All posts by shadowmoon

L’esplorazione marina alla portata di tutti

Così terrestre ma al contempo così alieno ai nostri occhi, l’ecosistema marino del nostro pianeta, con la sua flora e la sua fauna bizzarra e meravigliosa, è un universo in miniatura ancora in gran parte inesplorato, un laboratorio di biologia dove la natura compie i suoi esperimenti creando, combinando, modificando organismi in infiniti modi.

Helicocranchia, o calamaro porcellino. I tentacoli all’insù e il contorno degli occhi lo fanno sembrare un curioso personaggio appena passato in sala trucco.
© Nautilus.org

L’esplorazione di questo mondo, parallelo a quello di noi esseri che calpestiamo le terre emerse, è quanto di più simile ci sia nell’esplorazione di mondi lontani in qualche galassia distante anni luce. E il canale Youtube dell’Ocean Exploration Trust e del suo Nautilus Exploration Program ci consente di poter seguire le sue attività e partecipare in tempo reale a questa esplorazione, mettendoci a disposizione canali dal vivo e un enorme archivio di video informativi e di passate sessioni esplorative.

Uno splendido esemplare di medusa Halitrephes maasi.
© Nautilus.org

L’OET nasce nel 2007 come istituzione non profit per supportare l’Ocean Exploration Program americano, che si occupa di esplorazioni oceaniche contando su fondi sia pubblici che privati.
Il fondatore di quest’istituzione è quel dottor Robert Ballard che può annoverare tra le sue molte scoperte sottomarine quelle del relitto del Titanic e della corazzata tedesca Bismarck. Pioniere nello sviluppo di veicoli sottomarini per esplorare il mare più profondo, nonostante le sopracitate storiche scoperte estremamente famose, considera come le sue più importanti le scoperte delle sorgenti idrotermali nella fossa delle Galapagos e lungo la dorsale del Pacifico orientale, con la loro esotica fauna che si nutre dell’energia della Terra tramite un processo chiamato chemiosintesi.
[Per una scheda più dettagliata sulla illustre figura di Robert Ballard: https://nautiluslive.org/about/founder]

Per una corretta definizione del progetto e del fondo che lo ha realizzato traduciamo la descrizione presente sul sito:

“L’Ocean Exploration Trust (OET) e il Nautilus Exploration Program hanno come obiettivo l’esplorazione dell’oceano, alla ricerca di nuove scoperte nei campi della geologia, della biologia, della storia marittima, dell’archeologia e della chimica espandendo nel contempo i confini dell’insegnamento, della sensibilizzazione e dell’innovazione tecnologica. Le nostre spedizioni si concentrano sull’esplorazione scientifica del fondale marino, collaborando con la più ampia comunità scientifica per identificare la priorità delle regioni e dei fenomeni, per condividere le nostre spedizioni con gli esploratori in tutto il mondo attraverso una presenza telematica.
Le spedizioni vengono avviate a bordo dell’
Exploration Vessel (E/V) Nautilus, una imbarcazione di ricerca di 68 metri equipaggiata con veicoli controllati a distanza (ROV), e da altre imbarcazioni appartenenti all’OET per dispiegare il nostro sistema mobile ROV.

Il Nautilus. Piattaforma operativa da cui partono tutte le esplorazioni del progetto.
© Nautilus.org

Durante le nostre spedizioni, offriamo a scienziati, insegnanti, studenti, e al pubblico globale un’esperienza esplorativa da remoto tramite video, audio e dati presi sul campo, e allo stesso tempo interazioni “da nave a riva” dirette a classi scolastiche e centri scientifici. Includiamo insegnanti e studenti nelle spedizioni dell’ E/V Nautilus, che possono ottenere esperienza pratica nell’esplorazione oceanica e che possono dimostrarsi come modelli di insegnamento per la prossima generazione [nel testo originale: “STEM role models”, STEM è un acronimo che sta per “science, technology, engineering and math”, scienza, tecnologia, ingegneria e matematica. N.d.T.]. NautilusLive.org offre un’esperienza immersiva tutto l’anno agli esploratori per imparare di più sulle nostre spedizioni, trovare materiale per l’insegnamento, e meravigliarsi di fronte alle nuove scoperte.”

