludovico.
Ma se Roma donava, riceveva pure. Nel 783 Carlo Magno regalò ad Adriano I il Salterio della sua defunta consorte Ildegarda. Altri doni si ebbero Gregorio IV e Benedetto III, e quando chierici e monaci greci, fuggendo la persecuzione degli iconoclasti, si rifugiarono a Roma, non pochi furono i codici che portarono con loro dall’Oriente donandoli allo Scrinio ricordato nel 948 da una bolla di Agapito II.

Silvestro II nel 999 si dedicò molto all’incremento della Biblioteca, acquistando numerosi libri dappertutto, e sul finire del X secolo i monasteri posti sotto l’immediata dipendenza del Pontefice, erano obbligati ad offrire come tributo un certo numero di opere liturgiche alla Biblioteca Lateranense, una parte della quale erasi trasferita, fin dal 705, come in posto più sicuro, nella villa eretta da Giovanni VII sul Palatino.
L’incendio del 1084 provocato da Roberto Guiscardo, e le guerre combattute fra Papi ed Antipapi, produssero danni gravissimi in tutte le biblioteche di Roma, e se quella Apostolica, benché in parte distrutta, durava ancora era già un miracolo. Per tutto il XII secolo i Regesti, almeno quelli dei successori di Gregorio VII, esistevano ancora. Ma dopo Onorio III (1216-1227) tutto scompare senza lasciar traccia. Si perdono, così, inestimabili tesori e si forma nella storia del mondo un’incolmabile lacuna. Il Gregorovius, toccando delle fortunose vicende che il vetustissimo Scrinio dovette traversare, deplora con belle e nobili parole, che le lotte sempre rinascenti, di cui Roma fu teatro nell’età di mezzo, abbiano cagionato tanta dispersione: dispersione, dice, non solo di ricchezze inapprezzabili, che riguardano il Governo mondiale dei Romani Pontefici, bensì di documenti che avrebbero rischiarata la storia politica e civile d’Europa, e lo stato della lingua latina in quei secoli, con le vicende della letteratura romana nella prima metà del Medio Evo.
Per buona sorte, se tutti i regesti antichi furono perduti, si salvarono, però, nei varii archivi e nelle diverse biblioteche d’Europa, in buona parte, le spedizioni, e lettere originali, e tante raccolte di Canoni, Decretali, ecc. La famosa Bibbia, poi detta Amiatina-Laurenziana (Amiatina, perché fin dal IX secolo custodita nel Monastero longobardo del Salvatore sul Monte Amiata, e Laurenziana, perché oggi si conserva a Firenze nella Biblioteca Mediceo-Laurenziana) questa Bibbia, ch’è il più antico esemplare della Vulgata, e perciò di capitale importanza per la critica sacra, rimane l’unico libro superstite del disperso Apostolico Scrinio, come ha ben dimostrato il De Rossi. E l’unica tavola giunta a salvamento dopo il naufragio.
Con Innocenzo III (1198-1216) si apre la serie dei Regesti chiamata appunto Innocenziana, e Nuova perché da lui comincia e giunge fino a noi, succedendo ai vecchi distrutti Regesti. Questa Nuova Serie, salvo qualche lacuna, procede continuando fino a Sisto V, il quale la interrompe istituendo quindici Congregazioni, e perciò quindici tribunali; con altrettante Cancellerie ed Archivi distinti.
Durante il XIII secolo la Biblioteca segue i Papi ad Orvieto, Viterbo, Anagni, e Perugia. Eppure sotto Bonifacio VIII (1294-1303) era la prima del suo tempo, possedendo libri miniati e perfino 33 codici greci, cifra allora alta. Nel 1295 fu redatto il primo inventario dei libri della Sede Apostolica di cui abbiamo notizia. Nell’attentato di Anagni questi libri andarono in parte dispersi, tanto che nella Biblioteca Vaticana non esiste nessun codice che possa provarsi appartenuto alla Biblioteca Bonifaziana.
