Dalla Rivista Enciclopedica Contemporanea, dispensa di novembre 1913.
Di D. Fava.
” ■ Il centenario della morte del grande tipografo saluzzese non è passato in Italia sotto silenzio. Gli italiani hanno dimostrato anche in questa occasione tutta la loro riconoscenza, tutta la loro ammirazione, verso una delle loro più fulgide glorie.
■ La commemorazione del Primo Centenario Bodoniano ebbe tre distinte fasi: una a Torino, una seconda a Saluzzo e un’ ultima a Parma. Quella di Torino ebbe una speciale importanza per essere stata connessa colla istituzione d’un Musco del libro, sorto sulle modeste fondamenta costituite dall’officina tipografica del secolo XV istituita nel Castello medievale di Torino, una delle più geniali iniziative del Comitato dell’Esposizione Internazionale del 1911. Tale istituzione merita un cenno speciale per la manifesta utilità che la accompagna e per la duratura e feconda azione che eserciterà sullo sviluppo delle arti grafiche in generale. Nessun modo migliore di onorare l’insigne tipografo di questo Museo, che diventerà col tempo, ne siamo certi, una scuola pratica per tutti i cultori della tipografia e della bibliografia. Il discorso inaugurale è stato detto da Piero Barbèra, presidente della Associazione tipografica-libraria italiana.
■ Le feste di Saluzzo che ebbero luogo il giorno successivo alla commemorazione torinese, cioè il 21 settembre, compresero l’apposizione di un ricordo in bronzo al monumento di Bodoni, un discorso commemorativo del prof. Costanzo Rinaudo e la inaugurazione della Mostra Bodoniana nella storica casa Cavassa.
■ La commemorazione di Parma si svolse il 28 e il 29 settembre con un discorso del professor Umberto Benassi tenuto nella Biblioteca Palatina, con la apposizione d’una targa-ricordo sulla tomba del Bodoni e colla inaugurazione della Mostra Bodoniana nella sala dell’Incoronata della R. Biblioteca Palatina.
■ Il Centenario Baloniano ha pure dato origine a una larga fioritura di pubblicazioni e memorie che, varie negli intenti e nelle forme, intendono tutte alla glorificazione di un uomo, che ha dato le migliori energie, la sua fede, la sua vita intera al rinnovamento di un’arte che aveva fatto la gloria dell’Italia nei secoli XV e XVI., Un succoso e dotto profilo del Bodoni ci venne presentato da Piero Barbèra nella collana «Profili» del Formiggini. La vita del Bodoni venne più completamente indagata in una monografia di Giuseppe Fumagalli, premessa ad uno studio di Raffaello Bertieri sulla tecnica e sull’arte del saluzzese. Una interessante memoria è stata pure pubblicata sulla vita del Bodoni dal prof, Umberto Benassi negli Atti della R. Deputazione di Storia Patria di Parma. Ricordiamo ancora un discorso del povero Dino Mantovani e due numeri unici pubblicati rispettivamente dall’antica tipografia saluzzese della famiglia dei Bodoni, ora nota sotto il nome di fratelli Lobetti-Bodoni e dalla Scuola Fiorentina del libro, ai quali hanno collaborato i nostri migliori scrittori, lumeggiando le notevoli conquiste fatte dal Bodoni nell’arte della stampa.
■ Giambattista Bodoni ereditò dalla famiglia l’amore e le attitudini per l’arte tipografica. Tipografo infatti era il padre Gaspare Francesco Agostino, morto nel 1776, che aveva sposato una Paola Margherita Giolitti di Cavallermaggiore, discendente probabilmente dalla celebre famiglia dei Gioliti stampatori di Trino del Monferrato; tipografo l’avo Giovanni Domenico, il quale trasferitosi verso il 1680 a Saluzzo aveva sposato Benedetta Vallauri, unica figlia dello stampatore Niccolò Vallauri, succedendogli nella proprietà dell’officina tipografica che era stata aperta a Saluzzo nel 1669.
