Da La Scienza per Tutti, Anno VI, N° 3, marzo 1886.
” ■ I dilettanti di fotografia sono divenuti legione, perciò non c’è da stupirsi se la fabbricazione degli apparecchi e dei prodotti fotografici prese uno sviluppo considerevole; la sola fabbricazione delle lastre al gelatino-bromuro rappresenta in Europa ben 50 milioni di franchi.
■ Alcune cifre relative alla carta sensibilizzata mostreranno a qual somma si elevi il traffico delle produzioni fotografiche.
■ La carta che serve a fare le imagini è fabbricata quasi nella totalità da una sola casa francese, che ne mette annualmente in commercio 50 mila risme. Questa carta viene poi spalmata di albumina e resa sensibile. La carta così preparata vale almeno 800 lire alla risma, dunque la sua produzione ammonta a 15 milioni di lire. Le altre carte sensibili al gelatino-bromuro d’argento, carta al carbone, ecc., salgono a 5 milioni. Se a ciò si aggiungono i prodotti chimici e l’ebanisteria si arriva nuovamente al totale annuo di 50 milioni di lire.
■ Si vede che la fabbricazione dei vetri o lastre secche, raggiunge essa sola la metà della fabbricazione totale degli oggetti fotografici. Tutti i fotografi di professione, tutti i dilettanti oggidì se ne servono. Ma di coloro che conoscono il modo di fabbricarle quanti ve ne sono? non molti certo, perciò stimiamo ben fatto dare qui la descrizione di una officina di lastre al gelatino-bromuro e precisamente di quella del signor Hutinet, viale Parmentier, a Parigi.
■ Ci sembrò interessante per tutti e molto istruttivo per i pratici il conoscere come si fabbrichino le lastre di cui si servono continuamente, ed animati da questo pensiero incominciamo.
Le lastre secche sono vetri coperti di un’emulsione di gelatino-bromuro d’argento. La loro fabbricazione comprende una serie di operazioni che vogliamo partitamente esaminare.
1.° Preparazione dell’emulsione. — Nei trattati speciali fu pubblicata una grande quantità di ricette. Una delle più semplici è la seguente: Si opera in una stanza illuminata dalla luce rosso rubino. Si introduce in un fiasco a largo collo: acqua distillata 800 centimetri cubi, bromuro d’ammonio 18 grammi, gelatina di buona qualità 12 grammi.
■ Quando la gelatina si è gonfiata, si porta il fiasco in un bagnomaria di cui si eleva la temperatura sino a 40 gradi. In un altro fiasco si fanno sciogliere 27 grammi di azotato d’argento cristallizzato in 150 centimetri cubi di acqua distillata tiepida. Si versa la soluzione d’argento in getto sottilissimo nella gelatina, che un movimento circolare del braccio tiene continuamente agitata, anche quando i due liquidi sono riuniti nel medesimo fiasco, Si rimette quindi il fiasco nel bagnomaria e si eleva la temperatura sino all’ebollizione.
■ Si ha cura di rimestare l’emulsione con una lunga bacchetta di vetro e di continuare l’ebollizione del bagnomaria per 15 a 20 minuti; dopo ciò, si lascia calare la temperatura da 85° a 40° circa e si aggiungono 12 a 15 grammi di gelatina, previamente gonfiata in un po’ d’ acqua distillata.
■ Dopo queste operazioni successive, si versa l’emulsione in una bacinella e la si lascia raffreddare al bujo. Quando si è rappresa, la si lava per purgarla dai sali inutili o nocivi, la si passa attraverso un filtro e la si raccoglie in un pezzo di mussolina spiegata sopra uno staccio. Si lava per 20 minuti sotto un rubinetto. La emulsione è allora rimessa nel fiasco nel quale si introduce una terza dose di gelatina, 12 a 15 grammi, che si fanno fondere coll’emulsione, che allora può essere colata sui vetri.
2.° Spalmatura dei vetri. — Quando si tratta d’una grande fabbricazione, la spalmatura dei vetri coll’emulsione presenta serie difficoltà. Il tempo nel quale si effettua deve essere brevissimo, attesoché l’emulsione cambia continuamente di stato; l’operazione deve quindi essere eseguita colla massima celerità, perché lo strato sia bene omogeneo. La spalmatura a mano è sempre imperfetta per cagione dell’ineguaglianza di spessore dello strato, che è sempre più alto dal lato ove si fece colare la gelatina inclinando il vetro.
■ Nella manifattura Hutinet, la spalmatura si fa meccanicamente, colla macchina rappresentata dalla fig. 4.
