Gli arditi (1919)

Da Rivista Enciclopedica Contemporanea, dispensa di ottobre 1919.
Di Arrigo Pozzi.

” ■ Arditi (Gli). — In una di quelle magnifiche composizioni che Antonio Rubino, tenente di fanteria, disegnò nel 1918 per La tradotta — il curioso, simpatico e divertentissimo giornale dei soldati della 3.a Armata diretto da Renato Simoni — una ve n’è nel numero uscito il 15 ottobre. che si intitola l’Ardito si diverte.
■ La fantasia di Rubino, letterato e pittore, si era sbizzarrita in un insieme di particolari minuti, umoristici, ma preziosamente e profondamente psicologici. La vita dell’ardito nell’accantonamento, a letto, alla sveglia, alla cucina, agli esercizi ginnici, ai passatempi, alla lettura e alla scrittura, alla toletta, alla musica e finalmente alla partenza per l’«azione» vi era descritta con grande esattezza di particolari, cui l’intonazione umoristica del disegno non dava minor rilievo.

“Reginaldo GIuliani.”

■ Che importava se il caporale intimava la sveglia ai dormienti facendo scoppiare qualche bomba a mano, se ad alimentar il fuoco in cucina erano usati i lanciafiamme, se a radersi la barba si usava il pugnale, se il ginnasta nel tentar un salto… saltava per distrazione il tetto della casa!
■ Il motivo delle bombe e dei pugnali; ma, più che altro, l’impeto che caratterizzava ogni gesto, ogni atto, ogni movimento aveva un suo significato alto e profondo che faceva pensare e faceva dire:
— A parte l’esagerazione dell’umorismo, l’ardito, per essere ardito, deve proprio esser fatto così.
■ «Fiore delle truppe scelte» come essi cantano, non certo modestamente, in una delle lor rudi e suggestive canzoni di guerra, per comprenderne l’anima occorre averli visti alla prova. Allora, soltanto allora, si riescirà a comprendere tutta la bellezza di quel loro bizzarro decalogo. che è tutto un inno alla forza ed al valore, incitamento alla battaglia, suggerimento di vittoria.
■ Eccolo, integralmente, riprodotto da documenti ufficiali del tempo di guerra:
1.° Ardito! Il tuo nome esprime coraggio, forza e lealtà; la tua missione è la vittoria ad ogni costo. Sii orgoglioso di mostrare al mondo intero che al soldato italiano nessuno può resistere. Pensa ai tesori di affetti, di bellezze, di prosperità nazionali che difendi col tuo valore. Ciò infonderà nell’animo tuo una forza irresistibile.
2.° Per vincere, numero ed armi non valgono, sopra ogni altra cosa valgono disciplina ed audacia. Disciplina è espressione di bellezza e di forza morale altissima. Audacia è volontà fredda e salda, la tua superiorità al nemico sempre ed ovunque.
3.° La vittoria è al di là dell’ultima trincea del nemico, è nelle sue retrovie; per giungervi adopera violenza ed astuzia, né curare se nell’avanzata impetuosa nuclei avversari ti restano alle spalle. Se il nemico ti aggira, mantieni i nervi saldi e aggiralo a tua volta.
4.° Cerca di comprendere sempre quanto accade nella battaglia ed accorri in aiuto dei compagni sopraffatti. Quando ti accorgi che la situazione vacilla, gettati avanti, punta dritto davanti a te.
5.° Nell’assalto usa la bomba ed il pugnale, vere armi dell’ardito; nella difesa del terreno conquistato, il moschetto e la mitragliatrice. Difendi le tue mitragliatrici se vuoi che esse ti difendano. Copri il rumore della valanga nemica che avanza col canto delle tue mitragliatrici. A quel canto vedrai la valanga disperdersi e il nemico cadere come messe falciata.
6.° Se giungi sulle retrovie nemiche gettavi lo scompiglio ed il terrore: allora un ardito può valere cento uomini, un ardito italiano mille soldati austriaci.
7.° Il timore che ispiri all’avversario è la tua arma più potente: sappi mantenere alta la tua fama. Sii feroce col nemico finché è in piedi; sii generoso con lui soltanto quando è caduto.