Qui i link alla pagina del progetto e al canale Youtube relativo:
https://nautiluslive.org/
https://www.youtube.com/c/EVNautilus

Un paffuto Chaunacops che sembra uscito dalla mente di un bambino.
© Nautilus.org

La possibilità di seguire in tempo reale e di partecipare alle scoperte insieme al team a bordo del Nautilus è un’occasione imperdibile, soprattutto grazie alla competenza e all’entusiasmo dell’equipe scientifica con la quale è anche possibile interagire inviando domande dal portale web.

Un Solumbellula monocephalus, avvistato per la prima volta nel Pacifico proprio durante un’esplorazione del Nautilus.
© Nautilus.org

Moltissimi sono i video esplorabili nell’archivio, dei quali si può solo fare un rapido accenno ad alcuni esseri viventi incredibili e meravigliosi che si sono incontrati nel corso delle varie sessioni esplorative, tra meduse, stelle marine, polpi, crostacei, pesci, anemoni e molto altro, senza contare le formazioni rocciose e relitti sommersi.

Un Opisthotheutis californiana, o polpo dumbo, di un bellissimo colore giallo.
© Nautilus.org

Non attendete oltre, perdetevi anche voi seguendo questo canale, attratti dalla grandiosità del progetto e dall’entusiasmo degli studiosi, magari facendovi prendere dalla voglia di approfondire e di studiare la bilogia marina e non solo, oppure di supportare concretamente il progetto Nautilus con una donazione.

Durante alcune esplorazioni si sono potuti ammirare gli incredibili mutamenti di forma delle meduse Deepstaria, con la loro enorme campana semitrasparente e delicata attraversata dalla rete di canali che porta il nutrimento sul suo sottile corpo.
© Nautilus.org

La raffinazione dello zucchero in Francia nel 1864

da LE MONDE ILLUSTRÉ, Journal hebdomadaire N° 380 del 23 luglio 1864

Una visita alle raffinerie di zucchero del sig. Cézard, presso Nantes.

Coloro che si interessano, secondo diversi punti di vista, dell’importante questione del commercio, della fabbricazione e della raffinazione degli zuccheri, leggeranno, con interesse, noi speriamo, alcune informazioni su uno degli stabilimenti francesi che tratta questa preziosa derrata sulla più vasta scala. Le persone, e sono numerose, che consumano lo zucchero senza essere informati su come venga prodotto nelle fabbriche, troveranno in questa nostra guida un insegnamento che non dovrebbero disdegnare.
Le raffinerie che siamo andati a visitare, appartenevano al sig. Cézard, il quale si dice, si sia deciso a cederle a una potente società per azioni. Tutti gli uomini competenti sanno che, sotto la direzione del loro antico proprietario, queste officine hanno ottenuto il più alto grado di perfezione come installazione e come organizzazione del lavoro.

GRANDI INDUSTRIE FRANCESI. – Vista esterna e reparto principale della raffineria dei Récollets, di proprietà del sig. Cézard, presso Nantes.

Non c’è una sostanza alimentare più diffusa universalmente dello zucchero. Non tutti i popoli conoscono il pane e ci sono pochi paesi dove lo zucchero non rientri nell’alimentazione con una cifra bella tonda. Sotto il regno di Enrico IV, duecentosessanta anni fa, lo zucchero era così raro in Francia, che veniva venduto all’oncia presso le farmacie; più o meno come al giorno d’oggi noi compriamo la china. Nel 1700, il consumo totale in Francia non superava il milione di chilogrammi. L’apprezzamento per questo dolcificante crebbe talmente tanto durante il XVIII secolo, che nel 1789, 23 milioni di chilogrammi furono consumati. Le guerre della rivoluzione, il sistema continentale e i dazi esorbitanti posti da Napoleone I° allo zucchero esotico, ridussero di molto il consumo. Quando più tardi il paese aveva restituito una grande attività al commercio delle colonie, si è avuto, in seguito alla riduzione dei dazi e al benessere divenuto più generale, un grande incremento nella vendita dello zucchero. Ai giorni nostri, la diminuzione del prezzo ha influito sul consumo che ha grandemente contribuito ad aumentare. Nonostante il rapido aumento in Francia, siamo ancora al di sotto degli Stati Uniti e dell’Inghilterra dove la cifra di questo consumo, per individuo, è ancora doppia rispetto a quella francese. L’impego di zucchero in Francia nel 1864 non si valuta in meno di centinaia di milioni di chilogrammi. Quale immenso progresso in mezzo secolo!
La grande fabbrica del sig. Cézard conosciuta con il nome di fabbrica Launay, fonde, essa soltanto da 80 a 90.000 chilogrammi di zucchero al giorno.
La seconda fabbrica detta dei Récollets, tratta ogni gorno da 35 a 40.000 chilogrammi. Questo assicura ogni anno, tra le due fabbriche insieme, circa 36 milioni di chilogrammi, una grandissima parte, come si può vedere, dell’attuale consumo francese.

