Il lavoro a domicilio in Russia; L’eutanasia; La tratta dei fanciulli italiani (1914)

Voci dalla rubrica “Varietà”, da Rivista Enciclopedica Contemporanea, 1914.

Il lavoro a domicilio in Russia. — Al contrario delle altre nazioni, il lavoro a domicilio in Russia è uno dei rami più importanti dell’attività nazionale, uno dei grandi rimedi al pauperismo che infierisce nelle campagne. La Russia è un paese essenzialmente agricolo: più dell 80 per cento de’ suoi abitanti vivono del lavoro della terra. Essendo il clima assai rigido e gli inverni lunghissimi i contadini sono condannati all’ozio per cinque e talvolta sette mesi all’anno. Lungo periodo di sciopero, durante il quale è necessario trovare un’occupazione che permetta di vivere. Molti, è vero, vanno a cercar lavoro nei centri industriali, ma i più restano a casa occupandosi in lavori manuali di varie specie. E appunto di questa classe d’operai che vogliamo dare alcune notizie.
E difficile fare un censimento esatto dei contadini o lavoratori rurali; il loro numero dev’essere considerevole se si pensa che sui 115,433,000 abitanti dell’impero, 20,252,000 soltanto vivono in città. I 7/8 della popolazione risiedono in campagna; si può valutare senza esagerazione a 15 milioni circa il numero degli operai e operaie che si dedicano a questi lavori temporanei per una buona metà dell’anno.
L’industria a domicilio è diffusa in tutte le provincie e in tutti i distretti dell’Impero. Gli oggetti di legno tornito (giocattoli, quadri, scatole per guanti, per sigarette, mobili, ecc.) provengono dai governi di Mosca e di Nijni Nowgorod. La sola fabbricazione dei gingilli nel governo di Mosca tiene occupate più di 400 famiglie; lo Zemstwo ha fondato un ufficio od agenzia che s’incarica dello smercio dei prodotti; le sue vendite annuali rendono più di 60 mila rubli. Un altro ha la specialità di lavori in legno d’altro genere. Gli oggetti fabbricati godono d’una fama mondiale e vengono spediti persino in America e in Australia. Nella regione di Mosca hanno assai pregio gli oggetti in carta compressa, rinomati anche all’estero per l’originalità dei disegni; i Kustari ne custodiscono però il segreto della fabbricazione. I contadini del governo di Mosca preparano anche stoffe che servono per la decorazione delle stanze e per abbigliamento.
La tessitura è assai diffusa nei villaggi russi, specie nei governi del Nowgorod, di Dskow, di Fwer, di Doltawa.
Le contadine tessono sopra tutto tele di lino che in America e in Inghilterra sono molto ricercate. Le tele a giorno e a fil tirato si eseguiscono specialmente nei governi di Nowsorod, di Dololia, di Doltawa e di Kiew. Bisogna inoltre menzionare sempre tra i lavori femminili i ricami per biancheria, servizi da tavola, ecc., che sono talora vere opere d’arte.
Si deve poi ricordare un genere di ricamo che non è più coltivato all’estero: il ricamo d’oro e d’argento, di perle e di pietre preziose. In altri tempi era assai diffuso in Russia; ma oggi è soltanto un ramo di lusso dell’industria dei Kustari di Forjok, nel governo di Fwer.
L’arte delle trine, questo genere di lavoro rurale, esiste da tempo immemorabile in Russia e non si può stabilire se non vi sia stata importata dall’oriente o abbia avuto origine nel luogo. Nel 1911, il numero totale delle trinaie era di 70 mila, e il valore complessivo della loro produzione fu di 6,600,000 lire. Vere organizzazioni di provincia, al pari dell’iniziativa privata, hanno diretto i loro sforzi verso questa sfera importante dell’attività dei Kustari, erigendo scuole, fornendo alle operaie, insieme coi consigli tecnici, materiali appropriati e persuadendole a seguire i modelli dei vecchi disegni. Tali scuole sono attualmente una quarantina.
Industria non meno prospera è la gioielleria d’argento e di metallo argentato; essa ha il suo centro a Kostruw dove una popolazione di più di 40 villaggi è occupata esclusivamente in questo lavoro.
