Come bisogna considerare le piante (1914)

Da La Scienza per Tutti, Anno XXI, N. 20, 15 ottobre 1914.
Del dott. Francesco Rappa.

” ■ Ancora oggidì, tra i popoli profani, corre intorno ai vegetali il medesimo pregiudizio diffuso poco più di duecento anni fa anche tra i botanici di professione. Allora non si negava che le piante fossero organismi viventi, tuttavia ad esse non si attribuivano quelle peculiari proprietà dipendenti dall’organizzazione e che perciò a loro, come organismi, non potevano mancare, peculiari proprietà che dell’organismo vivente fanno un’entità attiva, riducente a proprio vantaggio e, si potrebbe dire, ai propri fini, tutto ciò che la circonda. Le piante, secondo quel modo di considerarle, rappresentano quanto di passivo eravi nella vita, quasicché la vita, anche nelle sue più semplici espressioni, anche nelle forme più elementari in cui manifestasi, non sia, in ultima analisi, un’attività aggressiva e conquistatrice. Così le piante apparvero non come esseri aventi in se stessi la ragione della loro esistenza e lottanti per la propria conservazione e diffusione a danno, ove fosse il caso, degli altri vegetali ed anche degli animali; anzi si credette che esse fossero state create dalla sapienza divina affinché l’uomo se ne avvantaggiasse e per la sua alimentazione e per la cura dei suoi mali, al quale ultimo scopo la stessa sapienza vi aveva impressi contrassegni facilmente riconoscibili, dai quali si arguisce la sorta di malattie che ciascuna di esse aveva il potere di guarire (dottrina delle signature).
■ Si capisce di leggeri che concezioni di tal fatta non potevano favorire la formazione di una scienza botanica, tutt’altro: e invero a quei tempi e per molti anni in seguito, tutta la ricerca mirò a scoprire le virtù delle piante e tutta la Botanica si ridusse a comporre dei cataloghi di piante medicinali: la Botanica fu nient’altro che un sussidio della pratica, non uso dire scienza, farmaceutica, ed ogni botanico era un medico ed un farmacista.
■ Proprio sul finire del secolo XVII ed all’aprirsi del XVIII cadono le prime osservazioni che discoprirono nelle piante energie attive, come operanti pel raggiungimento di una meta, di un fine dalla pianta prestabilito a tutto proprio ed esclusivo vantaggio. Non sarà fare del campanilismo nella scienza se ricorderemo la parte non ispregevole che un italiano, il palermitano Paolo Bocconi, ebbe in questa alba di Scienza, specialmente con lo studio delle modalità della fecondazione nel pistacchio. Ormai, dopo quella primizia apportata da Kölreuter e Bocconi, dopo la vasta indagine di Sprengel nel secolo XVIII e l’opera colossale di Darwin, di Müller, d’Hildebrand nello scorso secolo, è emersa l’unità organica costituita dalla pianta, unità organica che esclusivamente ai priprî fini trasforma le condizioni ambientali e le riduce alle proprie esigenze sfruttandole nel miglior modo, e che adatta se stessa con la massima convenienza a quelle condizioni ove non possa ridurre esse a lei. E così la pianta, oggi, per gli uomini di scienza appare non già come un’entità che serve ai nostri bisogni e che esiste unicamente perciò; ma come un’entità indipendente da un fine che non è se stessa e che chiude in sé il ciclo della propria esistenza, sottomette alle proprie esigenze quanto sta intorno a lei, di vivente e non vivente, pronta ad avventarsi contro gli altri organismi, sia vegetali che animali, e contro lo stesso uomo il quale deve appunto al regno vegetale le sue più terribili malattie. Ma se questa rivoluzione nel considerare le piante sotto tale aspetto è già avvenuta tra gli uomini di scienza, i profani invece si sono mantenuti e si mantengono, come dicevo dapprincipio, nelle medesime condizioni di spirito di duecento anni fa, e chi sa per quanto tempo ancora sopravviverà l’antico pregiudizio!
■ Vogliamo intanto osservare un po’ noi la pianta in azione e vediamo quali espedienti essa attui per assicurarsi la più florida esistenza, a quali mezzi di concorrenza e di lotta essa ricorra ove sia necessario.