GRANDI INDUSTRIE FRANCESI. – Reparti principali della raffineria di zucchero di Launay, di proprietà del sig. Cézard, presso Nantes.

La fabbrica Launay, nella quale siamo andati a studiare il lavoro di raffinazione, ha i propri edifici costruiti su una superficie di ventimila metri quadri. Le costruzioni erette monumentalmente dominano su vasti cortili.
Le comunicazioni avvengono su larghe strade e abbastanza comode dove possono circolare e girarsi i lunghi barrocci e i pesanti carri; i primi, carichi di botti della Martinica; gli altri, piegati sotto il peso dei sacchi di giunco intrecciato dell’Avana, o i sacchi di cotone dell’isola di Cuba.
Durante tutto il giorno, i portoni aperti lasciano entrare l’ininterrotta fila di questi veicoli, che forse sostituiranno in breve tempo i vagoni della linea di Orléans, quando una ramo speciale verrà a servire la fabbrica.
Numerosi operai sfondano le botti, sventrano i sacchi e ci mostrano gli zuccheri diversamente colorati, a seconda della loro qualità e della loro provenienza. È presso le caldaie per la fusione che comincia la serie dei trattamenti ai quali lo zucchero va sottoposto. Attraverso un’atmosfera carica di vapore alla quale gli occhi fanno fatica ad abituarsi, proviamo a renderci conto di questa prima operazione. Lo zucchero viene gettato nelle caldaie contenenti dell’acqua resa bollente dal vapore di un bollitore posizionato sul fondo della vasca. Un operaio con un mouveron [spatola da raffineria] agita la massa pastosa. Questo liquido non ha niente di attraente a vedersi. É nero, ribollente e colloso; mille impurità fluttuano sulla sua superficie. Si fa fatica a immaginarsi che un giorno zucchererà il nostro caffè. Ma, pazienza! ecco che viene gettata nella caldaia dell’acqua di calce e del nero animale fino. Quando il nero viene diluito e l’ebollizione inizia, viene aggiunto del sangue di bue diluito con acqua. L’albumina del sangue si coagula al calore e trattiene il nero fino e molte sostanze estranee che impedirebbero la chiarificazione.

Ecco la seconda fase della raffinazione. Le caldaie per la chiarificazione dello zucchero sono situate ai piani superiori. Si fa passare lo zucchero fuso in miscelatori, nei quali viene introdotta una pressione di vapore. Nei chiarificatori, si lascia montare più volte il liquido fino all’ebollizione. Esso diviene via via più limpido sotto l’azione degli agenti che vi vengono mescolati. Alla sua uscita da lì, il liquido prende il nome di chiara. Questa chiara cola su una prima serie di filtri a tasca di rete che trattengono il nero fino mescolato con lo zucchero. Una seconda serie di filtri verticali contenenti, in altezza, diversi metri di nero animale in grani, ricevono la chiara all’uscita dai primi, e completano la sua chiarificazione. Il nero perde dopo un po’ di tempo il suo potere decolorante. Si deve quindi rivivificare, calcificandolo in alcuni forni. Per fare ciò, si lava il nero con acqua calda per liberarlo dai suoi elementi zuccherini. Queste acque di lavaggio dei filtri, zuccherati a un certo livello, vengono impiegati per la fusione degli zuccheri greggi.
Presso il sig. Cézard, alcuni reparti appropriati sono utilizzati per la rivivificazione del nero animale. Questo è un vantaggio che non hanno la maggior parte delle raffinerie di Francia, le quali sono costrette a inviare, con costi elevati, i loro neri per essere trattati in fabbriche specializzate.

