Gli antichi libretti di modelli in Italia (1911)

Da Emporium, Vol. XXXIII, N. 19, febbraio 1911.
Di Elisa Ricci.

“■ L’antico arazzo fiammingo, che il proprietario ci consentì gentilmente di riprodurre, rappresenta: «Il ritorno di Telemaco alla madre». Questo dovette essere il tema imposto dal committente all’artista che disegnò il cartone: da un lato Penelope, la fedelissima, sta colle sue ancelle, raccolte nel lavoro: e dall’altro entra, inaspettato, Telemaco coi suoi compagni… Ma Omero è ben lontano, e più che nel mito greco, la scena ci porta nella signorile intimità di un palazzo del cinquecento.
■ La gran dama, vestita di broccato d’oro foderato d’ermellino, sorveglia e sovraintende al lavoro delle tre donne, più semplicemente vestite, che le stanno intorno. Una d’esse ricama un fregio colorato su una tovaglia di lino; l’altra dipana il filo d’oro; la terza tesse un gallone a un piccolo telaio che tiene in grembo. La ricca dama consulta un volumetto che è certamente un libro di modelli, poiché nell’arazzo si distinguono nettamente i disegni a fasce orizzontali simili a quelli dei nostri libretti.

“Il ritorno di Telemaco alla madre – Arazzo fiammingo del Sec. XVI. (Proprietà privata).”

■ Ecco, quindi, davanti a noi, intenta all’opera famigliare, una di quelle «belle et virtudiose donne» alle quali gli stampatori e i disegnatori di libretti di modelli dedicavano l’opera loro «utile et profitable è toutes les Dames et Demoyselles pour passer le temps et éviter oysivité» [Dominique de Sera, italien. Le Livre de Lingerie, Paris, 1584].

“Da «Eyn New Kunstlich Buch» – Colonia, 1527.”

■ Che questa, del ricamo di filo bianco e seta e oro e argento, fosse l’occupazione elegante e una speciale virtù delle signore del cinquecento, risulta dalle novelle, dai documenti, dai quadri. Lo stesso Bandello ci racconta, nella Novella III, che una dama (più bella che virtuosa, a dir vero) la quale «da merigge non dormiva… certi suoi lavori di seta faceva». E di Maria Magdalena di Brandeburgo che doveva andare sposa a Giberto Borromeo, la persona incaricata di dare informazioni, scriveva nel 1477: «Sa leger nec non officii, ma una lettera, sa ancor scriver da dona, non troppo bene; pur ley tene el cunto del lino e dela stopa. Sa lavorar lavoriti doro et cose da dona» [V. Archivio Storico Lombardo del 30 giugno 1910, pagina 209].

“Dal «Burato» di A. Paganino.”

■ Così si spiega che i libretti di modelli per ricami, come, più tardi, quelli per trine ad ago, si dedicassero a regine, a principesse, e, in generale, a tutte le illustrissime che raccogliendo intorno a sé altre dame o damigelle o ancelle, facevano eseguire «raccami et lavorieri tali, che de immortalitate con l’ingegno suo farsene degne si puote» [Frontispizio del Convivio di Nicolò Zoppino — Venezia, 1532]. E che i modelli fossero di gran lunga più corretti ed eleganti della prosa dedicatoria, è provato, oltre che dai rari e preziosi libretti che ci rimangono, anche dai ricami che vediamo realmente immortalati nei quadri antichi dove i maggiori pittori si sono compiaciuti di ritrarre i bei bordi ricamati nelle vesti, nei manti, nei panneggiamenti; e quegli stessi ricami di cui si ricercano ora avidamente i logori frammenti per studiarli, imitarli, ricopiarli dalle nuovissime artiste dell’ago, della spola, dei fuselli.

“Dall’«Esemplario di lavori», disegni per ponto groposo – Venezia, 1532.”

■ Alle quali «nuovissime artiste» speriamo che riescano gradite e utili le ricerche intorno agli antichi libretti, donde attinsero ispirazioni ed esempi le loro ave e maestre.
■ Enorme fu la diffusione (sopratutto riguardo al tempo) che essi ebbero nel ’500 e nella prima metà del ’600. E fervida, continua fu l’attività spiegata dai disegnatori e intagliatori e stampatori a pubblicarli, ripubblicarli, scambiandosi vicendevolmente i legni, anche da una nazione all’altra: e grande l’ardore a difenderne e ad offenderne a volta a volta la proprietà, ora invocando per sé i privilegi e le sanzioni penali per chi «indebitamente godi le altrui fatiche», ora rubacchiando a man salva i disegni di qua e di là, per formarne qualche volta interi libretti.