Col trasferimento della Sede Papale in Avignone anche i libri emigrarono. E soltanto con Gregorio XXII (1316-1334) che comincia a formarsi la nuova Biblioteca Avignonese, in parte con acquisti, in parte con doni, ed in parte col diritto degli spogli, vale a dire col diritto della Camera Apostolica, di impadronirsi di tutto quanto possedette un prelato morto in Curia, tranne, si intende, dei suoi beni patrimoniali. Da questi spogli vennero la maggior parte dei codici alla Biblioteca, che fu accresciuta assai da Benedetto XII (1334-1342) e dal suo successore Clemente VI (1342-1352), il quale aumentò la preziosa raccolta più con l’opera dei copisti che con i le compere, oltre, si intende, col diritto degli spogli. Soltanto, mentre Benedetto aveva fatto lavorare in Curia gli amanuensi, Clemente fece scrivere i libri a Parigi piuttosto che ad Avignone; forse perché egli era stato monaco in quella città nella Chaisedieu. Sotto di lui, la Biblioteca giunse, forse, al colmo del suo splendore.

Innocenzo VI (1352-1362) e i suoi successori, sino al termine dello scisma, comprarono pochissimi libri, pochissimi ne fecero trascrivere. Però alla scarsa compera supplivano gli spogli, i quali, per esempio, in soli sette anni, dal 1343 al 1350, recavano in Biblioteca circa milleduecento volumi. Fino dagli esordi, anzi, del Pontificato di Innocenzo, tanta era la copia dei codici acquistati con tale mezzo, e spesso rappresentanti una stessa opera, che questo Papa ed il suo successore Urbano V ne largheggiarono coi Collegi da loro fondati a Montpellier, a Tolosa ed a Bologna.
Il 28 Gennaio del 1352 si compilò un nuovo Inventario della Biblioteca e nel 1369 Urbano V ne fece stendere un altro.
Spetta al dotto Pontefice Gregorio XI (1371-1378) il riordinamento della Biblioteca, compreso l’Inventario, diviso in tre parti, i cui lavori pare abbia diretti egli stesso nel 1375. In questo ordinamento i primi 408 volumi sono distribuiti per scrittori gli altri, dal 409 al 1309, per materia. Diversi degli attuali codici della Vaticana risalgono a tale periodo. E importante sapere come la libreria pontificia, non solo si approvvigionava allora, cioè nel periodo avignonese, ma continuò ad arricchirsi dopo. Fu con compere, conduzioni di appositi amanuensi, spogli, doni e lasciti, specialmente dei singoli Papi. Che poi degli autori troppo vicini non se ne avessero molti, ciò si spiega col fatto che gli spogli venivano da prelati vecchi, i quali possedevano per lo più libri studiati nella loro giovinezza.
Fino al 1411 la Biblioteca Avignonese (e con essa il Tesoro) fu allogata nella Torre degli Angeli, costruita in Avignone da Benedetto XII. Nel triste periodo dello scisma d’occidente, l’antipapa Benedetto XIII la arricchì, ma la volle in parte trasferire al Castello di Peniscola (1408). A pace ristabilita, solo una parte dei libri ritornò ad Avignone, e, più tardi, a Roma; ma il loro grosso finì nella biblioteca privata del Principe Borghese posta in vendita nel 1891.
Un piccolo nucleo della Nuova Biblioteca comincia ad esistere sotto Martino V (1417-1431) ma è col suo successore Eugenio IV che a Roma si cercò di far giungere tutti i libri di Avignone. Eravamo nel 1443 e la Biblioteca Vaticana conteneva 350 codici di cui soltanto 3 greci. Fu Nicolò V (1447-1455) che fondò la vera Biblioteca Vaticana, divenuta poi così celebre. Sotto di lui i codici raggiunsero il numero di 807 latini e ben 353 greci. Le sue armi con le chiavi ed il P. P. si scorgono difatti nella volta della Biblioteca greca. La libreria di Nicolò V sarebbe divenuta magnifica se egli fosse vissuto di più. Papa Callisto III, suo successore, vi aggiunse i preziosi manoscritti greci e latini salvati quando la città di Costantinopoli cadde nelle mani dei Turchi, si dice con la spesa di 40.000 scudi d’oro.
