Come si dice 100 — 1 (1940)

Da Sapere, Anno VI, Vol. XII, N. 22-142, 30 novembre 1940.
Di Toddi.

” ■ Il modo più semplice e rapido per pagare 99 lire è senza dubbio quello di dare un biglietto da 100 e ricevere 1 lira di resto: eseguire cioè la più facile delle sottrazioni, poiché si tratta di togliere da un numero una unità. I Romani ricorsero alla sottrazione per esprimere alcuni numeri, sia oralmente che graficamente: in latino, 18 e 19 sono rispettivamente duodeviginti e undeviginti, ossia
duo-de-viginti = 20 — 2 = 18
un-de-viginti = 20 — 1 = 19
e, graficamente, si esprimevano con sottrazioni il 4 (IV = 5 — 1), il 9 (IX = 10 — 1), il 40 (XL = 50 —10), il 90 (XC = 100 —10), il 400 (CD = 500 — 100) e il 900 (CM = 1000 — 100).

■ Il 99 era, per i nostri antichi, XCIX, ossia (100 — 10) + (10 — 1). Sarebbe stato assai più semplice indicarlo con IC, ossia con 100—1.
■ Ma nessuna lingua, antica o moderna, e nessuna notazione grafica ricorre a tale semplicissima espressione.
■ È strano anzi che tanti popoli i quali, sin da tempo antichissimo, ebbero una chiara idea della numerazione decimale e basarono su di essa la numerazione orale, non riuscirono a compiere quel breve passo che li avrebbe condotti ad esprimere anche nelle cifre scritte quel computo così semplice e facile al quale si ispirava il loro linguaggio.

“Gli Egizi avevano segni distinti per le unità, decine, centinaia, ecc.”

■ Sin dal IV millennio avanti Cristo si trovano nei monumenti egizi segni distinti per le unità, le decine, le centinaia, le migliaia, le decine e centinaia di migliaia: ma l’uso di esse — pur nel periodo aureo delle scienze matematiche egizie — seguiva il più ingenuo metodo da pallottoliere: il 99 era perciò espresso graficamente ripetendo 9 volte il segno di una decina e 9 volte quello di un’unità.
■ Un sistema cioè quasi infantile e tutt’altro che pratico.
■ Ci vollero quarantadue secoli per arrivare all’aritmetico uovo di Colombo, che poi fu, per l’Europa, l’uovo di Leonardo Fibonacci pisano, con la notazione di posizione.
■ L’umanità rimase fuori strada, ossia continuò a seguire il cammino più lungo e complicato, finché non si accorse di una elementarissima verità aritmetica: che, cioè, si poteva esprimere in cifre ciò che già si diceva a parole: ossia 9 x 10 = 90.
■ Per dire 99 i Greci dicevano enenékonta ennéa: formavano la parola «novanta» (enenékonta) con il medesimo numero 9 (ennéa) con il quale indicavano le 9 unità; eppure usavano per il 90 e per il 9 due segni i quali non avevano nulla di comune fra loro!

“Una notazione numerica rudimentale: cinque sbarre sulla bandiera, indicano il prezzo del vino…”

■ Per vocaboli e cifre seguivano due direzioni diverse: e ciò li costrinse a adottare 9 segni diversi per le unità da 1 a 9, altri 9 segni per le decine da 10 a 90, e altrettanti per le centinaia, per le migliaia, per le decine di migliaia. E, poi che usarono, a tale scopo, le lettere dell’alfabeto, e queste, pur con l’aggiunta di altre tre (stigma, coppa e sampi), non potevano bastare a fornire i 45 simboli numerici necessari, i Greci dovettero ricorrere all’aggiunta di «apici» e di altri segni. Gli Etiopici seguono tuttora un sistema analogo, sicché le cifre amariche delle decine sono del tutto diverse da quelle delle unità: il 20, il 30, ecc. si esprimono rispettivamente con un solo segno, il quale non ha alcuna parentela grafica con il 2, o con il 3, ecc.
■ Eppure questa parentela esiste intimamente nella numerazione parlata: il 9 è zaettaegn e il 90 è zaettaena; il 99 è detto zaettaena zaettaegn con chiara associazione etimologica fra le 9 decine e le 9 unità, mentre nessuna somiglianza è fra le cifre che rispettivamente le esprimono!

“La complicatissima numerazione scritta dei Greci richiedeva 45 segni diversi.”