D’ordinario, l’industria rurale, è chiamata «piccola industria» ma meriterebbe piuttosto in Russia il nome di «grande industria». Per una buona parte dell’anno infatti essa dà di che vivere a più di 15 milioni d’operai, nonché alle loro famiglie. E in questo genere d’attività non bisogna vedere un metodo di lavoro retrogrado o arcaico, ma al contrario una prova d’ingegnosità, del genio inventivo e delle capacità tecniche dei contadini russi, dei Kustari, che non avendo a loro disposizione se non attrezzi grossolani e primitivi, riescono a costruir spessissimo degli oggetti d’un’arte e d’una perfezione che fanno stupire. Allorché ci capita sott’occhio uno di quei gingilli in cui il Kustari ha messa tutta la sua fantasia, la sua originalità, bisogna pensare che esso non di rado è stato fabbricato nelle condizioni più svantaggiose, con l’aiuto d’attrezzi eseguiti dall’artigiano stesso, in fondo a qualche villaggio sperduto nella grande steppa.
Presentemente, le signore protettrici dell’industria a domicilio d’Inghilterra e di Russia si propongono di organizzare un’associazione per diffondere i prodotti dei Kustari nei due paesi.
L’iniziativa spetta, da una parte, alla principessa di Marlborough, e dall’altra alla principessa Bieloselaka Bielozeraka. Nel 1912 alcune signore organizzarono dei bazar di prodotti dell’industria rurale russa in qualche città d’Inghilterra, e il successo superò tutte le previsioni.
Come si vede, l’industria rurale è un fattore non disprezzabile dell’attività economica della Russia; perciò è incoraggiata dal Governo, dai Zomatwos, dai municipii e dai privati.”


L’eutanasia. — Benché già raccomandata da Francesco Bacone, è una pratica nuovissima questa dell’eutanasia, che ha acceso discussioni vivissime e in cui favore si è costituita perfino in Germania una lega. Qual’è il suo scopo? Semplicissimo: quello di liberar gl’incurabili con una morte dolce da sofferenze inutili.
In America e nell’India è stato discusso perfino un progetto di legge sull’eutanasia, e quanto prima il Reichstag dovrà pronunciarsi su una proposta analoga di otto articoli.
Caso curioso: un progetto simile lo troviamo già abbozzato dal dottor Cabanis, un fine psicologo che, dopo aver dato il suo appoggio alla Convenzione, contribuì al ristabilimento dell’Impero. Con il grande Antonio Petit, il medico degli enciclopedisti, Cabanis aveva assistito Mirabeau nella sua ultima malattia. Ad un certo momento, il tribuno, dilaniato dal dolore e incapace di parlare, scrisse su un pezzo di carta quest’ultima parola: «Dormire!» Poiché i due amici fingevano di non comprendere, il malato tornò a scrivere la stessa parola aggiungendo: «Crudeli. lascerete per altri giorni ancora il vostro amico in questo supplizio?». I medici s’impietosirono: gli diedero l’oppio e Mirabeau si spense dolcemente.
Malgrado la sua indiscutibile utilità specialmente in alcuni casi in cui ogni speranza di guarigione sia vana e la sofferenza insopportabile, l’eutanasia ha molti oppositori anche tra gli stessi medici. Ecco ciò che dice in proposito il dottor Francesco Helme:
«Noi teniamo alta sopratutto la speranza, e sarebbe orribile che il malato dovesse un giorno scorgere in noi l’immagine dell’assassino». E dichiara apertamente che l’eutanasia legale sarebbe un fenomeno di regresso. Nei primordi della storia allorché l’uomo si sentiva circondato da nemici e con quelli del suo clan era costretto a trovar la preda quotidiana, egli viveva più per la collettività che per sé: ed ecco perché gli infermi ed i malati, che non potevano secondare i loro compagni di lotta, erano inesorabilmente sacrificati. Ma sarebbe valsa la pena d’aver conquistato, a forza di coraggio, la nostra libertà e la nostra sicurezza individuale, se un medico sì arrogasse oggi il diritto di attentare alla vita umana, fosse pure col consenso del malato ?»
Lo scrittore biasima coloro che vogliono ad ogni costo l’intervento dello Stato in tante questioni in cui esso non ha nulla da vedere. «Che gli igienisti — dice — si sforzino di insegnare a far meglio i figli, d’accordo; se con la qualità essi potessero procurarci la quantità, il beneficio, dal punto di vista nazionale , sarebbe immenso; ma che dopo aver vegliato sulla nascita, le malattie, le ferite, il legislatore abbia ancora a preoccuparsi della nostra fine, questo veramente è troppo zelo. L’ultimo viaggio si compie in genere nell’incoscenza, e il legislatore non deve legiferare sulle eccezioni».