■ Questo ordigno è lungo 20 metri. Le lastre di vetro, previamente pulite, hanno la esatta larghezza che devono conservare dopo tagliate, e sono lunghe metri 1.20. Ogni vetro è collocato su due cigne perpetue animate da una macchina a vapore.
■ La lastra, così trascinata, passa sotto un rullo che preme lievemente sulla sua superficie, ed è equilibrato da un contrappeso. L’emulsione si trova in un recipiente scaldato a bagnomaria, che si vede in mezzo alla figura; essa sgorga lentamente e nella quantità voluta da un robinetto di vetro e cade in una vaschetta che ha la larghezza del rullo. Questa vaschetta ha la base munita di piccoli fori che permettono all’emulsione di spandersi uniformemente sul rullo, il quale, nel suo movimento rotatorio, copre il vetro di emulsione. I vetri sono disposti gli uni dietro gli altri e continuano il loro tragitto sopra una lunghezza di 12 metri. Durante il tempo impiegato nel percorrere quello spazio l’emulsione si è ispessita.
3.° Essiccatura delle lastre. — Giunti in capo al tavolo i vetri sono raccolti e collocati nell’essiccatojo (fig. 3), il quale è composto di tanti raggi di legno disposti in un camerino ventilato in una guisa tutt’affatto speciale. L’aria presa dal di fuori passa a traverso tamponi di ovatta e viene a riscaldarsi sui tubi nei quali circola il vapore, tubi che trovansi nel doppio pavimento dell’essiccatojo. Dopo essersi così scaldata sale nei quattro angoli della stanza sino al soffitto, per spandersi poi da tutte le parti. Sotto ai raggi, e da ogni parte, si trovano delle grate che lasciano passare l’aria chiamata dal tiraggio del fumajuolo dell’officina alto 24 metri. In tal modo l’aria calda, arrivando dall’alto, scende caricandosi dell’umidità prodotta dall’essiccazione delle lastre. Così operando vi ha poco o punto di polvere; le lastre sono distribuite sui raggi colla faccia emulsionata di sotto.
4.° Taglio delle lastre. — Le lastre, essiccate che sieno, cioè sei od otto ore dopo messe nell’essiccatojo, vengono portate nell’officina di tagliatura. Mediante una macchina semplicissima, che una sola operaja fa agire, ogni lastra viene tagliata secondo la lunghezza prestabilita (fig. 1). Questa macchina è composta di due scanalature di legno di cui si stabilisce a piacere la distanza per mezzo di viti. Come abbiamo detto, la larghezza esatta della lastra grande è stabilita prima della spalmatura; essa viene introdotta in quella scanalatura che si appoggia contro un punto fisso, in guisa che la distanza compresa fra il regolo che deve guidare il diamante ed una placchetta che ferma il vetro, sia della lunghezza necessaria al formato della piccola lastra, che allora si taglia col diamante. Durante il taglio, le lastre vengono esaminate una per una da altre operaje; quelle che hanno qualche difetto sono rigettate, mentre le altre passano all’impacchettatura.
5.° Impacchettatura. — La macchina che fa i pacchi (fig. 3) è composta di tre parti essenziali a scanalature; quella al disotto oltrepassa l’ affioramento del tavolo ed ha sei scanalature; delle cartoline pieghettate che vi furono anticipatamente situate si adattano esattamente in quelle scanalature; da ogni banda della scanalatura del disotto, si inalzano due altre assicelle verticali mobili a scanalatura e corrispondenti alle divisioni di quella del tavolo. Le lastre vengono introdotte una per una in quelle scanalature, e, quando ve ne sono sei, vi si mettono sopra carte pieghettate. Ciò fatto, il sistema basso, in virtù di un movimento meccanico, discende al disotto dell’affioramento del tavolo nel tempo stesso che le due tavolette verticali si scostano; le sei lastre sono allora serrate dall’operaja e restano separate dalle carte pieghettate. Esse sono poi impacchettate e due pacchi vengono collocati insieme in una scatola. Una lista di carta viene incollata sull’apertura delle scatole, che dopo tale lavoro possono essere portate alla luce. Tutta questa fabbricazione richiede grandi cure ed un’azienda ragguardevole. Per combattere i calori estivi, tanto dannosi all’operazione della spalmatura delle lastre, fu mestieri adattare sotto ai vetri non ancora secchi un canaletto alimentato dall’acqua a 12 gradi, proveniente da un pozzo che si dovette perforare sino a 40 metri di profondità.”