“Ponto gropposo alla scollatura – Francia: Testa di S. Giovanni. Bologna, Chiesa di S. Giacomo Maggiore. (Fot. Anderson)”

■ G. B. Gargano, a mo’ d’esempio, stampa a Napoli nel 1613 un libretto intitolato Fiori di ricami completamente formato di tavole tolte ai libri di Cesare Vecellio, della Parasole, di Giacomo Franco, e di altri. Il che non gli toglie coraggio ad offrir tutta questa roba d’altri, «alle Gentilissime e Virtuosissime donne» perché sente «che dare a ciascuno il suo, è dovere dell’huomo giusto e da bene»!


■ I due libretti più antichi che conosciamo, sono tedeschi. Uno pubblicato nel 1525 a Zwickau, e uno a Colonia nel 1527. Sembra, a giudicar dalle vignette, dalle parole del frontispizio e dai disegni, che questi fossero così per opera di maglia e di ricamo, come per opera di tessitura.
■ Poco più tardi, probabilmente, si pubblica in Italia il mirabile libro del Paganino, senza data, intitolato Burato [Il Burato: libro de Recami. Riproduzione a fac-simile. — Istituto Italiano d’Arti Grafiche, Bergamo, 1909]; dedicato più specialmente alle ricamatrici, alle quali lo stampatore insegna, con una minuzia quasi offensiva, il modo di riportar i disegni sulla stoffa per mezzo dello spolvero; e, ancor dubitando dell’intelligenza delle sue lettrici, illustra l’insegnamento con una bella tavola dove quattro donne mostrano come si lucidi il disegno: di notte, col lume; di giorno, contro la finestra; e come si spolveri col batuffolo intinto nel carbone, e si disegni poi sulla stoffa.
■ Il libretto è diviso in quattro parti: ma nella prima solamente il Paganino dà modelli per lavoro a fili contati; negli altri tre libri i begli ornati sono liberi, elegantissimi; i nodi, le figure, i grotteschi, i fogliami sono disegnati con un brio, un gusto e una ricchezza da grande artista; e sono per lavori di applicazione e di punto passato; o si possono eseguire con un cordoncino di seta o d’oro che segni i leggiadrissimi contorni.

“Da «La vera perfettione» di GIovanni Ostaus – Venezia, 1561.”

■ Questo Burato, di cui conosciamo, pressoché completa, solo la copia della Biblioteca Comunale di Brescia, donde fu tratta dalle Arti Grafiche di Bergamo una recente ristampa, è insieme il più antico e il più bello dei libretti di modelli, italiani, che conosciamo.
■ Seguono poi, a pochissima distanza di tempo, sempre più frequenti, le stampe e le ristampe delle operette del Tagliente, dello Zoppino e di Zuan Andrea Vavassore, i quali tre tengono il campo colle loro Opere Nove, e gli Esemplari, e gli Universali di tutti i bei disegni, fin verso la metà del secolo. Da alcune parole del Documento premesso dal Vavassore (detto Guadagnino) alle tavole del suo Esemplario di Lavori [Esemplario di lavori, di G. Vavassore, 1531. Riproduzione a fac-simile. — Istituto Italiano d’Arti Grafiche, Bergamo, 1910], si impara che le donne, di quel tempo, pazienti, ma un poco indolenti, mal si adattavano alla fatica di copiare i disegni sulla stoffa e preferivano contare i suoi ponti et fila. Infatti il Guadagnino, in questo Esemplario, dà esclusivamente disegni a fili contati (per ricamo su modano o fili tirati, e per punto in croce, o scritto ecc.), di gran lunga più eleganti e meno grevi e monotoni di quelli pubblicati fino allora.

“Dai «Singuliers et nouveaux pourtraicis» di Federico VInciolo – Parigi, 1606.”