Si deve a Sisto IV (1471-1484) la preparazione della degna sede della Biblioteca Vaticana. La Cappella Sistina e la Biblioteca costituiranno nei secoli il vanto di questo Pontefice. Egli scelse per sua residenza la parte del Palazzo decorata da Pio II, e che oggi è conosciuta col nome di appartamento del Pappagallo. E nel Cortile che si chiama anche del Pappagallo in quelle stanze terrene dov’è l’ attuale Floreria, collocò l’odierna Biblioteca.
Anche oggi vediamo la porta antica con gli stipiti di marmo e l’arme dei Della Rovere sull’architrave. Le stanze furono affrescate dal Ghirlandaio e da Melozzo da Forlì, e l’aula maggiore reca i ritratti degli autori accompagnati da carmi. Sisto IV volle che l’oro rilucesse sulla porta principale, fece scolpire gli armadi e i banchi da valorosi artisti del tempo ed eseguire i pavimenti in mosaico. Le vetrate a colori furono dipinte da Ermanno Teutonico.
Sisto IV fece venire codici da tutta Europa; comprò, fra le altre, nel 1482, la raccolta di Gaspare di Sant’Angelo e si servì con larghezza dell’opera dei copisti. Fu una dotazione tutta di carattere ecclesiastico. Confrontando l’inventario di Sisto IV con quello di Niccolò V si scorge che la Vaticana possedeva tre volte più manoscritti nel pontificato del munifico Della Rovere, che non sotto quello del grande Parentuccelli. Sotto Sisto abbiamo, infatti, 2527 volumi: cioè 770 greci e 1757 latini.

È nell’inventario del 1475, che vediamo comparire per la prima volta il famosissimo codice della Bibbia Greca (oggi Vat. 1209), il più autorevole strumento biblico che si conosca, e che ad ogni altro sovrasta per età (prima metà del secolo IV) e per rinomanza mondiale.
Un altro impulso alla ricchezza della Biblioteca Vaticana venne da Leone X il gran papa mecenate, che mandò una schiera di dotti in giro per l’Europa alla ricerca di manoscritti.
Dopo il sacco di Roma del 1527, che arrecò danni e perdite alla Biblioteca, la preziosa raccolta crebbe sempre di numero e di pregio sino a raggiungere la cifra approssimativa attuale di 40.000 codici, di 3.500incunabili e di oltre 350.000 volumi a stampa, non tenendo conto del distacco dell’archivio, pur esso ricchissimo, dalla Biblioteca, avvenuto sotto Paolo V. Non va dimenticato l’ampliamento fatto da Sisto V con le belle sale ricche di decorazioni. Col concorso dell’architetto Fontana, questo papa divise in due il cortile del Belvedere, fissò in questa sala, risultata magnifica per semplicità di linee e nobiltà di decorazioni, l’aula magna della biblioteca (m. 69,80 per 15,85) ed affidò ai pittori Cesare Nebbia, Giovanni Guerra, ed altri dell’ultimo 500, gli affreschi che ritraggono le opere da lui compiute e che hanno una speciale importanza per la topografia e i monumenti di Roma, mostrandoci gli aspetti dei luoghi e lo stato degli edifici quali erano prima degli ampliamenti e dei restauri del Pontefice.
Sisto V fissò per primo un vero e proprio organico della Biblioteca e impiegò 40.000 scudi per la fondazione della Tipografia. Fu allora compilato l’Index Bibliotecae Vaticanae a tempore Nicolai V ac deinceps usque ad Xystum V, che oggi non si trova più, ma che conteneva perfino saggi della paleografia dei più insigni ed antichi codici.
Non è possibile trattare a fondo, e forse neppure sommariamente, lo sviluppo che ebbe la Biblioteca sotto gli altri papi, fin verso la fine del passato secolo, quando Leone XIII le impresse un carattere di vera magnificenza. Sotto Pio VIII, tornati da Parigi i codici presi dalla Francia e già ceduti al Direttorio per il trattato di Tolentino, veniva alla Vaticana il grande Angelo Mai, che nel 1822 pubblicava i frammenti del perduto De Republica, invano ricercati dal Petrarca.