8.° Se rimani ferito o disperso è tuo debito d’ onore dar notizia di te al tuo reparto e far l’impossibile per raggiungerlo.
9.° Non desiderare altro premio al tuo valore che il sorriso delle belle donne d’Italia che avrai difeso col tuo coraggio. Esse ti copriranno di fiori e baceranno la tua fronte ardita allorché ritornerai vittorioso, fiero della tua maschia forza, figlio prediletto della più grande Italia.
10.° Corri alla battaglia! Tu sei la più fulgida espressione del genio di nostra razza. Tutta la patria segue come una scia luminosa la tua corsa eroica per l’assalto.
■ Verso la metà del 1917, quando più sanguinosamente e tragicamente infieriva la guerra, una circolare del Comando Supremo stabiliva che in ogni corpo d’armata venissero raccolti dai dipendenti reparti i soldati che intendessero passare ad un reparto speciale, destinato alle più audaci e difficili operazioni di combattimento, e denominato battaglione d’ assalto. Tale è l’origine ufficiale del corpo degli «arditi».
■ Vero è però che gli «arditi» già in precedenza esistevano in tutti i reggimenti di fanteria, riconosciuti da altre disposizioni dell’alto Comando, che fissavano persino il disegno del fregio da portarsi alle maniche della giubba, a titolo di riconoscimento e di benemerenza: una daga romana fra ramoscelli di quercia e di alloro.
■ La storia delle loro origini è così descritta nel «numero unico per le truppe d’assalto» intitolato Le Fiamme: «C’erano nei reggimenti di Italia alcuni soldati, che uscendo all’attacco si lanciavano come saette, correvano avanti a tutti, primi fra i primi, mirabili nella foga del loro impeto, invincibili, superbamente belli ….
■ « C’erano nei reggimenti italiani alcuni soldati che, durante il tempo del riposo, baldi come quercia robusta, cantando e ridendo nelle marcie, silenziosi e marziali negli esercizi e negli sfilamenti, trionfavano sui compagni tutti come fiori giganti…. Nei combattimenti e nei riposi questi giganti della forza, della bellezza, della gentilezza, si ammiravano l’uno l’altro, si riconoscevano, si sentivan fratelli…. Alfine un giorno, queste molecole vaganti per l’organismo immenso dell’esercito si ricongiunsero. Plotoni di «arditi» si formarono nei reggimenti; più tardi le brigate ebbero le compagnie. Ma, poiché «poca favilla gran fiamma seconda» presto i corpi d’armata costituivano i battaglioni autonomi, bene organizzati, con divisa speciale, con trattamento ottimo, pari al loro prezioso servizio». Le «Fiamme nere, rosse e verdi» erano nate.
■ Ma la leggenda, anche se simpatica, è una cosa, la storia è un’altra, il più delle volte assai diversa.
■ In verità i nuclei reggimentali prima, le compagnie di brigata e i battaglioni di corpo d’armata poi, le due divisioni e il corpo d’ armata d’assalto in seguito, non furono che una necessità creata dalla guerra, la quale, con la sua lunga durata aveva smorzato l’impeto dei combattenti, sia per la perdita delle più giovani forze sostituite nei reparti da elementi di minor resistenza fisica e morale, sia per il diminuito ardore di entusiasmo, che ad ogni reiterato combattimento, ad ogni rinnovata strage, andava sensibilmente abbassando il morale delle truppe.
■ Si potrà discutere se la formazione dei reparti o battaglioni d’assalto sia di marca teutonica o francese, o non piuttosto italiana; si potrà, in avvenire, quando la guerra sarà occasione di esercitazioni tecnico-teoriche, esaminare se la Italia, ancor prima di creare le «fiamme nere», non avesse nel corpo dei bersaglieri i suoi arditi, creati essenzialmente per l’assalto; si potrà deplorare che i bersaglieri e la cavalleria siano stati «scalcinati» nelle fangose trincee del Carso e di Monfalcone in omaggio ad un idiotissimo criterio «politico» della parità di tutte le armi nei rischi e nei pesi della guerra; si potrà anche rivendicare all’Italia una costituzione militare assai più perfetta di quella di altre nazioni di maggior mole e di maggior potenza; ma non si potrà negare che, una volta abbassati i bersaglieri al livello delle fanterie, non si imponesse la creazione di uno speciale reparto d’ assalto.