■ Verso il 1540 Mathio Pagan introduce per la prima volta nei modelli, i disegni per punto tagliato, e apre così la via al reticello e a tutte le altre fortunatissime forme di trine ad ago. Il primo suo libro, intitolato Giardinetto nuovo di punti tagliati e gropposi, esce a Venezia nel 1542: segue subito nel 1543 l’ Ornamento delle belle et virtudiose donne, opera nuova nella quale troverai varie sorti di frisi dove potrai ornar ogni donna et ogni letto con ponti gropposi
■ Insiste il Pagan in queste due sorta di punti, il tagliato e il gropposo, che dovettero incontrar subito gran favore; il primo perché nuovo; il secondo perché consacrato da artisti sommi come Leonardo e Dürer, i quali si compiacquero di disegnare nodi e knoten.
■ E mal si intende come questo aggettivo di gropposo che doveva qualificar il disegno, si sia interpretato, generalmente, come proprio del punto a nodi, detto macramé. Il Tagliente, nella sua Opera Nova del 1528, già aveva detto nella sua prosa puerile ma ben chiara: «La vera bellezza del groppeggiare è cavalcare uno di sotto e l’altro di sopra, perché chi non osservasse tali ordini e groppi nulla gratia haverebbero».
■ Ciò che si doveva cavalcare di sotto e di sopra, era certamente un cordoncino o un gallone, o una tarneta di seta o d’oro; e infiniti e bellissimi sono gli esempi di fregi, di fascie, di bordi, intorno alle scollature, in fondo alle vesti, ai manti, agli arredi sacri, disegnati a groppi nei quadri del Rinascimento.

“Da «Vari disegni di merletti» inventati e tagliati da Bartolomeo Danieli – 1641.”

■ Nel 1557 si pubblicano, sempre a Venezia, le Pompe con disegni per sole trine a fuselli, senza dediche, senza spiegazioni, né avvertimenti, né Epistolette. I modelli, grandi al vero, suppongono la perfetta conoscenza della tecnica, così in chi li ha disegnati come in chi se ne deve servire. Semplici e variati, ricordano ancora, nel sapore orientale dei motivi, i galloni, donde nacquero le trine a fuselli Ma questa forma di lavoro più popolare e industriale, non interessava la ricca e nobile clientela degli stampatori di libretti, che continuarono invece ad offrire alle dame, Ghirlande, Corone, Trionfi, Giardinetti, di disegni per lavori d’ago.
■ Dal 1556 in poi Giovanni Ostaus, alemanno, pubblica a Venezia i suoi libretti dai disegni più varii e più ricchi, non solo, ma più nuovi degli altri, poiché molte delle sue tavole offrono modelli preziosi ad orafi, intagliatori, incisori, decoratori d’ogni sorta [La vera perfettione del disegno, di Giovanni Ostaus, 1561. Riproduzione a fac-simile. — Istituto Italiano d’Arti Grafiche, Bergamo, 1909].
■ Intanto, come avviene sempre a chi, primo, apre una strada nuova, Mathio Pagan è sorpassato da altri che procedono sulla via che dal punto tagliato condurrà al merletto. Zoan Andrea Vavassore stampa le tavole dell’Esemplario Nuovo di più di cento variate Mostre, quasi tutte di punto tagliato, con disegni caratteristici e squisiti del Pellicciolo: e Federico Vinciolo venitien pubblica a Parigi, dove gode la protezione di Caterina de’ Medici, i suoi Singuliers et Nouveaux pourtraicts [I singolari e nuovi disegni di Federico Vinciolo Parigi, 1606. Riproduzione a fac-simile — Istituto Italiano d’Arti Grafiche, Bergamo, 1909], che egli chiama ancora di point coupé mentre sono già di vero e bellissimo reticello, insieme a tavole mirabili per modano ricamato e buratto. Il libro del Vinciolo, che ebbe un numero straordinario di ristampe e di contraffazioni, pubblicato fuori d’Italia e diffuso rapidamente dovunque, contribuì efficacemente alla fortuna delle trine ad ago italiane, e invogliò altri artisti di valore ad imitarlo anche nel tipo dei modelli.

“Da «Vari disegni di merletti» inventati e tagliati da Bartolomeo Danieli – 1641.”

■ Infatti lo segue, e forse lo supera nel successo, se non nella bellezza dei disegni, Cesare Vecellio colla sua Corona delle solite nobili e virtuose donne: e qui si fa strada di Corona, in Corona, a poco a poco il merletto di punto in aria, il quale vien liberandosi dallo schema geometrico già appena sensibile nei modelli del Vinciolo, dove è ridotto, a un esile reticolato sul quale quest’ultimo appoggia ancora i suoi ornamenti e i suoi fogliami.