■ Nascendo adunque il Bodoni in Saluzzo il 26 febbraio del 1740, si trovò fin da giovinetto in ambiente propizio non solo ad apprendere, ma pure ad assorbire il gusto e l’amore per l’arte tipografica. Si dice che tanta fosse fin da fanciullo la sua inclinazione per quest’arte che ancora quindicenne già si dilettava nel raccogliere stampe artistiche e si esercitava nell’intaglio su rame.

■ I primi passi li fece quindi nell’officina paterna. Ma appena diciottenne, mosso dall’ambizioso sogno di miglior sorte e fortuna, si trasferisce nel 1753 in Roma, dove grazie alle raccomandazioni di uno zio sacerdote, poté essere presentato all’abate Costantino Ruggeri, sovraintendente alla Tipografia di Propaganda, il quale l’accolse in quell’istituto allora meritamente famoso. Per la conoscenza presa delle lingue orientali, fu scelto ben presto come compositore per le lingue esotiche, ed in tale qualità compose nel 1702 il messale arabo copto. Essendogli poi stato affidato l’incarico di pulire i punzoni dei caratteri orientali fatti incidere da Sisto V, il Bodoni si sentì indotto a fare i primi tentativi nella incisione di caratteri, per allora senza molto successo. Ma ormai aveva sentito la forza suggestiva di tale arte. D’ora innanzi egli non deporrà più il cesello.
■ Nel 1766 (gli era morto fin dal 1762 l’abate Ruggeri), preso dal desiderio di visitare l’Inghilterra dove sperava di trovare campo più propizio alla sua abilità, lasciava Roma e si metteva in viaggio per Londra. Ma giunto a Torino, colto dalla febbre, dovette rinunziare al viaggio; e quindi rientrava a Saluzzo dove per qualche tempo lavorò ad incidere punzoni e gettare caratteri, dando prova di buon gusto e di molta abilità. Fu in questo mentre che lo colse la fortuna. Aveva il celebre ministro del Duca di Parma Du Tillot deciso di fondare in Parma una stamperia reale, sull’esempio di quelle di Parigi, di Vienna e di Torino ed erasi rivolto all’abate Paciaudi, il dotto bibliotecario della Palatina, perché gli suggerisse una persona adatta a iniziare tale impresa e a reggerne le sorti; e quegli memore del Bodoni conosciuto a Roma, di cui aveva potuto apprezzare l’opera e l’ingegno, lo suggerì al ministro, il quale ne fece subito ricerca. Il Bodoni accolse con gioia l’onorevole incarico; e così entrava il 24 febbraio 1768 ai servizi del Duca di Parma, dove rimase per circa quarantasei anni, facendo stupire il mondo coll’eleganza e lo splendore delle sue edizioni.
■ I primi saggi della nuova Reale Stamperia di Parma furono compiuti con caratteri fatti venire da Parigi, dal fonditore Fournier. Lo opuscolo d’occasione dell’abate Frugoni, dal titolo I voti. Canto per la felicemente restituita salute di sua Eccellenza il signor Don Guglielmo Du Tillot, stampato nel 1765 è il suo primo lavoro.
■ Ma presto, impaziente di dar prova della sua valentia di punzonista e fonditore, otteneva dalla Corte il permesso di erigere una fonderia, per preparare i caratteri occorrenti alle edizioni della Stamperia Reale.
■ Il Saggio tipografico del 1771 ci offre il primo saggio di questi nuovi caratteri; i quali poi continuamente perfezionati ed accresciuti, apparirono per la prima volta in una svariata e ricca serie nel Manuale tipografico del 1788, che contiene centocinquanta saggi di caratteri latini, gradatamente crescenti dalla «parmigianina» al «papale» in tondo e corsivo, e insieme una serie di ventotto caratteri greci.
■ La fama della sua valentia erasi ormai diffusa per tutta l’Italia. Non è meraviglia perciò che da ogni parte si cercasse di strapparlo al Duca, con onorevoli e ricche profferte. Ma il Duca che teneva molto al suo tipografo, non se lo voleva lasciar sfuggire. Così a preparare una ricca collezione di Classici che il cavaliere Nicola de Azara ministro di S. M. Cattolica a Roma voleva far compiere a Roma dal Bodoni nel proprio palazzo, il Duca permise al Bodoni di erigere una sua particolare stamperia, collocata provvisoriamente nel Palazzo ducale della Pilotta presso la fonderia di caratteri.