■ Ormai è noto a molti, se non a tutti, come le nozze consanguinee possano portare a un depauperamento organico, tanto che fra gli altri rimproveri che alla legge sul matrimonio si posson muovere, non deve tacersi quello della facilità con cui permette il coniugio fra parenti anche molto prossimi, Ora, se è vero che le piante siano delle entità attive ed operanti con fine proprio, si può prevedere già a priori come esse in questo punto delle nozze abbiano attuato le più felici condizioni per isfuggire al depauperamento organico. Il più semplice mezzo per evitare un coniugio molto prossimo è quello che i sessi siano separati, e veramente vi sono piante il cui fiore è unisessuale, cioè soltanto maschile o soltanto femminile; e non basta, perché talora i fiori maschili sono tutti su un individuo e quelli femminili anch’essi tutti su un altro individuo distinto dal primo, cosicché in questo caso non solo i fiori, ma anche gli individui sono unisessuali. Però nell’immensa maggioranza le piante hanno fiori ermafroditi, cioè i due sessi sono riuniti nel medesimo fiore. Dunque è immediato il pericolo delle nozze consanguinee e fra le più consanguinee che si possano immaginare! E qui vediamo le piante, diremmo, fare uno sforzo supremo per isfuggire al loro destino, al destino del depauperamento organico che, presto o tardi, porterebbe alla scomparsa della stirpe. E così lo stimma sfugge all’azione fecondante del polline del proprio fiore, sia sollevandosi più in alto degli stami sia collocandosi ad un livello inferiore (eterostilia) o con speciali disposizioni meccaniche (ercogamia), ovvero la pianta matura in tempi diversi i due elementi germinali di un medesimo fiore (dicogamia), cioè prima il maschile e poi il femminile (proterogenia); che se stimmi e stami trovansi contemporanei ed allo stesso livello, allora lo stimma secernerà una sostanza che avvelenerà il polline del proprio fiore, mentre è innocua per quello di un altro fiore, o, se vorrà essere meno crudele, non reagirà agli stimoli dell’elemento maschile consanguineo, il quale, quindi, resterà inefficace!
■ Così restano escluse le nozze consanguinee (autogamia) ed assicurate quelle incrociate (staurogamia), nelle quali il polline va a fecondare l’elemento femminile di un altro fiore. Ma il polline non ha piedi! Gli espedienti quindi a cui le piante sono ricorse per evitare le nozze consanguinee, varrebbero un bel nulla, porterebbero anzi alla distruzione della specie, perché ne impedirebbero la riproduzione; altri espedienti, dunque, affinché, evitate le nozze consanguinee, non si incorra nella Morte per mancata fecondazione!
■ Non potendo dunque muoversi da se stesso, il polline si fa trasportare e si fa trasportare da agenti esterni. Gli agenti esterni a cui il polline o, meglio, la pianta ricorre, sono il vento, l’acqua, gli animali. Il vento agisce ciecamente, quindi la pianta nessun espediente ha da impiegare in ordine ad esso: soltanto, poiché il polline resta affidato all’aria ed è destinato a disperdersi in gran quantità, è necessario che esso venga prodotto in grandissimo eccesso e sotto forma di polvere sciolta ed asciutta. Così formandosi una nube nella pollinica, sarà impossibile che un solo fiore femminile resti non fecondato, mentre il polline che non ha raggiunto lo stimma e si è depositato sul terreno, su le foglie o in altri punti, non potrà considerarsi completamente perduto ai fini della fecondazione poiché, sciolto ed asciutto come è, sarà capace ancora di sollevarsi appena arriva un nuovo soffio di vento. Ora precisamente queste sono le disposizioni delle piante anemofile, cioè che si servono del vento come agente trasportatore del polline, piante anemofile che son tutte a fiori unisessuali se non sono unisessuali esse stesse. Tuttavia queste disposizioni non sarebbero ancora sufficienti, perché il polline, essendo sotto forma di polvere sciolta ed asciutta, come scivola sugli oggetti, scivolerebbe anche sullo stimma dal quale si staccherebbe prima di fecondarlo. Ed ecco allora che lo stimma secerne un umore appiccicaticcio cosicché il polline, se è capace di scivolare su le foglie e su gli altri punti e volarne via, non lo è più appena caduto su lo stimma, dove rimane invischiato e dove quindi potrà compire l’atto fecondativo. Le disposizioni non potrebbero essere più mirabili e meglio coordinate ad un fine.