E noto che la Biblioteca Vaticana si è messa insieme con vari più o meno larghi gruppi di opere (manoscritti e libri) raccolte in diverse epoche. Nel 1591 essa si arricchì della collezione del cardinale Antonio Carafa; nel 1602 di quella di Fulvio Orsini: nel 1622 di quella dell’elettore palatino di Heidelberg; nel 1658 dell’Urbinate, fondata da Federico di Montefeltro, duca di Urbino (1482); di quella della regina di Svevia Cristina Alessandra (1690); e di Pio II (1705) ; della Capponiana, donata per testamento dal marchese A. G. Capponi (1764); dell’Ottoboniana (1748), già degli Altemps e in origine del bibliotecario Marcello Cervino; in fine della libreria Cicognara incorporata sotto Leone XIII.
Al cardinal Mai succedeva nella prefettura della Vaticana il famoso Mezzofanti, continuando così la serie illustre dei prefetti i cui nomi sono celebri fra gli studiosi non meno di quelli dei cardinali bibliotecari: Marcello Cervino, Guglielmo Sirleto, Cesare Baronio, Girolamo Casanate, Domenico Passionei, Antonio Tosti, G. B. Pitra, Alfonso Capecelatro, Aidano Gasquet.

Sotto Pio IX erano entrati alla Vaticana i libri del cardinal Mai, quelli di Antonio Ruland, i manoscritti del dotto Gian Maria Mazzuchelli, autore del poderoso lavoro Gli scrittori d’Italia, ed i famosi autografi di San Tommaso.
Ma nella storia della biblioteca il pontificato di Leone XIII è di una importanza eccezionale: a lui è dovuta dal 1880 la libera consultazione dell’archivio segreto; a lui l’ordine di pubblicare i cataloghi dei manoscritti. E la serie dei manoscritti veniva, durante il suo pontificato, arricchita dal carteggio Mazzuchelli, dai codici ebraici della Casa dei neofiti in Roma, dal manoscritto etiopico, donato a lui dal re dello Scioa Menelik; dall’acquisto fatto col suo danaro privato, dei famosi codici Borghesiani, avanzi della biblioteca papale avignonese, dell’archivio di casa Borghese e del breviario del Petrarca.
L’antica biblioteca allogata da Sisto IV nei locali dell’attuale Floreria apostolica venne poi trasportata in quelli costruiti, come abbiamo detto, da Domenico Fontana per ordine di Sisto V, dove ancora oggi si trova e dove sono raccolti magnifici doni offerti dai regnanti e dai popoli a Leone XIII per il suo giubileo. Negli eleganti 46 armadi, sui quali spiccano magnifici vasi etruschi, erano, fino a questi ultimi tempi, chiusi i codici. Gli stampati, da Gregorio XVI in poi, occuparono le sale Borgia, nascondendo in parte la bellezza degli affreschi del Pinturicchio. Leone XIII restaurò, come dicemmo, l’appartamento Borgia, facendo trasportare i libri nella nuova biblioteca leonina in sei magnifiche ed ampie sale, decorate nello stile degli Zuccari.
Nel 1902 due importanti raccolte entravano alla Vaticana; i codici Borgiani e la Biblioteca Barberiniana.
Sotto Leone XIII, Pio X e Benedetto XV prosperò l’opera dei cataloghi e verso la fine del pontificato di Benedetto XV un altro prezioso contributo veniva alla Vaticana con l’acquisto della Biblioteca Rossiana, già della Compagnia di Gesù, ma esulata a Vienna. Lunghe e difficili furono le trattative diplomatiche; ma l’intero patrimonio era infine assicurato alla Santa Sede. Si tratta di ben mille codici sceltissimi, 2500 incunabuli e circa 6000 stampati preziosi.