Seguiamo ora la chiara limpida e decolorata fino alla sala delle caldaie da cottura. Questa parte della raffinazione è la più importante. L’apparato per la cottura è considerata come l’organo principale di una raffineria. Ne abbiamo contate diverse nella fabbrica di Launay, tutte installate secondo i procedimenti più moderni e mantenute in modo ammirevole. Gli addetti alla cottura sono generalmente gli uomini tra i più esperti nelle fabbriche di zucchero. Essi sopportano una grande responsabilità. L’operazione ch’essi dirigono è un’opera molto apprezzata, esige un’abitudine che non si acquisisce se non dopo un lunghissimo esercizio. I ruoli degli addetti alla cottura sono i più retribuiti nelle raffinerie.
L’apparato per cuocere nel vuoto appare come una grande pentola, leggermente bombata alla sua base, cilindrica nel mezzo e semisferica nella sua parte superiore. Sul fondo, al suo interno, è posta una serpentina a vapore. La calotta è sormontata da un corno dove una estremità è in comunicazione con una potente pompa pneumatica che crea il vuoto nel recipiente. Indotto questo vuoto, la chiara uscendo dai filtri, viene attirata fino a un certo livello. Una volta introdotto iil capore nella serpentina, la chiara viene riscaldata, e grazie al vuoto, l’evaporazione che ha luogo ha una temperatura abbastanza bassa. La pompa tira a sè i residui dell’evaporazione che sono condensati da un getto d’acqua fredda, al loro passaggio in un cilindro verticale adiacente all’apparato. Le molecole della chiara si rapprendono. Essa si addensa; e i cristalli cominciano a formarsi. L’addetto alla cottura segue l’operazione in tutte le sue fasi con un termometro, un manometro, finestrelle di cristallo, che permettono all’occhio di penetrare all’interno. Uno strumento chiamato bacchetta di prova, serve a prendere una piccola quantità di zucchero senza disturbare il vuoto del recipiente. È dunque con le dita, che si abituano a questa manovra un po’ scottante, che l’addetto alla cottura giudica il grado di tenacità e di cristallizzazione del contenuto. Se giudica terminata la cottura, opera, in contemporanea a un rubinetto di comunicazione con l’atmosfera, il rubinetto inferiore del recipiente, che si svuota in una vasca a doppio fondo chiamata riscaldatore.

Da una temperatura di 55 gradi che lo zucchero non supera mai durante il riscaldamento, viene fatto salire a 80 gradi tramite del vapore introdotto nel doppio fondo. Degli operai agitano lo sciroppo con le loro grandi spatole, facendogli perdere, sotto forma di vapore, l’acqua in eccesso che contiene ancora e gli conferiscono una consistenza più bella è più densa.
L’esercito di riempitori o di portatori di bacini circondano dunque il riscaldatore. Questi uomini mezzi nudi, che è curioso vedere incrociarsi senza scontrarsi mai, fanno un lavoro molto duro, che richiede tanto forza quanto abilità. Caricati di un fardello assai pesante, un bacino pieno di liquido bollente, percorrono senza sosta l’assai lunga distanza da un riscaldatore alla sala del riempimento, dove vengono a versare, senza perderne una goccia, il contenuto del loro bacini nelle forme a pane.
I riempimenti si fanno in vaste sale riscaldate e lastricate orizzontalmente. Degli operai chiamati piantatori allineano le forme in lunghe file. Queste forme coniche in lamiera smaltata internamente sono dotati sulla loro punta di un buco di cui diremo l’utilità. Questo buco è, durante il riempimento, coperto con un tappo.
Nonostante il numero di operazioni che ha subito, lo zucchero contiene ancora una porzione di melassa che andrà rimossa. È nelle soffitte che che si fa questo lavoro. Le soffitte della fabbrica di Launay sono immense. Ce ne sono diversi piani. Intorno ai cento mila pani di zucchero sono allineati su pannelli perforati, per ricevere la testa delle forme stappate] alla loro uscita dal riempimento. Al disotto di questi pannelli, dei canali sono disposti per trasportare gli sciroppi provenienti dallo sgocciolamento dei pani. Questi sciroppi vengono raccolti con cura e ritornano per la maggior parte alla fusione. Per sbiancare il pane di zucchero, si fa filtrare, attraverso la sua massa, uno sciroppo di zucchero ben bianco che non ne dissolve i cristalli, ma che trattiene lo sciroppo colorato trattenuto nei pori del pane.