■ È evidente che, con simili segni, gli Etiopici non possono eseguire alcuna operazione aritmetica, e perciò, nei computi, usano le cifre arabe.
■ Uguale dissidio, anzi un dissidio maggiore troviamo tra la numerazione latina orale e quella scritta: parlando, i Romani associavano il 90 (nonaginta) al 9 (novem, ordin. nonus), ma, nella scrittura numerica, il 90 era espresso con 100 meno 10 (XC) ed il 9 con il 10 meno 1 (IX).
■ L’errore iniziale fu nel dare segni speciali ai diversi ordini aritmetici. Invece esprimevano con la ripetizione dello stesso segno, (I, II, III) numeri che, oralmente, erano espressi con parole diverse.
■ Insomma, una vera contraddizione, e duplice, fra cifre e vocaboli: segni diversi per parole simili e segni simili per parole diverse!
■ Persino nel lontano Estremo Oriente troviamo questo disorientamento iniziale: anche lì i segni furono differenti per indicare le unità, le decine ecc. Per fortuna, però, non con un sistema così complicato come in Grecia!

“In amarico le cifre delle decine non hanno alcuna parentela grafica con quelle delle unità.”

■ Eppure proprio in Grecia, e a Roma, ed in Estremo Oriente — dove è diffusissimo tuttora — largamente era usato il pallottoliere, il quale materialmente rendeva evidente che le palline delle decine, delle centinaia, ecc. non sono diverse da quelle delle unità: hanno solo un «posto» differente.
■ E forse le nostre dita mutano forma quando contiamo per decine, o per centinaia o per migliaia?
■ Ci voleva l’acume degli Indiani — dai quali gli Arabi presero le loro cifre — o la genialità di Leonardo Fibonacci — che ne insegnò l’uso all’Europa — per accorgersene!

“I segni numerali cinesi.”

■ La gran maggioranza delle lingue forma i nomi delle decine con quelli delle unità corrispondenti: in molte si esprime chiaramente l’operazione: così 99 è espresso da ”9 10 9” ossia (9 x 10) + 9. I due fattori sono talora immutati (come nel nouă-geci rumeno, nel devet-deset bulgaro, ecc.); talora l’operazione 9 x 10 è già eseguita ed il vocabolo ne esprime il prodotto, come in novanta, neunzig, ninety, ecc.
■ La base di computo è il dieci.
■ Bisogna recarci ben lontano per trovare numerazioni più rudimentali: nella lingua api delle Nuove Ebridi la serie dei numeri semplici termina con il 5, detto luna ossia «mano»: quelli successivi appartengono già ai composti: 6 è o-tai («un altro 1», cioè 5 + 1), 7 è o-lua («un altro 2» = 5 + 2), 8 è o-tolu («un altro 3» = 5 + 3) e 9 è o-vari («un altro 4» = 5 + 4), mentre il dieci è espresso con lua-luna «due mani».

“Negli uffici giapponesi è usatissimo l’abaco o pallottoliere (sôrôban).”

■ Nel Mar dei Coralli, ad oriente dello Stretto di Torres, alcune tribù non vanno oltre il sistema binario: non conoscono, cioè, che il numero 1 (urapun) e il numero 2 (okosa); e tutti quelli superiori sono composti per addizione: il 4 è okosa-okosa, il 5 è okosa-okosa-urapun ossia 2+ 2+ 1.
■ Teoricamente, in lingua papua, per dire 99 bisognerebbe dire 49 volte okosa e una volta urapun, ottenendo così (49 x 2) + I = 99. Diciamo «teoricamente» perché nessun indigeno sente il bisogno di esprimere un numero tanto alto. La sua base numerica è indizio delle sue aritmetiche necessità.
■ Ma se, nell’interessante indagine di numerazioni strambe, andiamo in cerca delle più sensazionali bizzarrie, le maggiori stravaganze le troveremo, più che in regioni remote, proprio in Europa!
■ Naturalmente, queste bizzarrie sono di tutt’altra natura che quelle dei popoli primitivi: in occidente troveremo, invece che ingenui sistemi elementari, curiose complicazioni aritmetiche nell’espressione di certi numeri.

“Le cifre dette «arabe» provengono dall’India.
(Dal volume: TODDI, «I numeri, questi simpaticoni» – Bibliotechina di Sapere
«S.O.S.», Milano, ed. Hoepli, 1940.”