Nel 1911 Pio X nominava Mons. Achille Ratti, chiamandolo a Roma dall’Ambrosiana di Milano, Viceprefetto della Vaticana. Colui che doveva diventare, poco più di dieci anni dopo, Pio XI, resse la Vaticana fino al 1918, quando andò a Varsavia come Visitatore Apostolico. Con la sua elezione a Sommo Pontefice comincia per la Vaticana l’età aurea. Molti furono i doni di libri rari che da tutte le parti del mondo pervennero al Papa bibliotecario, ma il dono più gradito dovette essere quello fattogli dal Governo Italiano della Biblioteca Chigi, che Egli, fin dal 1918 aveva proposto a Benedetto XV di acquistare tanto ne stimava l’importanza. La Biblioteca del Principe Chigi, fondata da Alessandro VII, ed accresciuta dai doni di tre cardinali di casa Chigi, ha più di tremila manoscritti, tra cui i codici di varie abbazie benedettine, primissima fra esse Farfa, e le biblioteche dei due papi Piccolomini, Pio II e Pio III. Tra i manoscritti, 84 sono miniati. Vi si trovano, poi, 300 incunabuli e 30.000 stampati.

Per lo studio della storia e della letteratura italiana, latina, francese, spagnuola, inglese, è, poi, di grande utilità la biblioteca della nobile famiglia Ferraioli che il marchese Filippo Gaetano donava nel 1926 alla Vaticana in esecuzione anche della volontà dei fratelli Gaetano (cui in particolare è dovuta la raccolta) ed Alessandro. Il nuovo legato, alla catalogazione del quale, come a quella della Chigiana, alacremente si sta attendendo, venne ad arricchire i fondi vaticani di 40.000 stampati e di circa 1200 manoscritti, fra cui rarissimi autografi.
Grande incremento aveva avuto la sezione Orientale — beneficiandone anche moltissimo la Biblioteca del Pontificio Istituto Orientale — dagli acquisti fatti a varie riprese durante appositi viaggi, compiuti per ordine del Santo Padre in Oriente da Mons. Tisserant e da Padre Cirillo Korolevskij. Ma un contributo notevolissimo le venne dalla Biblioteca di Mons. Luigi Petit, già arcivescovo di Atene, acquistata dal Santo Padre e comprendente circa 8000 volumi, quasi la metà greci, 80 manoscritti greci relativi sopratutto al diritto canonico, 20 esemplari originali di lettere patriarcali, documenti di archivio sulla storia di Naxos ed una collezione rarissima di acolutie.
L’accrescimento del numero di codici e stampati fu tale in questi pochi anni che nessun’altra biblioteca del mondo può vantarne l’uguale.
Abbiamo, nel corso di questo articolo, accennato alla biblioteca lateranense, a quella avignonese e a quella Vaticana: in conclusione, una sola biblioteca vi è sempre stata, la cui storia si divide bensì in tre periodi, ed ha subito varie vicende, ma non ha sofferto alcuna discontinuità, almeno morale, dalle origini del Cristianesimo ai giorni nostri, e questa è la biblioteca detta sempre della Sede Apostolica, o della Santa Sede o della Chiesa Romana, proprietà dei papi non in quanto sovrani temporali, ma in quanto capi della Chiesa Universale. Ed è di questa universalità che, a differenza di tutte le altre raccolte similari del mondo, la biblioteca Vaticana rispecchia l’immagine.
Molti sono i doni che i Pontefici le fecero, non solo di libri, ma anche di oggetti d’arte per abbellirla sempre più e renderne gradevole l’aspetto. Pio IX le offri le due colonne di alabastro della porta d’ingresso della Sala Sistina; tre grandi vasi di porcellana avuti in dono dal Re di Prussia; un Crocifisso di metallo dorato con la base di malachite; la vasca di porcellana di Sèvres, che alla Metropolitana di Parigi servì per il battesimo del figlio di Napoleone II; il grande vaso di alabastro egiziano offertogli dal Card. Antonelli; un gran masso di malachite. E, poi, la copia del Giudizio Finale di Michelangelo eseguita a matita dal Minardi; un inginocchiatoio riccamente intagliato, offerto a lui dai vescovi della provincia di Tours; un magnifico messale in pergamena, con belle miniature, dono dell’Imperatore d’Austria ; un leggio di metallo dorato e smaltato offertogli dalle Religiose di Tournay; infine, la collezione delle stampe del Louvre e quattro affreschi antichi trovati nelle fondamenta di una casa in Via Graziosa, insieme ad altri quattro più piccoli venuti fuori dagli scavi di Ostia. La raccolta degli antichi affreschi romani, iniziata da Pio VII e che una volta fu unica del suo genere, deve, quindi, molto a Pio IX.