■ Quello di che son capaci le piante idrofile, presso le quali l’agente trasportatore è l’acqua, lo vedremo osservando quel che fa la Vallismeria spiralis. Certamente le correnti sono più facili alla superficie che non al fondo o nell’interno della massa acquea. L’impollinazione quindi può meglio compirsi alla superficie. Allora i fiori feminili di Vallismeria distendono i loro lunghi peduncoli ravvolti dapprima a spirale, raggiungendo così il pelo dell’acqua, mentre i fiori maschili per eseguire la medesima manovra si staccano addirittura dai loro corti peduncoli; vengono così a galla dove si aprono, e, trasportati dalle correnti, navigano, come leggere navicelle, verso i fiori femminei. Questi, avvenuta la fecondazione, riavvolgono i lunghi peduncoli e scompaiono sott’acqua!
■ Ma la massima parte delle piante hanno come pronubi gli animali: uccelli, lumache, insetti, e tra gli animali specialmente sl’insetti. Or gl’insetti non sono, come il vento, un agente cieco. Perché compiano la funzione a cui le piante li adibiscono, è necessario che esse, non potendo andare agli insetti, faccian sì che gli insetti vadano a loro colpendone l’intelligenza ed i sensi, ed andati a loro che siano, è necessario che esse li carichino di polline e che il prezioso carico sia posto su le parti più conveniente del corpo del pronubo per potere essere abbandonato su lo stimma del fiore che deve fecondare. E qui le disposizioni più ingegnose, più meravigliose, più varie, di tanto più meravigliose e più varie di quanto il nuovo agente supera per la sua intelligenza e per i suoi sensi l’agente cieco che è il vento; disposizioni tali che mentre l’impollinazione per opera degli insetti parrebbe la più fortuita, la più affidata al caso, è invece la più sicura, quella che è veramente infallibile col minimo spreco di energie e di sostanze. La descrizione delle infinite disposizioni che le piante attuano al fine di richiamare gli insetti e di operare col loro aiuto la fecondazione incrociata, costituisce, anche per la lotta che tra loro si ingaggia per attirare ciascuna a sé le visite di pronubi, il capitolo più attraente della biologia vegetale, ricco delle più mirabili sorprese. Certamente non posso venir qui, per la natura sintetica dell’articolo, a nessun particolare di sorta, basta dire però che un fiore di Iris, di Orchis, di Salvia e di mille altre specie rappresenta, e ciò non è una frase, un capolavoro di meccanica e di architettura.
■ Avvenuta la fecondazione, a poco a poco si matura il frutto contenente i semi i quali, caduti nel terreno, più o meno presto germogliano, ridando la pianta. Ma se i semi cadessero vicino alla pianta madre ed ivi germogliassero, le nuove piantine si soffocherebbero a vicenda e ben presto ne verrebbe la morte: è necessario anche assicurare la conservazione della specie conquistando una grande area di diffusione: soltanto in tal modo la trasformazione delle condizioni locali, distruggendo un contro, non trascina seco la distruzione della specie. Per varie ragioni è dunque conveniente che i semi vengano trasportati per quanto è possibile lungi dalla pianta madre e che ne germoglino il più lontano possibile. Anche qui non potendo il seme muoversi da sé, la pianta ricorre a speciali disposizioni per le quali o si ha direttamente l’allontanamento dei semi col lanciarli essa stessa a notevole distanza o si mettono gli agenti esterni a servizio della disseminazione. Così ora una pianta produce un frutto che scoppia violentemente con conseguente scatto dei semi contenuti, ora un’altra riveste ciascuno dei suoi semi di un involucro elastico che, squarciandosi, lo lancia a debita distanza; ora il frutto è fornito di ali che offrono all’aria una grande superficie di spinta, ora è provvisto di pappo e leggerissimo va svolazzando di qua e di là al minimo soffio di vento; ora il seme è circondato di un involucro durissimo ed impermeabile che con le sue cavità rende il tutto più leggero dell’acqua su cui quindi può galleggiare e venirne trasportato; ora, difeso da una parte inattaccabile per parte dei succhi gastrici ed intestinali, si trova immerso in gran numero in una polpa mangereccia che stimola la voracità degli animali; questi, mangiando il frutto, andranno con le feci a depositare i semi in luoghi lontani e varii anche per altitudine, permettendo così alla specie la conquista financo delle montagne e delle vette più elevate; ovvero il frutto è provvisto di un apparato ad uncini con cui si attacca al pelo dei mammiferi o agli abiti dell’uomo andando a cadere a distanze straordinarie dalla pianta madre, talvolta attraversando così financo gli oceani. Da questo rapido cenno, che non ha affatto la pretesa di esaurire l’immensa realtà, è dato scorgere come l’opera della disseminazione sia compiuta anch’essa, come l’impollinazione, mercé un’ingegnosità che tradisce, diremo quasi, un’intelligenza direttrice.