■ D’ altra parte la storia dell’ultima fase della guerra sta a dimostrare come i battaglioni arditi fossero una necessità, necessità che, in certi determinati momenti, come ad esempio durante l’offensiva austriaca nel giugno del 1918, assurse ad importanza e a proporzioni terribilmente angosciose.
■ La prima divisione d’ assalto data da quei giorni gloriosi. Costituita l’11 giugno e confermata ufficialmente il 18, alle dipendenze del XXVIII° corpo d’armata, essa combatté strenuamente nei giorni terribili dell’incertezza angosciosa a Fossalta, a Fossetta, a Croce, a Zenson, meritandosi la lode incondizionata dell’augusto comandante la 3.a armata, Emanuele Filiberto di Savoia, Duca d’Aosta.
■ Più tardi, nell’agosto, la divisione si batteva a Col del Rosso e, in ottobre, nella notte dal 26 al 27, le prime sue avanguardie passavano il Piave sotto il Montello e attaccata la linea dei villaggi di Moriago, Fontigo e Sernaglia costituivano una solida testa di ponte operando il collegamento con la 2.a divisione d’ assalto, la quale, passato il Piave a Nervesa, mirava agli obbiettivi di Colle Guardia e di Monte Cucco. Contemporaneamente i battaglioni d’assalto dei corpi d’armata e i plotoni di «arditi» reggimentali, dopo aver per oltre un anno dimostrato in ardimentose azioni il lor valore, passavano in ogni punto il Piave alla testa delle fanterie e issavano il tricolore nelle terre liberate.
■ La storia degli arditi, frazionati nelle cento e cento avanguardie nostre, si può riassumere in un giudizio complessivo di alta testimonianza per il valore dimostrato, in tutto pari allo spirito di sacrificio, o, per chi lo credesse, può spezzettarsi nella narrazione di singoli episodi. Certo essa appare difficilissima, e forse addirittura impossibile, per chi volesse tentarne una ricostruzione completa ed esatta, alla quale, almeno per ora, verrebbero naturalmente a mancare troppi elementi d’ appoggio, quali potrebbero essere i documenti militari riguardanti la formazione dei singoli reparti, i rapporti circa il loro funzionamento e le azioni alle quali parteciparono e, quel che più importa, le documentazioni degli atti di valore ai quali i combattimenti stessi diedero luogo.
■ Forse in avvenire questa storia sarà possibile. Per ora, non mi sembra. Per quanto, infatti, ne abbia fatto ricerche, al di fuori di certe pagine, poche in verità e non sempre del tutto interessanti, di certi diari di guerra, libri che parlino esclusivamente degli «arditi» non ve ne sono, al eccezione di uno: quello che padre Reginaldo Giuliani, frate domenicano, ha scritto durante la guerra e che è stato pubblicato or non è molto.
■ Che lo storico degli «arditi» sia un frate — un frate autentico — può stupire, specie in seguito alle enormi, stupide assurdità che, durante e dopo la guerra, sono state scritte e ripetute contro gli arditi. Contro questo corpo speciale, che rappresenta indubbiamente il fior fiore dell’esercito, contro questi fanciulli che andavano a morire cantando, una bufera idiota di denigrazioni si è scatenata fin dal loro primo apparire alla fronte e nelle retrovie.
■ L’ardito fatto per l’impeto, oggetto di invidie da parte dei commilitoni per lo speciale trattamento, di curiose simpatie in territorio per la bizzarra novità della elegante divisa e il pugnalone appeso alla cintura, rimprovero vivente per tutte le multiformi gradazioni degli imboscati, diventò in brevissimo tempo l’esponente del canagliume nazionale. Strane leggende fiorirono qua e là e, in poco tempo, guadagnarono tutta l’Italia. Onde avvenne che, mentre gli «arditi» veri combattevano sul Piave e sul Grappa, immolandosi alla difesa della Patria in una rossa epopea di ardimentosi eroismi, nelle retrovie vicine o lontane si narravano certe stupide storie di bombe a mano che servivano a pagare i conti nelle osterie o a rompere le gambe alle pattuglie dei carabinieri. Per il che l’essere «ardito», mentre alla fronte significava l’ obbligo e il diritto, liberamente scelti, di morire per i primi, nelle retrovie era diventato titolo poco onorevole. Così, tutte le brave persone che volontariamente si rovinavano la salute per strappare alle Commissioni sanitarie un diploma di riforma o, almeno, una dichiarazione di inabilità permanente …. alle fatiche di guerra, diffamavano gli «arditi» e li rappresentavano al pubblico che, stando lontano dal fronte non conosceva minimamente le loro gesta, come la feccia dell’esercito, composta di reduci dalle patrie galere, beoni, ladri, accoltellatori e peggio.