Noteremo per ultimo che Papa Mastai, fin dal 1867, volle iniziata la collezione degli Indirizzi giunti a lui da tutto l’orbe cattolico; indirizzi elegantissimi per ricchezza di fregi e rilegature e che ascendono al numero di varie migliaia. Essi sono custoditi ed esposti in magnifici armadi e formano un importante gruppo di documenti.
Con tutti questi acquisti, con tutti questi doni, la Biblioteca aveva assunto uno sviluppo così enorme, che quando Pio XI ascese al pontificato, dovette per prima cosa porsi il problema di trovarle nuovi locali e nuove scaffalature. Era indispensabile per non soffocarla. Col suo occhio clinico, il Papa bibliotecario a tutto provvide rapidamente. Abolite le scuderie, ebbe subito libera una Galleria del Bramante, lunga circa 70 metri, e la trasformò in un vasto magazzino a tre piani, che potrà accogliere parecchie delle Sezioni del Fondo Stampati, ora sparsi in camere di insufficiente capacità, e troppo lontani dalla sala di consultazione. Quattro grandi finestre sono state riaperte dopo varii secoli; le scaffalature metalliche oggi in uso nelle più importanti biblioteche del mondo si sono subito adottate, mentre i pavimenti si facevano in marmo e veniva provveduto ad un moderno e sicuro impianto di illuminazione elettrica.
Quanto alle comunicazioni, una via di accesso assai più agevole di quella odierna si è aperta nell’angolo nord-est del Cortile di Belvedere. Gli studiosi non saranno più costretti a salire la lunga scala che dal Portone di Bronzo conduce al Cortile di San Damaso, ma, da Borgo Pio, per la Porta di Sant’Anna e il magnifico Cortile di Belvedere, entreranno subito nei locali della Biblioteca.

Ma vediamo quali sono stati i lavori architettonici per questa nuova sede, e come essa oggi si presenti. La Corte di Belvedere è rinata a nuova vita. Tutt’intorno all’immenso rettangolocorre un largo marciapiede, e, parallelamente ad esso, un vastissimo viale. Otto grandi aiuole, cinte di travertino e di bosso, e adorne di ciuffi di piccole palme, si aprono ai due lati della grande fontana centrale. Il piano dell’Esedra che chiude il cortile a mezzogiorno è stato rifatto di travertino e mattoni a spina. Esso reca nel centro a grandi lettere metalliche l’iscrizione: Pius XI P. M. Anno VII. È stata rimossa la piccola vasca di granito, che giaceva a terra da tempo immemorabile, inalzandola sopra il grande bacino della fontana di Paolo V, che ora, completata, restaurata e rifornita di acqua e di zampilli sul disegno originale, rivive al centro della Corte.
Il nuovo ingresso della Biblioteca è stato aperto nella seconda arcata a destra del Palazzo che Sisto V fece costruire, spezzando in due la Corte del Belvedere. Oltrepassato l’ingresso, troviamo una scala maestosa, sui ripiani della quale sono fregi di marmo e capitelli antichi. Questa scala d’accesso comunica con un’altra scala più piccola, costruita in prosecuzione della scala vecchia e che sbocca tuttora sul Cortile posto tra la Basilica e il braccio Nuovo del Museo, cortile anche esso decorosamente sistemato. Dal nuovo accesso volgendo a destra si giunge al grande braccio nel quale Pio XI ha creato posto per il collocamento di almeno 250.000 volumi.
Il nuovo salone della biblioteca misura 75 metri di lunghezza per circa 10 di larghezza ed è interamente occupato dalla scaffalatura in acciaio. Gli scaffali sono costruiti su tre piani, collegati tra loro da tre scale. Un ascensore conduce da questo nuovo locale al soprastante salone di Urbano VIII. Il terzo piano è in comunicazione con la sala dove si stanno compilando i Cataloghi.