«Il prof. Wiliam Osler di Londra ha compilato una statistica secondo la quale solo diciotto volte su cento il dolore è sentito fino all’ora suprema …. D’ordinario è la buona natura che ci fa entrare dolcemente nella gran notte come in un Sonno».
«D’altra parte, prosegue l’Helme, noi sappiamo coadiuvarla. Nel 1910, Récami, alla conferenza internazionale per la lotta contro il cancro, codificò con la più rigorosa diligenza l’impiego dei calmanti per gli incurabili. Ci si obbietta che somministrandoli agiamo da ipocriti, perché non possiamo ignorare dove essi conducano il malato».
Il prof. Ménétrier, in una sua magistrale opera sul cancro, ha voluto rispondere a questo rimprovero. Egli dice che la «modificazione calmante non solo serve a guadagnar tempo ma anche a migliorare lo stato generale del paziente, sostenendolo e prolungandogli la vita. La nostra terapeutica non serve dunque a coprire vilmente la sconfitta: essa è anzi un’arma da lotta».
Il dottor Sicard, in una recente tesi su l’eutanasia, ha rilevato tra l’altro tutti i progressi che si debbono all’instancabile combattività dei nostri padri. Da tutto ciò che essi avrebbero perduto — seguendo le sterili vie della rinuncia — ha approfittato largamente la vita.
«Volete degli esempi? Abbondano. Voi non ignorate che il bacillo della tubercolosi si fissa spessissimo sulle ossa e sulle grandi articolazioni, forse perché gli è più facile l’accesso in queste regioni e anche perché vi trova un terreno più adatto. L’articolazione dell’anca è quella che più delle altre ne è infettata, d’onde la cossalgia. Una trentina d’anni fa, il vecchio prof. Gosselin, così coscienzioso e cosi dotto, pronunciò questo terribile giudizio: «I cossalgici muoiono tutti». Ma non per questo si cessò di curarli. Che cosa è accaduto? Questo: che una quantità di cossalgici guariti sono oggi campioni del tennis e ballano il tango».
Similmente, la tubercolosi della colonna vertebrale faceva poco fa stragi spaventevoli, avendosi una mortalità del 99 per cento. Oggi, 99 per cento guariscono. Non meno importante è stata la vittoria contro il crup. «Tutti quelli che hanno assistito al supplizio dei piccoli martiri straziati dall’asfissia comprenderanno ciò che avvenisse nell’animo del medico, lottante tra il proprio dovere e la tentazione d’ abbreviare una così ingiusta tortura. Si è combattuta, si è cercata, ed ormai è assicurata la vittoria in 90 casi su cento, mentre in altri tempi 65 malati su cento soccombevano».
Ed ecco un’altra categoria di successi fors’anche più significativi. Si sa che lo stomaco è chiuso da due porte: l’una, il cardia, alla parte superiore, e l’altra, il piloro, che mette in comunicazione lo stomaco con l’intestino tenue. Questa porta inferiore è in grande attività e perciò spesso s’ infiamma; l’anello che la costituisce perde la sua elasticità e agisce male; si ha allora lo stringimento o stenosi del piloro. Il malato deperisce e va verso la consunzione, in mezzo a sofferenze che sino a poco tempo fa soltanto la morfina poteva attutire. I medici non si scoraggiarono, e cercarono, evitando il piloro, di stabilire una via diretta tra lo stomaco e l’intestino. Vi riuscirono ed ora, grazie ad un’operazione relativamente semplice, si risuscita un infelice che i più abili medici avrebbero ieri dichiarato inesorabilmente perduto.
Insomma, per por fine ai dolori di un malato, bisogna che questo non abbia più scampo e che soltanto la morte possa liberarlo. Ora, chi è capace di dir ciò con certezza? «Davanti a una malattia grave, non è difficile prevedere quali vie essa seguirà, ma quanto raramente ci è dato pronosticare con esattezza quella che essa sceglierà?
Il dottor Sicard ha segnalato nella sua opera sull’eutanasia tutta una serie di casi in cui questa sarebbe stata applicata inopportunatamente.
L’Helme riferisce a sua volta il seguente caso: «Un mio amico si vede un giorno comparire un pover’uomo che ritornava da un celebre pellegrinaggio. Afflitto da un tumore alle mascelle, se n’era venuto via dal venerato santuario nelle stesse condizioni in cui vi era andato. Ma la sua fede era così profonda, che dichiarava di non essere guarito solo perché non era in stato di grazia. Chiedeva semplicemente un calmante, perché il suo dolore era atroce».