■ Fin qui abbiamo osservato la pianta in azione nel punto culminante della sua esistenza, che è il compimento dell’atto sessuale e la disseminazione, ma il periodo precedente è non meno ricco di opere e di lotte. È il periodo che potrebbe chiamarsi vegetativo in cui la pianta opera per la conservazione individuale r nel tempo stesso accumula energie e sostanze pel periodo successivo. Le spine, gli aculei, le sostanze velenose più potenti possono valere contro gli animali; i fitti feltri di peli, la riduzione del numero degli stomi, la riduzione e completa scomparsa delle foglie, la loro metamorfosi carnosa come quella simile del caule, varranno per le piante dei luoghi aridi contro il disseccamento; i tuberi, i bulbi, i rizomi, sono degli ottimi serbatoi di sostanze nutritizie; i movimenti eliotropici e geotropici, l’idrotropismo, il termotropismo, gli stimoli chemotattici, faranno assumere alla pianta ed ai suoi organi la posizione più opportuna rispetto al sole, al terreno, ai fattori in genere della vegetazione; la ramificazione del fusto e la disposizione delle foglie a rigor matematico conferirà alla parte aerea la massima capacità funzionale, come l’illimitata ramificazione della radice e la produzione dei peli radicali renderà la pianta padrona di ogni più piccola zolla e le permetterà di utilizzare ogni minima particella alimentare del terreno e di assorbire le infinitesime particelle acquee trattenute nel terreno per capillarità. Non posso che accennar di volo i vari punti, tralasciando i moltissimi altri: per isvolgerli completamente a tutti dovrei fare un colossale trattato di morfologia, di anatomia e di fisiologia vegetale! — Ma nel chiudere il presente articolo, sol per dare una pallidissima idea di quello che è la concorrenza vitale tra i vegetali, la lotta che tra essi si ingaggia con la vittoria del più forte o del più adattabile, ricorderò un fenomeno che si ripete ogni anno nei giardini di Palermo. I giardini di Sicilia sono nel periodo del risveglio vegetativo, e così lo erano un tempo particolare quelli di Palermo, la sede di una ricca flora selvatica tra cui non poca importanza hanno delle specie eduli come soncus oleraceus e Brassica; ebbene dacché vi si diffuse l’Oxalis cernua, dai nostri giardini è scomparsa tutta quella flora selvatica e da gennaio all’aprile vi domina in fitto tappeto, conquistatrice e tiranna, unica e sola, l’Oxalis cernua, nè la falce (l’Oxalis cernua in quel tempo è data in foraggio ai bovini) può nulla contro questa novella idra che più si recide e più si riproduce.
■ Tutta questa meravigliosa ed inesauribile attività che abbiamo riscontrato nelle piante superiori, si svolge con nuove e non meno mirabili forme nelle piante inferiori, cosicché tutto il regno vegetale è un gran campo di energie in moto, governate e coordinate dagli individui al raggiungimento di un fine proprio, come di individui che vivono unicamente per sé e si affermano dominatori su tutto quanto li circonda. Sotto questo punto di vista sono da considerarsi le piante. L’uomo, che, per far se stesso centro dell’universo, aveva immaginato la terra al centro di tutte le cose, finì per riconoscere che il nostro globo è un atomo, e nulla più, disperso nello spazio infinito; si era consolato col farsi centro a meta di tutto quanto esiste su la terra; ha finito col riconoscere che ogni essere terrestre, anche vegetale, ha un fine proprio, indipendente da lui, e che egli è un semplice punto nella gran curva che rappresenta la circolazione della materia.”