Gli scaffali sono quanto di più moderno vi sia in materia di custodia di libri. L’ossatura, a palchetti mobili, regolabili secondo l’altezza dei libri, è traforata perché l’aria vi circoli, impedendo l’accumularsi della polvere e la conseguente nascita delle tignole.

Tutto è stato eseguito col danaro personale di Pio XI (la fondazione Carnegie ha dato i fondi solo pei Cataloghi) che, con la sua lunga e profonda esperienza di bibliotecario, ha vagliato i varii progetti sottopostigli, prima di prescegliere quello da realizzare.
Questo mecenatismo di Pio XI, degno di un Papa della Rinascenza, è consacrato in due lapidi apposte sulle pareti del nuovo salone. Una di esse dice: «Providentia Pii XI, Pont. Max. — Ante VII Princ. annum accesserunt — Bibliothecae Apost. Vaticanae — Bibliotheca Principum Chisiorum – Bibliotheca Marchionum Ferraioli — Bibliotheca Lud. Petit. Episc. Athen. — Ios. Caprotti Codices arabici CCCXL — Vercellone biblia mss et impressa — Aliique codd. omne genus supra MCC». E l’altra «Pius XI Pontifex Maximus — Conclavibus adiunctis peramplis — In quibus volumina reponerentur — Aut. Schedulis describerentur — Adscensu commodiore aedificato – Cavaeditis utrimque continentibus – In pristinum decorem restitutis — Bibliothecam ac tabularium Vatic. Auxit et ornavit Anno S. Princ. VII».
Ma i lavori di indole bibliografica iniziati alla Vaticana non sono meno grandiosi di quelli stabiliti per la sistemazione materiale dei libri. Come si apprese in America che il Papa si era proposto di catalogare i libri della Vaticana, la fondazione Carnegie mise a sua disposizione il non poco danaro occorrente. Pio XI, pure mostrandosi compiaciuto non volle, però subito accettare, poiché temeva che l’intervento americano potesse in certo modo mettere delle restrizioni alla libertà della Santa Sede. Fu solo in un secondo tempo, quando gli venne assicurato che gli scienziati americani avrebbero col massimo disinteresse messo tutta la loro esperienza ed attività al servizio della Biblioteca Vaticana, coadiuvati da aiuti finanziari largiti senza condizioni dal fondo Carnegie, che si decise ad accogliere l’offerta.

Subito dopo Mons. Tisserant, uno dei più autorevoli scrittori della Biblioteca Vaticana, parti per gli Stati Uniti per stabilire il piano dei lavori, e più tardi una commissione di tre inviati della stessa biblioteca, presieduta da Mons. Enrico Benedetti, lo raggiunse per prendere conoscenza dei sistemi tecnici adottati dalle maggiori biblioteche d’America. Le spese di viaggio e permanenza negli Stati Uniti furono sostenute dalla Fondazione Carnegie, la quale mandò a sua volta a Roma un gruppo di personalità americane per studiare le innovazioni tecniche che possono adottarsi alla Vaticana. Questi bibliotecari americani si sono affrettati ad assicurare che la Biblioteca Vaticana gode molti amici ed ammiratori negli Stati Uniti, poiché nessun’altra può vantare la sua storia ed importanza. Nella Vaticana il servizio è compiuto con una prontezza (relativamente alla distanza da percorrere per trovare il manoscritto o il libro richiesto), una cordialità ed una cortesia uniche. Questo rilievo sulla sveltezza del servizio, che non oltrepassa mai i dieci minuti, ha tanto maggior valore in quanto è fatto da William Warker, organizzatore di quelle biblioteche americane dove, di solito, la consegna di un libro si ottiene entro uno o due minuti.

Il Warker ha notato molte sapienti modificazioni che Pio XI ha introdotto alla Biblioteca. Lo spirito è lo stesso dei tempi di Leone XIII, ma i mezzi sono più moderni e più ricchi. I libri stampati si trovano ben disposti in scaffali aperti e mirabilmente catalogati. Per averli e nel numero che desidera, il lettore incontra il minimum di formalismo e il maximum di aiuto.