I sciroppi bianchi o chiare, destinati a quest’uso, si ottenevano un tempo dissolvendo lo zucchero bianco raffinato nell’acqua. Ci sono oggi ingegnose macchine chiamate trottole o centrifughe che soddisfano questo scopo. Il nostro disegno grande, preso da noi dal vivo, nella grande fabbrica del sig. Cézard, rappresenta al suo primo pirano un certo numero di questi apparecchi. Questi strumenti fanno seicento giri al minuto. Vengono riempiti di zucchero impregnato di melassa. Questo viene spinto dalla forza centrifuga attraverso la rete metallica che avvolge il tamburo; viene versato dunque all’interno della chiara limpida che, venendo essa stessa spinta attraverso la massa di zucchero, trattiene con essa le ultime sostanze coloranti. Per completare la descrizione dell’immenso materiale contenuto nelle due fabbriche di Launay et dei Récollets, menzoniamo anche le sucettes. Queste macchine sono pneumatiche. Creano il vuoto nelle tubature comunicanti con gli apparecchi posizionati nelle soffitte. Questi sono dei cilindri installati orizzontalmente, sui quali sono praticate delle aperture che formano delle coppe, ripiene di guttaperca, dove si vanno ad applicare ad ogni loro giro, dalla testa della forma, tutti i pani in trattamento. Lo sciroppo che non ha potuto colare naturalmente dal pane, viene quindi aspirato fino all’ultima goccia dalla potente macchina. Finalmente il pane viene sciolto, cioè liberato della sua forma. Viene portato in forni per eliminare l’ultima umidità. Pochi giorni dopo, viene consegnato al consumatore.

Lo sciroppo nero e grasso che ci spaventava all’inizio, quelle emanazioni fetide che ci facevano esitare dall’avventurarci più all’interno nel dedalo dell’immensa fabbrica, tutto è subito dimenticato. Lo scuro è raffinato e per la sua bianchezza, per la sua brillantezza cristallina, rivaleggia con la stessa neve.
Abbiamo passato sotto silenzio alcune operazioni accessorie che non avrebbero fatto altro che deviare il nostro racconto. Saremo soddisfatti se i nostri lettori si trovassero subito edotti su ciò che chiamiamo la raffinazione dello zucchero. Non ci dimentichiamo di dire che il sig. Cézard possiede, tanto per i suoi motori, quanto per il riscaldamento dei suoi apparati, delle sue soffitte e dei suoi forni, dei generatori che formano assieme una potenza di trecento cavalli vapore. Diverse centinaia di operai sono impegati nei due stabilimenti. Dei supervisori esperti, una direzione saggia fanno di queste fabbriche l’insieme più completo. Il sig. Cézard al quale l’industria è debitrice di molti progressi è già da molto tempo cavaliere della Legione d’onore.

Nonostante le numerose e complicate operazioni che abbiamo qui descritto, sebbene sia necessario immobilizzare milioni per costruire e mantenere queste belle fabbriche che portano gloria a una nazione, non rimpiangiamo alcun sacrificio dinanzi agli splendidi risultati che queste gigantesche imprese donano ai loro audaci capi. Il sig. Cézard ha fatto molto bene. Le sue fabbriche prospereranno ancora e saranno un domani un’incessante fonte di fortuna. Questo non impedisce, e questo serve a consolare il consumatore, che il più bel zucchero raffinato oggi non costa più del 20% in più rispetto allo zucchero greggio. Questa differenza di prezzo si attestava al 40%, cinquant’anni fa. Non è questo forse il più grande onore attribuibile all’industria moderna?

ÉMILE BOURDELIN.

Identità e memoria in un dramma del XX secolo

“Mi chiamo Ingrid von Oelhafen. Non so nulla.” Queste furono le parole di Ingrid von Oelhafen, nata Erika Matko, autrice del libro “Hitler’s forgotten children“, prima di scoppiare in un pianto che sapeva di ineluttabile impotenza al primo incontro con altri adulti, che nella loro vita erano passati per la tragica liturgia del progetto Lebensborn.
La follia della germanizzazione di bambini rapiti perchè in possesso di tratti fisici entro ottimali parametri, la follia di generare bambini in centri che erano un allevamento di vite e al contempo un mattatoio delle personalità, frutto di un delirio che stuzzicava il mondo della prima metà del XX secolo.
Eugenetica, tratti razziali, pseudoscienze, magia, occultismo, retorica politica, contagiarono governi ed economie nella speranza di rendere l’umanità “migliore”, producendo delle “idee-mostro” le cui urla agghiaccianti avrebbero avuto un’eco che perdura, purtroppo, ancora oggi.