■ Le edizioni bodoniane uscite dal 1791 al 1813, sono quelle che godono di un pregio speciale presso i bibliografi. Esse recano le note «Nel Regal Palazzo» o « In Aedibus Palatinis co’ tipi del Bodoni» o «Typis Bodonianis». La prima di queste edizioni è lo splendido Orazio in-folio per il De Azara del 1791.
■ Il saggio però più interessante e curioso è la celebre edizione del «Pater Noster» poliglotto, compiuto per impulso di Pio VII tra il 1805 e il 1806, coll’intento di emulare una eguale opera uscita proprio allora dalla Stamperia Imperiale di Parigi.
■ Nel libro del Bodoni il «Pater Noster» appare in centocinquanta versioni, stampato però duecentoquimlici volte con altrettanti diversi caratteri; de’ quali centosette sono esotici, gli altri centotto sono romani, corsivi e tondi, tutti di mano del Bodoni. Al viceré Eugenio di Beauharnais egli dedicò quest’opera, frutto di tante fatiche, che gli valse una ricompensa di mille luigi d’oro e un’annua pensione vitalizia di milleduecento lire con molti altri doni. Né gli mancarono da parte del Viceré le più calde premure perché volesse accettare la direzione della Tipografia Reale di Milano, che il Bodoni per sentimento di riconoscenza verso la corte ducale e più ancora per ragioni di salute rifiutava, non volendo allontanarsi da Parma, dove nel 1791 aveva sposato, in età più che matura, Paola Margherita Dall’Aglio, di buona famiglia, a lenire con un’assistenza affettuosa e disinteressata gli attacchi di podagra che lo affliggevano sempre più. La sua più alta gloria l’ebbe nel 1806, alla Esposizione dei prodotti dell’industria francese tenuta a Parigi, alla quale aveva inviato alcune delle sue più belle edizioni, conseguendo la medaglia d’oro.
■ Ma ormai la sua carriera volgeva al termine. Pur tra i mali fisici che più e più lo opprimevano egli preparava tra il 1812 e il 1813 due superbe edizioni in-folio grande, il «Fénélon» in due volumi e il «Racine» in tre volumi, cioè i primi due dei quattro classici francesi che dovevano servire alla educazione del principe Achille Napoleone di Napoli. Ma non riuscì a mandare ad effetto il disegno; ché il 30 novembre 1813, vinto dal male, spirava nella età di settantadue anni.
■ Il Bodoni ha avuto il merito indiscusso di avere in un tempo di grande decadenza dell’arte tipografica, cooperato al rinnovamento del gusto e alla creazione del libro moderno. Il suo nome per questo è ricordato a cagion d’onore insieme a quelli del Baskerville e del Didot che in Inghilterra e in Francia verso lo stesso tempo hanno inaugurato una nuova era nell’arte tipografica. Ma il Bodoni fu superiore all’uno e all’altro come creatore di caratteri e come artista del punzone.
■ I caratteri da lui incisi hanno tutti i requisiti che a suo modo di vedere costituiscono la perfezione dell’arte e cioè regolarità, nettezza, buon gusto e grazia. Se egli non riuscì a scoprire e a dar vita a forme nuove, non gli va data colpa, perché il merito d’un novatore non è sempre quello di scoprire il nuovo, ma bensì di richiamare in vita e disseppellire ciò che è stato dimenticato e di rifarsi dai sommi maestri cercando di adattare ai tempi e perfezionare le forme più antiche.