■ Aurelio Passarotti nel 1591 pubblica a Bologna un suo Libro di Lavorieri, dedicato alla Serenissima Sig. Margarita Gonzaga d’Este duchessa di Ferrara. Ogni tavola è, a sua volta, dedicata a una delle signore del patriziato bolognese, e ne reca lo stemma, di cui i motivi si vedono ripetuti e graziosamente adattati a comporre un alto fregio.
■ Il libro tutto bolognese, così nell’autore che appartiene a una famiglia di buoni artisti di quella città, come nello stampatore, e nei soggetti, è forse una ristampa del libro dello stesso Passarotti che vediamo citato come pubblicato, con un titolo somigliante, nel 1560. Non possiamo però affermarlo. Anche del nostro non conosciamo che due copie; una, è proprietà del marchese Nerio Malvezzi; l’altra trovammo nella Biblioteca di Forlì. Le tavole di questo libro non somigliano a quelle di nessun altro. Bolognese dovette rimanere anche la forma, tutta speciale, di lavoro, che la contessa Lina Cavazza fa ora rivivere in tutta l’antica perfezione e con l’antica fortuna.
■ Coi primi del Seicento una donna Isabetta Catanea Parasole, romana, disegna le tavole della sua Pretiosa Gemma e del Teatro delle Nobili e Virtuose Donne. I disegni, non tutti ugualmente felici, mostrano però una conoscenza della tecnica, che qualche volta, i disegnatori più abili e fantasiosi di lei, lasciano desiderare.

“Dal «Libro di Lavorieri» di A. Passarotti del 1591.”

■ Così è, per esempio dell’autore della Ghirlanda di sei vaghi fiori scelti dai più famosi giardini d’Italia. La qual ghirlanda, è un libretto, dove, non fiori si trovano, ma «belle lettere, dotte sententie, novi merli, moderne mansioni (cioè indirizzi), leggiadri lavori, e usati numeri». L’operetta curiosissima e rara [ne conosciamo una copia, presso la contessa Maria Pasolini, e una nella Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna] è incisa in rame da Pier Paolo Tozzi e ha 42 pagine di massime e di numeri scritte dai calligrafi Aless. Bertozzi e Sebastiano Zanelli, ambedue Padovani, e incorniciate da modelli per punte e falsature di trine, da eseguirsi più colla penna che coll’ago. Tutto è fiorito come il titolo in questo libretto del Tozzi, il linguaggio delle massime, come la serie degli indirizzi dagli svolazzi e dagli aggettivi ugualmente fantastici: e vi si trova di tutto un po’: i ragionamenti sul modo di tenere Libro Dopio overo Maestro, e versi, e tavola per moltiplicare e istruzioni intorno alle Iscrittioni e soprascrittioni per le lettere missive!

“Dalla «Vera perfettione del disegno» di Giovanni Ostaus – Venezia, 1561.”

■ Fra le ultime operette di questo genere, pubblicata ben innanzi nel 600 è quella di Bartolomeo Danieli, di gran formato con tavole per lavori di punto in aria, di straordinaria bellezza e magnificenza. E questa mirabile raccolta, di origine tutta bolognese, come l’altra del Passarotti completamente diversa dalle opere del Vecellio, del Vinciolo, della Parasole, di Matteo Florimi, e delle altre che si stamparono contemporaneamente, a Venezia, a Padova, a Siena, a Napoli, lasciano credere che Bologna anche nel lavoro artistico femminile vivesse di una vita sua propria fervida e fiorente.


■ Ed eccoci arrivati al termine di questa rapida corsa attraverso i più importanti fra i centocinquanta libretti giunti fino a noi e di cui abbiamo conoscenza. Molti più, naturalmente, dovettero essere, se di alcuni conserviamo solo il ricordo, e, di altri qualche copia incompleta o frammentaria; e grandissima dovette essere la loro influenza sulle forme minori dell’arte, in quel tempo fortunato in cui era vivo il desiderio, anzi il bisogno di bellezza, negli umili, nei grandi, negli artefici e nei committenti: altissimo segno di nobiltà, e pura e profonda ragione di godimento.”