La storia umana è tristemente costellata da delirii scientifici, tecnologici o culturali che fanno riflettere sulla natura dell’umanità stessa. Da uno di questi nacque il progetto Lebensborn (Sorgente di Vita), un’organizzazione che secondo gli intenti del suo artefice, il reichsführer Heinrich Himmler, avrebbe dovuto creare una stirpe ariana superiore che potesse governare il millenario Reich della visione hitleriana.

Il logo del progetto Lebensborn.

Quante cose diamo per scontato nella nostra vita, nel nostro breve passaggio cosciente nell’universo. Siamo mescolati in mezzo a miliardi di nostri simili che per quanto vicini o lontani, sono, in profondità, uguali, biologicamente, incastonati in modo più o meno complesso in società di vario genere, e ormai per gran parte non ci rendiamo praticamente conto dell’unicità di ognuno di noi. Si, sappiamo quanto possiamo pensare diversamente, o agire diversamente, come ci vestiamo, che cibo ci piace, quali film preferiamo vedere, con chi ci piace stare… Ma tutti danno per scontato, per quanto conformisti o stravaganti ed eccentrici, di avere in comune qualcosa di imprescindibile, di possedere quella caratteristica chiamata “identità”.
E non ci rendiamo conto per quanti individui la ricerca di questo scontato tratto umano sia diventata una ragione di vita, una benedizione o una condanna.

Ma procediamo con ordine:
Nel 1931 Himmler creò l’Ufficio centrale della razza e del reinsediamento (Rasse-und-Siedlungshauptamt-SS, o RuSHA), il cui obiettivo era la salvaguardia della “purezza razziale” delle SS. Uno dei suoi compiti era quello di sovrintendere ai matrimoni dei membri delle SS: per ordine personale di Himmler, il RuSHA rilasciava i permessi di matrimonio soltanto dopo aver vagliato a fondo il pedigree razziale dei due coniugi, il cui puro sangue ariano doveva essere incontaminato dal 1800.

La salita al potere di Hitler nel 1933 in un Paese che sentiva il peso della diminuzione demografica da decenni, condusse all’istituzione del cultò della maternità, a diffusi incentivi economici e discutibili premi, alla proibizione di pubblicizzare ed esporre contraccettivi, alla chiusura delle cliniche per il controllo delle nascite, all’equiparazione dell’aborto ad un atto di sabotaggio passando per leggi come quella per la prevenzione delle nascite affette da malattie ereditarie.

Nel 1935 furono promulgate le leggi di Norimberga che formalizzarono classificazioni razziali che introducevano quattro categorie ufficiali di esseri umani, con l’introduzione dei “certificati di arianità”, in sinergia con i documenti dei registri parrocchiali e con gli alberi genealogici. Gli ebrei, relegati nell’ultima categoria, di “razzialmente inaccettabili”, furono privati di tutti i diritti di cittadinanza.

La tabella di identificazione delle leggi di Norimberga.

Nel 1941 il decreto Nacht und Nebel (Notte e nebbia) di Hitler, sostanzialmente l’ordine di eliminare chiunque si opponesse al regime nazista nei Paesi occupati, tolse quel minimo di protezione assicurata alla popolazione civile dalla convenzione di Ginevra e da altre norme internazionali. Il feldmaresciallo Wilhelm Keitel, capo dell’alto comando supremo delle forze armate tedesche, esprimeva senza mezzi termini quanto la vita umana in quei Paesi potesse essere priva di valore, invocando rappresaglie e punizioni esemplari estreme con intento dissuasivo.

In questo contesto, i bambini, separati dalle proprie famiglie, solitamente durante rastrellamenti o nel corso di operazioni di rappresaglia, passavano una selezione preliminare, che dovevano soddisfare criteri rigidi stabiliti da Himmler. Tutti quelli ritenuti potenzialmente utili, privi di tracce “non ariane” e comunque di qualiasiasi traccia di “retaggio ebraico” passavano a una seconda selezione esperta durante la quale vennero controllati, catalogati e fotografati nasi, labbra, denti, fianchi e genitali. I soggetti ritenuti migliori e più giovani venivano inseriti nel progetto Lebensborn. Ai bambini abbastanza grandi veniva dapprima proibito di parlare la loro lingua e ai genitori adottivi vennero spacciati come orfani di tedeschi caduti in battaglia.