«Commosso dal coraggio di quell’anima candida il mio amico, per confortarlo, assicura il malato che è in via di guarigione e che il suo pellegrinaggio non era stato inutile. Un po’ di ioduro — gli dice — e tutto andrà bene.
Il paziente eseguisce la prescrizione, e qualche settimana dopo si ripresenta allo stesso medico quasi guarito. Un miracolo? No. Era stata sbagliata la diagnosi: si era detto che era un cancro, mentre si trattava semplicemente di actinomicosi, una malattia provocata da un fungo microscopico del grano.
«Né eutanasia, né veleno, conclude lo scrittore, ma buon senso e molta pietà si debbono usare verso i poveri malati. I quali non esigono di più, perché gli déi soli possono far grazie della vita, ed è un bene, che sia così, per tutti».”


La tratta dei fanciulli italiani. — Il «Segretariato femminile per la tutela della donna e dei fanciulli emigranti» ha compiuto alcune inchieste all’estero ed altre ne va compiendo, le quali sono insieme denunzia di uno stato di cose vergognose per il nostro paese, e materiale di studio per provvedimenti che urge di mettere in atto.
Il «Bollettino dell’Emigrazione» ha pubblicato nel novembre scorso la relazione che la signora Scanni ha preparato su una sua visita nella provincia di Caserta, e specialmente del circondario di Sora; essa non può a meno di destare impressione È grande l’esodo che si compie da questo circondario verso la Francia e le isole britanniche: pochi di questi fanciulli sono addetti a convenienti industrie, molti a industrie malsane, moltissimi a mestieri girovaghi; venditori di gelati, di crema, suonatori ambulanti, questuanti.
L’arruolatore se li fa cedere dai genitori, spesso con regolare contratto davanti al notaio, «obbligandosi a dare buon trattamento ai ragazzi e a mandare un centinaio di lire all’anno ai rispettivi padri: questo danaro poi non arriva mai o si riduce a un quinto».
All’incettatore è sufficiente avere per i ragazzi il solo passaporto per l’interno; alla stazione che precede quella di confine li fa passare dalla terza alla seconda classe, per evitare eventuali noie. Ogni sei o sette mesi dà notizia alle famiglie, scrivendo che i ragazzi stanno benissimo, ma fruttano poco; questi poi sono analfabeti e non possono dare notizie dirette.
Come siano sfruttati i fanciulli italiani nelle vetrerie francesi già è cosa nota. In Inghilterra sono adibiti principalmente alla questua, con o senza musica.
«Ciascuno riceve alla mattina uno scarso pane che mangia subito, e un altro come provvista della giornata. Il padrone esige che la questua frutti più di 3 scellini per ciascuno, ma se il piccolo mendicante non porta almeno due scellini, viene bastonato senza pietà.
Studiano tutte le astuzie per evitare i sospetti della polizia; i piccoli vanno a fare il versamento giornaliero non nella stamberga dove alloggiano, ma in altra sede; li fanno cambiare spesso di abiti e di abitazione.
Oltre al pezzo di pane che dà loro il padrone, i fanciulli godono di una tenuissima percentuale sul danaro elemosinato, nonché un povero giacilio per passarvi la notte.
La relatrice nomina i paesi dove si verifica tale emigrazione, e noi li ripeteremo qui, affinché siano noti alla gente di cuore. Possibile che non si trovi anche in essi, non diciamo una classe dirigente ma un piccolo numero di persone che si uniscano per far scomparire questa vergogna dal loro paese natìo?
«Casalvieri, Pescosolido, Campoli, Brocco, in special modo la frazione Madonna della Stella, Colle S. Magno, Carnello mi sono indicati come i centri dai quali partono tuttora i piccoli vetrai».
«E noto altresì che Porta Fibreno, Valle Rotonda, Belmonte Castello, Vicalvi, Alvito, Fontechiari, Atina, Pacinisco, S. Donato, S. Biagio, Settefrati, Santopadre mandano molta gioventù femminile in Francia, nell’Inghilterra e nella Scozia, e mandano anche bellissimi fanciulli, i quali accoppiano il pregio di melodiose voci e squisito orecchio musicale».
Lo scorso anno, l’on. Riccio deplorò in una interpellanza alla Camera con forti parole l’onta e il danno di questo sfruttamento di fanciulli.”