■ Non è già strano il tedesco, quando, per leggere 99, pronunzia prima le unità e poi le decine? In tedesco si dice infatti neunundneunzig ossia «9 e 90»: e così in olandese (negen en negentig) e in boemo (devĕtadevadesàt). Però anche noi abbiamo qualcosa di simile, poi che dall’11 al 16 leggiamo prima le unità e poi le decine: un-dici, do-dici, tre-dici…: ma, al diciassette riprendiamo l’ordine normale!
■ Anche gli Arabi usano leggere le unità prima delle decine: in arabo, anzi, il contrasto è assai più complicato. L’arabo si scrive da destra a sinistra, ma le cifre si scrivono da sinistra a destra; ma, poi che le unità si pronunziano prima delle decine, anche nella scrittura in tutte lettere le decine vengono a trovarsi a sinistra delle unità, come nella scrittura in cifre: non nella lettura, però!
■ Le più curiose stranezze aritmetico-linguistiche europee debbono la loro origine al sistema vigesimale di alcuni popoli. Tuttora il basco ha la numerazione su tale base: ogei (20) costituisce un’unità numerica come la nostra decina, e perciò il 30 è 20 + 10 (ogci ta amar), il 40 e 2 x 20 (berr-ogei), ed il 90 si scompone in (4 x 20) + 10.
■ Curioso ibridismo è quello del francese, nel quale i numeri, pur derivati dal latino, si combinano talvolta col sistema vigesimale: e perciò 70 è soixante-dix, 80 è quatre-vingt, ed il 99 ha la complicatissima formula (4 x 20) + 10 + 9, ossia quatre-vingt-dix neuf: tutti numeri latini, ma combinati ancora secondo la mentalità aritmetica celtica.

“Molte sono le lingue che esprimono 99 con «nove-dieci-nove» ossia (9 x 10) + 9.”

■ Perplessi rimangono i linguisti dinanzi al 90 russo, poi che in esso appare in combinazione col 9 lo sto che significa «cento»: come mai da 9 e 100 (djevija-na-sto) possa ricavarsi un 90 è certo incomprensibile: e perciò i filologi concludono che «tale formula è di origine oscura».
■ Un barlume di chiarezza non potrebbe sprizzare considerando che, in sanscrito, il daçati (10) si mutila in çati per formare le decine: dviçati 20, trin-çati 30? Anche il latino nonaginta ha, nel suo secondo membro, una strana somiglianza fonica con centum, pur non avendo nulla di comune con esso. Quello sto russo che, così com’è, sembra un 100, non sarebbe invece una contrazione di (dja) sat?

“Del (9 x 10) + 9 alcune lingue dànno il primo membro del binomio con la moltplicazione già eseguita.”

■ Ma il primato assoluto in complicazione aritmetico-linguistica per esprimere il 99 spetta senza contrasto ai Danesi.
■ In danese, il 90 è detto brevemente halvfems, il quale sembra in dissidio con i primi elementi della tavola pitagorica, giacché significa ½ 5!
■ Non si capisce, a primo esame, come «mezzo cinque», ossia 2,50, possa significare 90!
■ In realtà anche qui la complicazione è dovuta al sistema vigesimale. Il numero halvfems è l’abbreviazione di halvfemsyndstyve, che si adopera anch’esso, quando si vuol essere un po’ più chiari.

“L’arabo scrive, in lettere, da destra a sinistra; in cifre, da sinistra a destra; ma dice le unità prima delle decine.”

■ Ma, anche così, la chiarezza non è eccessiva, poi che questo numerale significa «mezzo cinque venti»: comunque combinerete 1, 5 e 20 non otterrete certo il 90. Quel parolone pur lungo com’è, è un’abbreviazione, e va interpretato «la metà [di una ventina che bisogna sottrarre al prodotto] 5 per 20». Di questa complessa formula, il vocabolo non esprime che il principio e la fine. Aggiungendo il 9, ossia le 9 unità (che si premettono alle complicatissime decine) si ha il 99 danese, ossia ni og halfemsyndstyve.
■ È forse il modo più complicato che esiste per dire 99.

“I più bizzari modi di dire 99 si trovano proprio in Europa.”

■ Non sarebbe più semplice dire come nessun popolo dice, ossia «cento meno uno»?
■ Praticamente lo sarebbe: ma se gli idiomi fossero rettilinei, ossia se avessero sempre seguito il percorso più breve tra concetto ed espressione, le ricerche etimologiche sarebbero prive di fascino e di sorprese.”