■ Ma se la riforma dei caratteri costituisce per lui il maggior titolo di gloria, non va dimenticato il fine senso e il profondo intuito di stampatore ch’egli dimostrò nelle sue belle c ricche edizioni. Qui si può ben dire che risplenda tutto il suo genio di novatore. Con una semplicità di mezzi che stupisce, colle semplici risorse dell’arte tipografica, egli raggiunse un’altezza e una perfezione che nessuno ha più saputo eguagliare. Tutto qui coopera a tale risultato: la elegante distribuzione delle parti ornamentali e decorative, la felice disposizione delle parti, armonia dell’insieme. Tutto quivi è curato con meticolosa diligenza: la scelta e la distribuzione dei caratteri per il testo, per le note, per le prefazioni e per i titoli, la proporzione del formato, dei margini e della interlineatura, gli inchiostri, la separazione delle lettere. L’ equilibrio e la maestà dei frontispizi, la ricchezza dei margini, L’eleganza delle cornici, la bianchezza della carta, contribuiscono a formare delle edizioni bodoniane altrettanti capolavori.
■ Ma l’opera sua, per essere suo esatto valore, ha bisogno di esser considerata solamente dal lato tecnico. Egli è un grande artefice il cui canone estetico può riassumersi nel noto principio dell’arte per l’arte. Vissuto presso una corte, in un’età e in un paese di scarsa cultura, non vide nel libro che l’elemento estrinseco, quello dell’arte. A questo sacrificò ogni altro intendimento che mirasse alla divulgazione del pensiero umano, alla elevazione intellettuale e morale del popolo. In tutta la sua produzione non vi è quasi libro dove si agiti una nuova corrente d’idee: in essa vi preponderano le opere dei classici greci, latini e italiani. Le sue edizioni erano fatte invero più per i principi che per il pubblico, per essere oggetto più d’ammirazione che di studio. Arte aulica verrebbe voglia di chiamarla, se la prima e più possente ragione dell’arte non consistesse nel soddisfacimento di un’intima aspirazione di bellezza che l’artista vagheggia entro sé stesso, e se al di sopra di ogni pratico e materiale intento l’arte non trovasse il suo fine nell’appagamento di un bisogno estetico.

■ Non finiremmo più se volessimo ricordare tutte le edizioni del Bodoni, ricche di pregi estetici. Di qualcuna però non possiamo tacere, sì perché danno un giusto segno della grande perfezione raggiunta dal saluzzese, sì perché costituiscono di per sé dei veri monumenti della tipografia italiana. Prima del 1791 abbiamo di veramente pregevoli l’edizione degli Epithalamia del 1775, stampata per le nozze del Principe di Piemonte e adorna di rami di valenti incisori, Gli amori pastorali di Dafne e Cloe del 1786 e l’Aminta del Tasso del 1789. Ma i veri gioielli appartengono al secondo periodo che va dal 1791 alla morte. Tra questi ricordiamo il piccolo «Anacreonte» del 1791, l’«Orazio» dello stesso anno, La Gerusalemme liberata del Tasso in tre volumi del 1807, l’Iliade greca del 1808 in tre volumi in-folio, che si considera come il più grande monumento della stamperia del Bodoni.
■ Le edizioni bodoniane furono lui vivente ricercatissime dai bibliografi e dai bibliofili. Alcuni esemplari su carte speciali salirono subito dopo la sua morte a prezzi rilevanti. Questo spiega come se ne formassero di buona ora varie raccolte, benché poche si possano dire complete o quasi. Fra le più ricche e più scelte ricordiamo, anzitutto, quella della Palatina di Parma, quella della Biblioteca di Brera di Milano, quella della Biblioteca civica di Torino.
■ Il primato tipografico che il Bodoni tenne per generale consenso nel suo tempo, spiega il senso di ammirazione di cui fu oggetto e le dimostrazioni di stima e plauso che si ebbe dai contemporanei. Membro di numerose accademie, pensionato da re e da papi, circondato dalla benevolenza dei principi, insignito delle più alte onorificenze, ben poté dire sul finire della vita di non avere faticato inutilmente ed oscuramente, E l’opera sua ebbe meritate lodi anche dai posteri; ché il nome del Bodoni dura ed è rievocato, insieme a quello dei Giolitti e degli Aldi, fra coloro che illustrarono e portarono la tipografia italiana a meravigliosa perfezione ed altezza. A lui Saluzzo sua patria dedicava nel 1872 un monumento, degno tributo di gratitudine e d’ammirazione della nuova Italia verso uno dei suoi figli maggiori.”