■ Il libro di padre Reginaldo Giuliani ristabilisce la verità.
■ In esso, indipendentemente dalle pagine più precisamente consacrate agli «arditi» della 3.a armata (XI, XXVI e XXVIII reparti d’assalto), — nelle quali sono contenuti innumeri, brillanti, commoventi ed eroici episodi di «arditismo» individuale e collettivo — tutta la prima parte è consacrata alla «vocazione dell’ardito» e al «cuore degli arditi». Padre Reginaldo Giuliani che si è recato poi a Fiume, fra i suoi ragazzi, come un giorno fu sul Piave, in tutti i posti dove vi era da combattere e da morire, da pregare e da confortare, è un cappellano militare tra i più leggendari. Sacerdote nel più profondo, intimo e prezioso significato dell’alta e terribile parola, amante del sacrificio sereno e dell’oscura immolazione, questo frate ardentissimo, che in altri tempi lontani avrebbe forse predicato una crociata o si sarebbe avventurato in un eroico apostolato fra le più selvaggie tribù, fu per oltre un anno il cappellano degli arditi della 3.a armata.
■ Ben dice di lui nella prefazione Renato Simoni:
«Questo domenicano infiammato di amor patrio, mite e fiero, calmo in apparenza, ma lampeggiante generosa passione dagli occhi, pieno di carità, di volontà, di audacia, di fervore d’opere, è stato sempre coi suoi soldati, anche nelle ore più febbrili, partecipando a quante più ha potuto delle loro imprese rischiose, pronto a morire con essi e per essi. Incapace di far male a una mosca, egli era, tuttavia, sempre, dove la gioventù italiana dava il suo sangue. Inerme, come l’Innominato dopo la conversione, partecipava agli assalti, con gli occhiali a stanghetta del frate studioso e l’elmetto pesto del combattente».
■ Così il Simoni, il quale, verso la fine, ne traccia questo superbo e magnifico profilo morale:
«E per questo che io lo immaginerò sempre con l’elmetto un po’ storto, impolverato dalle grandi strade maestre, povero di tutto per non voler possedere altro che la sua fede, sempre avanti, oltre le trincee, fuori dai reticolati, pronto a prepararsi alla morte, per una causa pura, ad ogni angolo di via, sotto ogni cielo, se la sua morte possa servire alla verità e alla giustizia».
■ Non fu certo cosa facile fare il cappellano in un reggimento mobilitato durante la guerra, ma difficilissimo dovette essere il farlo per tre battaglioni e di arditi per giunta, disseminati sul fronte di tre distinti corpi d’ armata. A queste difficoltà si aggiungano le speciali condizioni nelle quali si doveva esercitare il santo ministero: gli arditi, che per le loro stesse qualità di impeto erano portati inevitabilmente a disprezzare tutti «coloro che rimanevano indietro», le loro qualità speciali ed il carattere veramente straordinario dei modi usati nell’impegnare il combattimento. Tutto, insomma, concordava nel reclamare che il cappellano degli arditi dovesse essere non soltanto un santo prete, ma un eroico uomo.
■ Padre Giuliani assolse al suo compito con amore di apostolo e coraggio di leone, Molti meravigliarono per la sua indifferenza nel pericolo, per la innata temerarietà dei suoi gesti, per la stupefacente audacia di certe sue iniziative; nessuno meravigliò della sua vita illibata, dell’austero carattere religioso, al quale informò la sua vita di prete e di soldato, dello spirito di sacrificio e dello zelo per la salute delle anime che egli continuamente, pertinacemente, anche nei peggiori momenti seppe, volle e riescì a dimostrare.
