Censura (1916)

di Francesco Contini.
Da Rivista Enciclopedica Contemporanea, dispensa di febbraio, 1916.

“La censura ebbe nella società greco-romana una funzione amministrativa: era una specie di magistratura, chiamata giustamente «la guardiana delle leggi e dei costumi». Ì censori avevano l’incarico di correggere gli abusi, che la legge non aveva potuto prevenire, e gli errori, che i magistrati ordinari non avevano potuto impedire. Poi l’istituto si corruppe: si condannarono gli uomini per le loro virtù ed opinioni.
Col diffondersi dell’arte della stampa, la censura diviene una specie di polizia misteriosa, che agisce contro le opere dello spirito e le libere manifestazioni della coscienza. Essa diviene per un certo tempo altresì un’arma terribile del potere ecclesiastico, per ostacolare lo sviluppo della scienza e della coscienza.
Ben presto le nazioni più liberali comprendono, che non si possono comprimere le libere manifestazioni del pensiero, senza creare un grave ostacolo al progresso della civiltà. L’Inghilterra è l’antesignana di questo movimento liberale. In sul principio, ogni opera stampata in Inghilterra era sottoposta alla censura preventiva, esercitata dall’arcivescovo di Canterbury e dal vescovo di Londra. Nel 1685 fu promulgato da Giacomo II il Licesing Act, o atto di censura, mediante il quale questa ritornò in vigore per la durata di 7 anni, dopo i quali fu rinnovata per un altro anno ancora, per cessare definitivamente nel 1694. Nel 1695 un bill di censura della Camera dei Lords fu respinto dalla Camera dei Comuni.
D’allora in poi si riconobbe in Inghilterra ai giornali il diritto di censurare gli atti del governo, perché tutti son convinti, che ciò è voluto dalla suprema necessità del bene pubblico. I processi ai giornali per libels contro il governo sono divenuti assai rari. La giurisprudenza odierna ha ritenuto, che ogni critica è lecita anche se in termini vivaci ed aspri, purché non sia diretta ad attirare l’odio e il disprezzo sul governo od a suscitare contro di esso il malcontento popolare o a disturbare la pubblica pace. Anzi il governo neppure si cura ordinariamente dei più violenti e sleali attacchi: esso ha compreso che il modo più efficace per combattere la stampa senza scrupoli non è già quello di ricorrere ai tribunali, perché riesce assai facile in tali casi all’accusato di atteggiarsi a perseguitato e a vittima della prepotenza governativa e di acquistarsi così la simpatia popolare, che non manca quasi mai al privato in lotta col governo, ma quello bensì di disprezzarla e di lasciare che la pubblica opinione ne faccia giustizia.
In Francia la sorte della censura è legata a quella delle vicende politiche. Nel 1789 l’Assemblea Costituente formulò il grande principio: «La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo: ogni cittadino può parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di tale libertà nei casi previsti dalla legge». Così al sistema preventivo subentrò il sistema repressivo. La dichiarazione della Costituente fu poi confermata nella costituzione del 1791: «La costituzione garantisce come un diritto naturale e civile la libertà ad ogni uomo di parlare, di scrivere, di stampare, di pubblicare il suo pensiero, senza che gli scritti possano essere sommessi ad alcuna censura od ispezione prima della loro pubblicazione».
Il colpo di Stato del 18 fruttidoro (5 settembre 1797) sospese la libertà di stampa, ed una deliberazione del Consiglio dei 500 ristabilì la censura. Nel periodo napoleonico essa ebbe massimo vigore, e fu anzi disciplinata con un decreto del 5 febbraio 1810, che creava un direttore generale della libreria, esercitante la censura preventiva. La Restaurazione la mantenne. Sospesa dapprima da Carlo X, venne nuovamente ristabilita, finché la Carta del 1830 (art. 7) determinò, che la censura non sarebbe mai stata ristabilita. Il Secondo Impero invece la ristabilì, finché la rivoluzione del 1870 di nuovo l’abolì definitivamente.
In Italia sin dal 1848, con la pubblicazione dello Statuto albertino, la censura fu di fatto abolita, e mantenuta solo per le opere teatrali. Lo Statuto italiano seguì nelle tradizioni liberali lo Statuto albertino.
Si può dire che la libertà di stampa e l’abolizione della censura preventiva sieno state proclamate in tutte le nazioni di Europa. Fa eccezione solo la Russia, in cui vige la legge del 6 aprile 1865, la quale dispone che nessun giornale possa essere pubblicato senza la preventiva autorizzazione dell’autorità competente: il ministro poi, deliberando sulla domanda di autorizzazione, decide, se il giornale sarà sottoposto o no alla censura preventiva.
