Da La Scienza per Tutti, Anno XIV, N. 7, luglio 1894.
” ■ Fino dall’anno 1890 il francese Damoizeau ha ideato ll ciclografo, cioè quell’apparecchio fotografico che permette di ottenere dei panorami di molta estensione e persino dell’intiero giro dell’orizzonte. Basato sul sincronismo esistente tra la velocità di rotazione dell’apparecchio sul suo asse, e quella dello svolgimento della pellicola fotografica al foco dell’objettivo, esso dà tuttavia, non ostante la mobilità di tutte le sue parti, delle imagini assai nette.
■ Tale strumento può servire, non soltanto per la fotografia di pittoresche vedute, ma bensì per rilievi topografici, nel qual caso il ciclografo è completato mediante l’aggiunta d’un disco graduato con verniero, di un cannocchiale e d’un livello (1). L’uso di questo apparato, in conseguenza di siffatte sue particolarità, sì trova però limitato, per un verso dal numero relativamente piccolo di vedute panoramiche interessanti e desiderabili al completo, e per l’altro dalle speciali cognizioni necessarie all’applicazione topografica, accessibile solo ad un ristretto cerchio di operatori. Infine, lo sviluppo di tali vedute panoramiche, che può raggiungere i tre metri di lunghezza, essendo molto dispendioso, anche per l’impiego obbligatorio di sole preparazioni pellicolari, rende il ciclografo troppo impopolare, e quindi poco conosciuto e meno usato.
■ E certo tuttavia che un apparecchio di formato non troppo grande ed insieme economico, che permettesse di prendere le vedute panoramiche su pellicole di minori dimensioni, e che fosse disposto in modo da poter raccogliere sulla stessa pellicola delle negative di lunghezza variabile secondo l’importanza delle vedute, un tale apparecchio, diciamo, costituirebbe un reale progresso perché diverrebbe accessibile all’intelligenza ed alla borsa della maggior parte dei fotografi e dilettanti.
■ Ebbene, è appunto entrando in quest’ordine d’idee che il Damoizeau si decise a nuovamente studiare il problema, del quale oggi ci porge una più facile e pratica soluzione con un novello ciclografo, detto a foco fisso, che ci disponiamo a descrivere.
■ Basato sullo stesso principio del primo, a foco variabile, differisce però tanto da quello da parere un’invenzione affatto nuova: ha l’aspetto di una cassetta delle dimensioni di centimetri 15 X 15 X 6, è solidissimo, e saldo sul relativo trepiede. Nell’interno esso racchiude, non solamente gli organi necessari alla formazione delle imagini fotografiche, ma altresì un movimento d’orologeria per imprimere la necessaria rotazione ai cilindri, ed una riserva di pellicole pronte a sostituire le consumate.

■ L’uso poi non presenta alcuna difficoltà. Basta montare la cassetta sul suo piede in modo perfettamente verticale, secondo le indicazioni dell’annesso livello, scoprire l’objettivo ed abbassarlo, poiché è imperniato a bascule, montare le due armature superiori che servono a vedere ad occhio il campo abbracciato dall’objettivo, ed infine toccare l’apposita leva di manovra con che si metteranno in movimento i cilindri e la pellicola. L’apparecchio, essendo a foco fisso, non ha quindi bisogno di affocamento, e quando è in moto lo si può arrestare tanto a mano toccando la leva, quanto automaticamente.
■ La messa in moto produce l’immediata immissione della luce sulla zona sensibile, la quale scorre con una velocità che è regolata in modo da ottenere perfetta chiarezza d’imagine, mentre una lancetta esterna indica la quantità di pellicola consumata e disponibile. Il caricamento del meccanismo d’orologeria si fa girando ripetutamente la cassetta su sé stessa da sinistra a destra, sistema questo che ne lascia desiderare uno migliore. Affine poi di poter giudicare del campo visuale e stabilire i punti di movimento è d’arresto, il piede è munito di un collare mobile che permette di girare la cassetta indipendentemente dal meccanismo d’orologeria.
■ Su questo collare mobile trovasi un dente S, che, situato nella posizione voluta, determinerà l’arresto dell’apparecchio, permettendo così di ottenere senza difficoltà le vedute dell’estensione prestabilita.
■ Le figure 1, 2 e 3 presentano il ciclografo sotto tre diversi aspetti, scelti in modo da mostrarne tutti i dettagli della costruzione. Nella prima si ha l’apparecchio pronto a funzionare: l’objettivo O è situato sulla piastrina P, la quale, essendo a bascule, permette, quando sì chiude l’apparecchio per trasportarlo, di rovesciare l’objettivo in O’. Si incontra allora la piastrina P (fig. 2) e sì protegge la lente posteriore dell’objettivo, mediante un turacciolo.