■ Perché, mentre tutti affermavano essere egli un uomo di gran fegato, nessuno dubitò mai della sua apostolica missione di prete confortatore.
■ In base a prove sperimentali, il padre Giuliani, che amava i suoi ragazzi al punto da indovinarne il cuore sotto le espressioni ruvide della consuetudine militaresca, afferma che gran parte delle vocazioni degli «arditi» erano state originate da vivi e veri sentimenti di patriottismo. Accanto a questi, che del loro sacrificio facevano un programma per «vincere la guerra» e «salvare la Patria», il Giuliani segnala gli arditi arrivati al reparto per impulso spontaneo e desiderio d’avventure, i «maffiosi» desiderosi di fregiarsi di un ambito distintivo e di vestire una elegante divisa, quelli in cerca di gloria, quelli attratti dai piccoli privilegi, della dispensa dai servizi di trincea e di corvées, dal soprassoldo speciale, le vocazioni d’occasione e, infine, tutti coloro che un desiderio di riabilitazione spingeva a scegliere nel pericolo una missione e nell’affrontare la morte come un lavacro rigeneratore.
■ Certo egli è nel vero quando insiste sul fatto che, per appartenere al corpo degli arditi, occorreva farne spontanea domanda e dar prove di illibata condotta; ma, se questo è prova sufficiente a smentire la balorda voce che la maggioranza degli arditi fosse stata ottenuta liberando i galeotti, non è però, a mio avviso sufficiente a dimostrare che la maggior parte delle vocazioni all’arditismo erano determinate da sentimenti patriottici od altri principi ideali. Ricordo che verso la metà del 1918 da molte e molte parti si segnalava un aumento progressivo nelle domande che i soldati, specie nei reggimenti di fanteria, presentavano allo scopo di ottenere il passaggio nel corpo degli arditi. Ufficiali appositamente incaricati della sorveglianza morale sulle truppe segnalarono a chi di dovere il fenomeno, costringendolo nella sua realtà con le seguenti considerazioni: che, mentre per taluni, pochi, il movente a presentare tali domande era un ravvivato amore al proprio paese, un bisogno di vendetta nei confronti dell’invasore, un generoso impeto dell’animo votatosi al sacrificio pur di raggiungere la vittoria, per gli altri, i più, la spinta alla domanda era determinata dai vantaggi materiali che si offrivano a coloro che si decidevano al passaggio. Padre Giuliani, sottile ingegno di colto studioso, prevede l’osservazione e con bell’impeto e grande impegno si ingegna di combatterla con ogni possibile argomento. E l’unica pagina di tutto il libro, nella quale il grande amore che egli prova per i «suoi ragazzi» fa velo allo squisito senso della realtà che egli mostra di possedere al massimo grado.
■ Il suo libro non poteva non essere un’apologia. Quando questo frate meraviglioso celebra il coraggio, la disciplina, il sentimento di giustizia e la religiosità dei «suoi» arditi, noi sentiamo che egli è nel vero. Ma è nel vero soprattutto perché egli ne visse la stessa vita e partecipò agli identici pericoli, conoscendone tutte le belle audacie, come tutte le povere inevitabili manchevolezze.
■ Che egli ci narri di preferenza le prime, che egli nasconda sotto una carità di fuoco, nella quale le impurità si fondono purificandosi, le seconde, solo chi lo vide e lo ammirò nei momenti del pericolo, riescirà a comprendere. Gli altri, i più, stupiranno forse di questa storia degli arditi scritta da un frate, esaltatore entusiastico e convinto del valore e della bontà dei suoi eroici figliuoli.
■ Gli è che gli «arditi», quelli veri, quelli che si battevano da leoni sul Piave e sul Grappa, non hanno nulla a che fare con l’«arditismo».
■ È bene distinguere, perché il popolo nostro, tutto il popolo italiano non debba condannare i primi in virtù delle eccessività verbali e delle intemperanze di atteggiamento del secondo.
■ Gli arditi furono e sono dei soldati, dei bravi valorosi e disciplinati soldati: l’«arditismo» è invece un’altra cosa: quella che tutti sanno…”