A questi bambini si univano quelli che i membri delle SS erano, per legge, incentivati ad avere, anche con relazioni fuori dal matrimonio. A tutti i membri delle SS e della polizia era imposto di procreare, richiedendo espressamente il sesso libero.
In un’ordinanza di Himmler del 1931 troviamo inoltre l’obbligo di richiedere l’autorizzazione al matrimonio per i membri delle SS (che già per far parte delle fila dell’organizzazione di Himmler avevano dovuto superare una selezione fisico-razziale strettissima), che sarebbe stata concessa solo sulla base della purezza razziale. Veniva richiesto alle coppie di compilare un dettagliato questionario sul proprio aspetto fisico, che andava corredato dalle foto in costume da bagno dei richiedenti.

I bambini “selezionati” sostanzialmente venivano immessi nel tessuto sociale della Germania, affidandoli a famiglie adottive.

Il dramma si sviluppò in direzioni diverse. Non si trattava solo del dramma di persone che una volta scoperta la propria identità, in piena libertà e coscienza cercarono insistentemente e con vari gradi di disperazione di scoprire le proprie vere origini ma anche di quello di altre persone che invece venivano considerate non gradite, come frutti indegni di rapporti preconfezionati, come risultanti di accoppiamenti col maligno, e venivano forzatamente rispediti nei presunti paesi d’origine, senza un minimo di assistenza psicologica.
Quindi non possiamo escludere da questa terribile equazione anche l’atmosfera asfissiante di discriminazione che avvolse per buona parte della vita i bambini nati nelle case Lebensborn dei Paesi occupati. Come in Norvegia, dove i centri Lebensborn furono una decina e dove la discriminazione verso quei bambini, e verso le donne che si erano prestate al programma di procreazione, si fece sentire in modo particolare.

Dopo la Seconda guerra mondiale non fu per nulla facile per questi uomini e queste donne l’accesso alle informazioni, a causa del muro durissimo che la vergogna, l’indifferenza e la volontà di dare un colpo di spugna dopo la seconda guerra mondiale avevano eretto.

L’esempio concreto di queste difficoltà fu il caso dell’International Tracing Service di Bad Arolsen.
Nato a Londra nel 1944 con il nome di Central Tracing Bureau, trasferito nel 1946 a Bad Arolsen (dopo esser passato per Versailles prima e Francoforte poi), era l’istituzione presso la quale i ricercatori intrapresero la costituzione di un archivio dei documenti nazisti. Nel 1947 l’ONU ne assunse la direzione ribattezandolo International Tracing Service, direzione cha passò nel 1951 all’Alta commissione alleata per la Germania (organismo di gestione interalleata dei settori franco-britannico-statunitensi). Nel 1954 l’ITS passò in gestione al Comitato internazionale della Croce rossa quando le truppe di occupazione lasciarono la Germania. Ma nel 1955 venne ratificata la nuova nazione della Germania Ovest con l’attuazione dell’accordo di Bonn, nel quale però era presente una clausola che vietava la pubblicazione di qualsiasi dato che potesse arrecare danno alle vittime del regime nazista, che però sostanzialmente chiuse l’accesso al pubblico dell’archivio. Solo molto tardi, nel 2007 l’International Tracing Service di Bad Arolsen aprì gli archivi.

L’autrice mostra il certificato di vaccinazione che rappresenta la prima traccia della sua reale identtà.

Per concludere, “I figli segreti di Hitler” è una lettura che è una lezione pura, che fa riflettere su quanto poco scontata sia l’identità di una persona, e se pensiamo alle condizioni di vita di una grossa parte dell’umanità, quanto sia in realtà difficile per tanti arrivare a possederne una, di identità. È anche una lettura che ricorda cosa significhi veramente “memoria” di quel periodo buio. Memoria non è solo ricordare le vittime, i gesti belli, le tragedie grandi, ma è anche non dimenticare certe cancrenose parole, certi agghiaccianti dettagli, certe lezioni che la storia insegna e che l’umanità fatica tremendamente a imparare e soprattutto quale tragedia fu per moltissimi il dopoguerra tanto quanto la guerra stessa.

INGRID VON OELHAFEN – TIM TATE
Hitler’s forgotten children
© Ingrid von Oelhafen and Tim Tate, 2015
I figli segreti di Hitler. La vera storia del progetto Lebensborn, il più agghiacciante esperimento dei nazisti
Traduzione dall’inglese di Giulio Lupieri
I volti della storia, 324
Prima edizione: novembre 2015
© 2015 Newton Compton editori s.r.l.