Da Sapere, Anno III, Volume VI, N. 70, 30 novembre 1937.
Di G. Aliprandi.
” ■ DUEMILA ANNI: un mondo lontano rievocato improvvisamente alla memoria da due sole parole. E un tumulto di contrasti nella Roma repubblicana, in attesa che l’Impero avesse a trarre, dalla vita ferrigna ed aspra, un’epoca di grandiosità e di potenza.

■ 63 a. C.: anno di tempesta a Roma. Il consolato di Cicerone ha da domare la congiura di Catilina. La congiura è scoperta. I congiurati sono imprigionati. Il 5 dicembre 63 a. C..il Senato romano deve decidere della loro sorte. Cesare disorienta i senatori con la sua proposta di condannare i congiurati al carcere perpetuo, Cicerone riapre con abilità la discussione e il discorso di Catone, dritto, lineare, energico, spietato, ispirato alla suprema salute della Patria, porta alla condanna capitale dei congiurati.
■ Della orazione celebre di Catone proprio questa parte non ci è pervenuta. Ma Plutarco ricorda:
«Fra tutti i discorsi di Catone dicono si sia salvato soltanto questo, in grazia al console Cicerone, il quale a coloro che si distinguevano nella celerità dello scrivere aveva anticipatamente insegnato certi segni, che in piccoli e brevi tratti contenevano il valore di molte lettere, e poi li aveva sparsamente disposti in varii luoghi del Senato. I Romani infatti non usavano pur anco e non conoscevano i cosiddetti stenografi, ma dicesi che allora per la prima volta si istituisse un tale sistema di scrittura. Il parere di Catone dunque prevalse e fece cangiar le opinioni, cosicché i congiurati vennero condannati a morte.»
■ In poche parole si ricorda un fatto di importanza storica notevolissima. Cicerone organizza un perfetto servizio stenografico: un gabinetto stenografico parlamentare, si direbbe con linguaggio moderno.
■ E si spiega perfettamente l’interessamento di Cicerone. Catilina era stato l’avversario accanito dell’Arpinate, Cicerone aveva interesse ad avere, della seduta, non un pallido riassunto, ma solo quella documentazione precisa che la stenografia può dare. Di qui la mobilitazione di “rapidi scrittori”, abili tachigrafi, esperti di quelle “Note tironiane” che, quasi sicuramente, avevano da qualche tempo diritto di cittadinanza, e non solo fra i liberti.
■ Le “Note” tironiane costituiscono il più antico ed organico sistema di stenografia che noi conosciamo. Non è dato fissare con esattezza lo sviluppo interno di tale sistema di scrittura, in quanto i più antichi documenti che noi conosciamo sono del sesto secolo. Certo i Romani usavano da tempo, specie per ragioni di spazio, nelle iscrizioni soprattutto, le abbreviazioni formate, generalmente, dalla lettera iniziale (o dalla lettera più significativa) della parola. Ma sempre scritta con i caratteri ordinari della scrittura latina.
■ Ma queste abbreviazioni non potevano bastare per ottenere una grande rapidità di scrittura, quale è richiesta dalla stenografia, e allora si adottarono dei segni speciali tratti dalla scrittura comune, e si rappresentarono le parole con il segno della lettera iniziale.
■ Neppur questo espediente può soddisfare lo stenografo che ha bisogno di avere segni estremamente leggibili e allora si ricorse a dei “punti” diversamente collocati rispetto al segno principale.
■ Non bastava neppur questo. E qui si rivela il genio pratico dei Romani. La stenografia deve adeguarsi alla lingua e allora i romani anatomizzano la parola per trarne il nucleo fondamentale: la “radice”; mettono in rilievo gli elementi più frequenti cioè il “prefisso” e la “desinenza ”.







■ Sembra che i prefissi siano stati i primi ad avere rappresentazioni stenografiche autonome.
■ Poi tale sistema abbreviativo verrà esteso, con procedimento che a noi è dato di considerare nel suo complesso.

■ Di una parola si dà un segno fondamentale (grande) e si collega poi a questo segno principale un altro segno, rimpicciolito, che dà la terminazione della parola.
■ In tal modo si ottiene una rappresentazione chiara e sufficientemente rapida.

■ L’uso delle tavolette cerate e dello stilo, consente poi ai Romani l’uso celere di tali forme abbreviative della parola e la registrazione sicura di discorsi e di orazioni.
■ Procedimento abbreviativo che in minimissima parte è conservato in talune forme della scrittura comune (S. V. Illma per “Signoria Vostra Illustrissima” è una abbreviazione moderna che si sarebbe tentati di chiamare tironiana), che si è mantenuto nei secoli ed ha improntato di sé la abbreviazione del predicato del Gabelsberger. […]

■ Omaggio all’antica Roma che, con orgoglio, noi richiamiamo e sottolineiamo iniziandosi la solenne esaltazione di Augusto, esperto di ‘’ Note ”.
■ Le “Note” sono state chiamate “tironiane”, in onore di Marco Tullio Tirone, che primo avrebbe sistemate razionalmente le abbreviazioni comuni e stenografiche (di Ennio).

■ Tirone era amico, più che liberto di Cicerone, consigliere prezioso dell’Arpinate. È quindi più che logico pensare che Cicerone abbia pensato al valente segretario per raccogliere, esattamente, la memoranda seduta del 5 dicembre 63 a. C. L’’illazione è logica e illumina molto il passo di Plutarco.
■ La manifestazione stenografica del 5 dicembre non rimase unica nella storia della stenografia; altre ne verranno successivamente; la stenografia avrà nell’Impero romano larghissima diffusione. Essa permetterà di trasmettere ai posteri, in modo preciso, le discussioni senatoriali e giudiziarie; le confessioni dei Martiri saranno consacrate fedelmente negli ATTI e le parole severe e solenni dei Padri della Chiesa avranno la loro eternità per la paziente e precisa attività dei tachigrafi latini e greci.”