■ I telarini visuali VV (fig. 1 e 3), mobili ed abbassabili pur essi (fig. 2), servono, il posteriore ad offrire una mira, e l’anteriore a mostrare il campo che sarà visibile sulla zona sensibile dell’apparecchio. In N trovasi un livello a bolla per esattamente disporre l’apparecchio; L è la leva di manovra che comanda il meccanismo d’orologeria, il quale trovasi in H, cioè nella parte inferiore della cassetta. In M è collocato un quadro indipendente che costituisce un chassis cilindrico racchiudente la pellicola fotografica situata al foco dell’objettivo.
■ Come nel primo ciclografo a fuoco variabile, anche in questo il movimento d’orologeria agisce su due cilindri H ed H (fig. 3), destinati a trascinare la pellicola, e fra i quali trovasi la fessura F per il passaggio della luce. L’apertura e la chiusura di questa fessura sono prodotte automaticamente dalla leva di manovra L.
■ La pellicola fotografica G è montata nel quadro posteriore sui due rocchetti 1 e 2, e si svolge dal primo per avvolgersi, impressionata, sul secondo. Quando l’apparecchio è chiuso, questi due rocchetti sono compressi mediante molle contro i cilindri girevoli H ed H’, per cui la pellicola, così stretta, è obbligata a seguirne il movimento. Fra i rocchetti 1 e 2 si vede un pettine a denti acutissimi X, che serve a tracciare una linea di demarcazione a piccoli fori tra le varie vedute che si vogliono prendere, e poi separare.
■ La velocità del movimento d’ orologeria è regolato a mezzo del volante PA che può ricevere delle alette di diversa superficie, secondochè si voglia lento o rapido il moto, per ragioni di illuminazione, di distanza od altro.
■ L’applicazione delle pellicole al quadro posteriore può esser fatta anche di pieno giorno, mediante una disposizione ingegnosissima, già nota ma raramente usata, eccetto che dal Marey nel suo nuovo apparecchio di fotocronografia. Tale disposizione consiste nel munire la zona pellicolare, ad entrambe le estremità, di due appendici di carta nera, permettenti, l’una di avvolgere la pellicola sul rocchetto ricevitore, e l’altra di proteggere la superficie sensibile da qualunque impressione luminosa, dopo la posa. Un semplice anello di cauciù impedisce ai rocchetti di girare prima o dopo il tempo voluto.

■ Quando si è collocato un nuovo rocchetto, si rimette a posto il quadro posteriore, sì gira l’objettivo, sì apre la fessura, e si fa ruotare l’apparecchio in modo da svolgere l’appendice cartacea finché non si scorga attraverso alla predetta fessura la zona sensibile. Allora si rimette a posto l’objettivo, si pone a zero la lancetta del contatore, si carica il movimento girando la cassetta, e così l’istrumento è pronto.
■ Ogni rocchetto può contenere 2 metri di zona sensibile, e siccome l’apparecchio ne sviluppa 80 centimetri per ogni giro, cioè per tutto un orizzonte, ne viene che tale lunghezza è sufficiente per due panorami completi e più ancora. L’autore però raccomanda di utilizzare i 40 centimetri che crescono per fare delle negative di prova delle parti più delicate del panorama e ciò per formarsi un’ idea della velocità necessaria quando si volesse rilevare il panorama completo.
■ Ciò che rende importante ed utilissimo questo nuovo ciclografo è il gran numero di negative che permette di ottenere, mercé la lunghissima zona sensibile. E non una sola, ma parecchie, il Damoizeau è riuscito ad imprigionarne, per mezzo d’un sistema di rocchetti felicemente combinato, di guisa che l’istrumento può essere fornito in una sol volta di zone per 30 panorami, oppure 300 vedute 8 X 9, ecc.
■ Nel modello da noi descritto l’altezza della pellicola è di 9 centimetri, che resta perciò invariabile per tutte le vedute, mentre la lunghezza può variare fino ad 80 centimetri. Nessun apparecchio fin qui conosciuto permette di prendere tante o sì lunghe negative, pur avendo un sì piccolo volume!
■ La figura 2 mostra la disposizione dei rocchetti di riserva B, B, in numero di cinque per ciascun lato della cassetta, coi quali si comunica mediante lo sportello A. Le due file di rocchetti hanno fra esse un interstizio di un centimetro, spazio sufficiente per il passaggio della luce che deve colpire la zona sensibile del fondo.
■ Questa rapida descrizione del ciclografo a fuoco fisso di Damoizeau, dimostra che la nuova conquista dell’arte fotografica è d’una importanza grandissima, d’una utilità e praticità senza pari, specialmente per i viaggiatori, topografi, touristes, ecc.
■ Le figure 4, 5 e 6 rappresentano una veduta panoramica — rilevata dallo stesso Damoizeau, dall’alto del castello di Murolles, in Alvernia — veduta che qui si dovette, per necessità, spezzare in tre parti, di cui la prima e terza sono le estreme. La bontà di questa prova ci dispensa dal soggiungere altre parole sul merito dell’invenzione.”