Per la quantità dei manoscritti posseduti, la Vaticana è superiore a qualsiasi altra biblioteca. Per dare un’idea dei tesori che accoglie diremo che il Bibliotecario Card. Mai, sui principi dello scorso secolo, scoprì, dimenticati sotto un cumulo di libri, un gran numero di preziosi manoscritti, tra cui varie Orazioni di Cicerone, lettere inedite di Marco Aurelio, due volumi delle Cronache di Eusebio ed i libri VI e XIV della Sibilla.
Si dice che molti manoscritti siano nascosti tra i libri non ancora catalogati e tra essi quello dell’Epistola di San Paolo ai Tessalonesi. Certo abbiamo un esempio di manoscritto celato per molto tempo nella Vaticana, nel supposto rapporto di Ponzio Pilato all’Imperatore Tiberio sugli eventi che culminarono nel Giudizio e nella Crocifissione di Gesù; manoscritto questo che, scoperto nel 1896, suscitò grande emozione presso tutti gli studiosi del mondo.
Un altro importante manoscritto rinvenuto alla Vaticana tempo fa è la Topografia cristiana di Cosma Indicopleuste, che pare sia stato il primo geografo cristiano. Fu scritta tra gli anni 518 e 527, ma venne rinvenuta soltanto poco prima del 1908. Egli descrive la terra come perfettamente piana ed attaccata, tutt’intorno al suo margine, ai cieli.
Il maggior tesoro della Biblioteca è rappresentato, come dicemmo, dal Codex Vaticanus che è il più antico e quasi completo manoscritto esistente della Bibbia Greca. Diciamo quasi completo, perché vi mancano i primi 46 capitoli della Genesi, i Salmi 106 e 138, l’ultima parte dell’Epistola agli Ebrei, le Epistole Cattoliche e tutto l’Apocalisse. Di interesse non minore è il Palinsesto della Republica di Cicerone, segnato sotto a un manoscritto della traduzione dei Salmi, fatta da Sant’Agostino. Questo palinsesto è il più antico manoscritto latino esistente al mondo. Accanto ad esso si trovano un manoscritto di Virgilio del IV secolo, un manoscritto di Plinio con interessanti figure di animali, ed un manoscritto del libro IX di Ovidio.
Prezioso è un manoscritto dell’Inferno di Dante, nella delicata calligrafia del Boccaccio, e preziosi sono ancora gli autografi del Petrarca e del Tasso, i numerosi manoscritti di Martino Lutero, e tre autografi di Enrico VIII. Due di questi ultimi consistono in lettere amorose dirette ad Anna Bolena, che più tardi egli doveva far decapitare, ed il terzo è una copia dell’opuscolo col quale il Re difendeva i Sette Sacramenti contro Martin Lutero.
La Biblioteca Vaticana, ora che i lavori di ampliamento e di sistemazione sono compiuti, è diventata un’attrattiva immensa per il non tanto ristretto pubblico degli studiosi. Ma bisogna convenire che lo era anche prima, quando per arrivarvi bisognava percorrere un’infinità di scale, cortili e corridoi. Alla tavola direttoriale, finché non venne innalzato alla dignità della porpora, era la caratteristica figura del Padre Ehrle, che sorvegliava i lettori, parlava tutte le lingue di Europa, mostrandosi sempre di una cortesia e di un buon umore piacevolissimi. Ora lo ha sostituito Mons. Mercati.
Gli studiosi sono ammessi alla Vaticana con una liberalità che può parere perfino eccessiva. Il Bishop, che ha fatto una specie di studio psicologico sui frequentatori della Vaticana, afferma che quando le Università germaniche concedono una sosta primaverile tra i due semestri, l’aula è gremita. «Vi si possono vedere in mezzo ad abiti talari, il cappello alto del prete greco, insieme ad una collezione di barbe e di costumi, quali solo Roma può adunare». Molti di quei frequentatori che attendono alla loro opera con costanza e modestia son delle celebrità, e voi spesso conoscete il nome del vostro vicino solo quando lo trovate stampato sul frontespizio di un libro.”