È evidente, che, proclamata la libertà della stampa, qualsiasi misura preventiva, che tenda ad impedirne il libero esercizio, ne costituisce un’aperta violazione. La stampa non è libera se non quando può, senza alcuno ostacolo preventivo, manifestare il pensiero dell’autore, lecito o delittuoso che sia. Se il nostro Statuto ha detto, che la stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi, si comprende bene, che questa legge non possa intervenire, se non quando l’abuso abbia già avuto luogo.
Naturalmente un tale regime di libertà non è consentito da un regime di guerra, di fronte al pericolo comune che minaccia le stesse libertà politiche e la stessa sovranità nazionale. Perciò anche le nazioni più liberali non hanno esitato a limitare la libertà di stampa, come tutte le altre libertà, vigenti nel regime normale di pace.
Il regime di guerra ha quindi veduto affievolirsi il controllo dell’opinione pubblica e del parlamento, che sono in un regime costituzionale le due grandi forze frenatrici degli abusi, per aumentare invece i poteri del governo, che assume la direttiva suprema delle pubbliche attività e libertà. Così le libertà di carattere politico (libertà di parola, di riunione, di stampa) si debbono esercitare sotto lo stretto controllo del governo.
Naturalmente l’applicazione più o meno severa di queste misure di controllo è a discrezione del governo; tutto dipende dal maggiore o minore spirito liberale, che lo muove, ed anche dalle necessità politiche e militari, derivanti dallo stato di guerra; tutto dipende dall’uso o dall’abuso dei pieni poteri concessi al potere esecutivo.
Quando nella recente discussione parlamentare furono notati gli abusi della censura in Italia, fu a buon diritto osservato, che ben più gravi erano state le restrizioni alla libertà, apportate in altri paesi. Infatti in Francia, i giornali non sono più padroni del loro modo di pubblicazione, non possono pubblicare più di una edizione nelle 24 ore, né mettere grandi titoli in rilievo, né farne gridare la vendita sulle vie: è necessaria l’autorizzazione amministrativa preventiva per la pubblicazione di ogni scritto, cioè il visto della censura. Nessun articolo, sia di dottrina sia di informazione, può essere pubblicato senza l’approvazione della censura, e questa può sopprimerlo pei motivi più svariati: l’articolo, per essere permesso, deve essere circospetto sulle operazioni militari, per non intralciare l’opera dell’alto comando; moderato nelle opinioni, per non turbare l’unione sacra dei cittadini ;sobrio negli apprezzamenti sugli atti del governo, per non indebolirne l’autorità. Fu persino proibita l’introduzione in Francia del giornale inglese il Times, proibita la pubblicazione dei comunicati inglesi ufficiali, proibita al Temps la pubblicazione del bollettino meteorologico, pel motivo che il nemico ha interesse di sapere se l’indomani fa bel tempo o cattivo tempo, se il tempo è umido o secco.
Tale regime preventivo non è regolato dalla legge: quindi l’interdizione di pubblicare un articolo, che non sia stato preventivamente sottoposto alla censura, non è sanzionata da alcuna pena propriamente detta, che colpisca il giornalista nella sua persona o nei suoi beni. Il regime amministrativo è sanzionato, in massima, da misure puramente amministrative. V’è anzitutto il sequestro degli esemplari contenenti un articolo non sottoposto alla censura, e di cui la pubblicazione è giudicata inopportuna: tale avventura toccò al giornale «L’homme libre», che, stimando tale titolo in contraddizione colla realtà del regime, lo trasformò in quello «L’homme enchaîné».
La censura ha istituito poi gli avvertimenti: per una prima infrazione leggiera, l’amministrazione avverte il giornale, lo biasima: un grande giornale del mattino ricevette in tal guisa un biasimo per un articolo scritto da un senatore, che aveva messo in discussione il valore militare dei soldati provenienti da certe regioni. Infine se le pene morali sono impotenti a impedire le recidive, l’autorità può, come ha fatto spesso, colpire il giornale con una sospensione, di cui fissa a suo arbitrio la durata.
In tal modo il governo ha potuto paralizzare, in parte, il controllo della stampa. Nello stesso tempo il controllo parlamentare si è esercitato debolmente e con una grande discrezione: occorreva evitare tutto ciò che potesse compromettere l’unità nazionale, l’autorità del governo, la fiducia del paese, e soprattutto la disciplina militare. Il controllo parlamentare doveva essere una collaborazione. Alle critiche, sollevate nel parlamento contro la censura e le altre restrizioni della libertà, il Briand rispose, sostenendo la tesi, che, quando erano in gioco le supreme libertà politiche del paese ben potevano ad esse sacrificarsi le altre libertà minori, individuali o collettive, che di quelle sono un corollario.
In Inghilterra, ove secolare è il regime della libertà, le restrizioni furono minori, e la censura fu meno severa. Ciò peraltro dipende soprattutto dalla stessa posizione geografica dell’Inghilterra, che la immunizza da ogni invasione nemica, e che le evita una guerra in casa propria. Tutto ciò peraltro non ha impedito la sospensione di uno dei più vecchi ed autorevoli giornali.
In Italia, bisogna dirlo, il governo usò con molta prudenza e moderazione dei suoi poteri discrezionali. La censura, pur avendo suscitato molte lagnanze e proteste, non è mai arrivata ad adottare quelle misure estreme, che sono sì frequenti in altri paesi, e ciò ben si comprende, se sì osservi che ben minori sono i pericoli che ci sovrastano, una volta che abbiamo portato con ardita offensiva la guerra sul territorio nemico.
Quando la censura è ispirata dall’alto intendimento del bene nazionale ed esercita il suo ufficio, senza criteri partigiani e con uniformità di intenti, è pienamente compatibile col regime eccezionale di guerra. Gli inconvenienti più gravi che essa ingenera derivano dal fatto che essa è affidata all’apprezzamento subiettivo di funzionari diversi, i quali adottano criteri diversi secondo l’opportunità del momento politico, ed anche secondo lo spirito pubblico delle varie regioni. Da ciò anche la difficoltà di poter sottoporre la censura ad una qualsiasi disciplina giuridica, che ne restringa l’azione in determinati e razionali confini.
Quel che più premerebbe alla garanzia di quelle libertà, consentite dalle pubbliche necessità, sarebbe l’esigenza di determinare obbiettivamente, quali sieno gli argomenti o gli apprezzamenti suscettibili di censura. Sotto questo riguardo gli oggetti suscettibili di censura ci sembrano raggruppabili in tre categorie: 1° le notizie riferentisi alle operazioni militari, compiute o in via di preparazione: per tale gruppo non v’ha dubbio, che il governo debba esercitare un severo controllo, per impedire che esse possano servire di utile informazione al nemico; ma tale controllo non deve esagerarsi al punto da nascondere al pubblico la verità, in caso di insuccesso, poiché in tal caso si avrebbero conseguenze ben più gravi: sì renderebbe l’opinione pubblica assai diffidente per ogni comunicato del governo, e ne conseguirebbe quella sfiducia e quello sconforto generale, che preparano ad un paese giorni ben tristi.
2° le notizie e gli apprezzamenti di fatti d’indole politica ed economica che possono diminuire l’entusiasmo bellico, e seminare lo scetticismo, lo scoraggiamento. Anche in tal campo il governo ha il diritto di vigilare, poiché mentre l’ottimismo è il miglior coefficiente delle sublimi audacie e delle generose azioni, il pessimismo, lo scetticismo, la critica ne sono le peggiori nemiche, e possono esercitare una deleteria influenza quando assumono un carattere collettivo. Ciò però non vuol dire, che il governo debba cullare l’opinione pubblica in un esagerato ottimismo: sarebbe ciò un pericolo in senso inverso, che potrebbe suscitare amare delusioni, alla constatazione della realtà, e provocare vivaci reazioni. Il miglior sistema è di attenersi al giusto mezzo, che è quello cella verità , senza soverchie jattanze e senza allarmi ingiustificati.
3° infine le notizie e gli apprezzamenti di natura politica, riguardanti gli atti del governo o le contese di partito, che possano turbare l’armonia e la concordia nazionale. Questo è il campo, che più si presta agli arbitrii ed alle rimostranze. Ed è qui che si rivela tutta la prudenza e la saggezza di un governo illuminato, poiché se esso può e deve eliminare dalla pubblicità quelle vedute esagerate e pessimiste, che possano turbare lo spirito pubblico e spezzare la concordia dei cittadini, non può e non deve condannare al silenzio quelle critiche e quegli apprezzamenti sui fatti politici, che possano correggere errori, prevedere pericoli, indicare la giusta strada.
D’altra parte, anche e specialmente nei più difficili momenti, è sempre utile all’uomo di Stato ascoltare la pubblica opinione, e trarre da essa l’orientamento della sua condotta. Anche su tal riguardo la verità non deve dispiacere, e occorre che essa si faccia larga strada.
Quando la censura possa seguire tali criteri in ordine alle tre categorie di oggetti, su cui essa esercita la sua funzione, allora essa consegue il duplice intento: di rispettare le maggiori libertà costituzionali, nella misura consentita dalle necessità sociali, e di provvedere ad un tempo alla tutela del pubblico bene, senza peraltro suscitare quelle rimostranze e quelle proteste, che sono del pari nocive alla auspicata concordia.”