di Mariano Rocchi.
Da La donna, Anno XIV, N. 306, 15 giugno 1918.
“L’Italia che fu ricchissima di fabbriche di tessuti attende uno studioso che ne tracci la storia — e speriamo che nel nostro secolo, in cui molti si affaticano in pubblicazioni inutili, si trovi un geniale pubblicista che si assuma questo difficile còmpito.
Molte incertezze agitano la mente dei collezionisti per poter dare attribuzioni a nomi di stoffe che si trovano citate negli inventari, come ciambellotti, baldracchini, brusti, altebassi, zetanini, stoffe, o veli o velati che ancora non si sa che cosa erano e da che servivano e in quali fabbriche si tessevano, perché nelle vecchie descrizioni di corredi nuziali spesso si trovano citati questi oggetti senza una descrizione esatta che ne definisca l’uso. Nel rinascimento si perfezionò il gusto e si fabbricarono ornamenti da tavola e da letto in bianco e in turchino, di lino torto a mano con animali (grifi, aquile, cervi, lepri, centauri, ecc.) stilizzati in un modo squisitamente artistico, che ora forma l’ammirazione del pubblico colto ed amante di cose d’arte. Una delle collezioni più notevoli ed interessanti, dicono l’illustre Prof. Soldi, storico francese, Colbert De Beaulien e l’illustre Prof. Walter Bombe di Berlino, il Dott. Prof. Milani e Madama Isabella Errera di Bruxelles, è quella dei tessuti perugini, che concorsero grandemente allo sviluppo dell’arte tessile, ed interessarono la storia, non solamente per la loro bellezza artistica, ma anche perché, diffusi ovunque a mezzo dell’esportazione, servivano a decorare ambienti sacri e profani.
Questa tessitura imprimeva carattere artistico in ogni genere di stoffa: lenzuola, tovaglie, tovaglioli, portiere, cuscini, centri da tavola, scialli da testa per le donne, furono fatti con una tale arte geniale e caratteristica, che non venne più raggiunta dopo, sebbene oggi, spinti dall’avidità del guadagno si tentino delle imitazioni che risultano troppo sfacciatamente commerciali.
Non possiamo ancora figurarci come la tessitura si svolgesse amorosamente e artisticamente per ornare le pareti dei saloni nei palazzi principeschi del rinascimento, e quanti artisti studiassero per creare disegni e adattarli a mobili o fregiarne abiti per ricche castellane e leggiadre donzelle. Una lontana idea se ne può avere visitando il palazzo Schifanoia a Ferrara, dove nel ciclo trionfale Francesco Cossa rappresenta un gruppo di dame intente all’opera del telaio, trasportandoci con l’immaginazione a quei bei tempi dove tutto si faceva con un gran gusto d’arte, anche le più umili cose, come le fasce da avvolgere bambini.
Nel 1878 mi accorsi che il divino Leonardo da Vinci con grande compiacimento aveva coperto il suo cenacolo con una tovaglia perugina, ed il compianto Prof. Bertini ed il Prof. Cavenaghi dovettero convenire dell’importanza di tale scoperta che fino allora era passata inosservata, invogliandomi, non solo alla ricerca di tali tessuti, ma anche di tutti i quadri di pittori celebri che li avevano dipinti nelle loro figurazioni. Dal 1878 ad oggi ho potuto constatare che ben 126 pittori riproducono tali stoffe nei loro quadri!
Giotto, nel quadro le Nozze di Cana a Padova, ha coperta la tavola con una stoffa perugina; a San Francesco d’Assisi Simone Martini e Pietro Lorenzetti a Siena ne coprono gli altari; a Firenze i Cenacoli del Ghirlandaio sono coperti con tessuti perugini; Sodoma più volte ne avvolge le figure, e Giovanni Antonio Bazzi la testa del suo quadro «L’uomo fantastico» nella Galleria Carrara di Bergamo. Il Pinturicchio, poi, volle dipingere anche il telaio dove si fabbricavano dette stoffe, nel quadro che si trova nella Nazional Galleria di Londra. Fra Filippo Lippi guernì più volte le figure e copri la tavola, e avvolse il piatto con sopra la Testa di San Giovanni Battista nel «Convito d’Ercole» a Prato con detti tessuti perugini, riprodotti dal divino pittore degli angioli, il Beato Frate Angelico, come può osservarsi nel museo di S. Marco a Firenze, nella comunione degli Angeli. Raffaello Botticini nella decollazione di San Giovanni e nel banchetto di Erode, che si trova ad Empoli (Galleria della Collegiata) adorna di quei tessuti la mensa e le figure, del pari che ad Arezzo (Chiesa di San Domenico, Vita di San Jacopo e S. Filippo) Spinello Aretino e Stefano di Giovanni, detto Sassetta, nella Chiesa della Collegiata a Siena nel quadro i fatti della vita della Vergine. Domenico di Bartolo a Siena nell’ospedale di Santa Maria della Scala, nell’affresco la vita della Madonna; il Sodoma nella Sacra Famiglia alla Galleria Borghese; Luca Signorelli nella Cappella Sistina nel quadro «Ultimi giorni di Mosè»; a Milano alla Pinacoteca nel quadro la flagellazione di Gesù Cristo e ad Arcevia nel battesimo di Cristo; il Boccaccino a Venezia all’Accademia di Belle Arti nel quadro la Vergine col Figlio; Sandro Botticelli nel meraviglioso quadro l’adorazione dei Magi, a Firenze; Domenico di Bartolo all’ospedale di Santa Maria della Scala nel quadro il matrimonio della Madonna; il grande maestro della scuola Umbra Fiorenzo di Lorenzo a Spello nello sposalizio della Vergine; Gaudenzio Ferrari in Varallo Sesia nella vita dei Re Magi; Oderisio a Napoli nell’estrema unzione; Paolo da Siena nel quadro la nascita del Bambino; Pietro Lorenzetti nell’affresco il buon Governo nel Palazzo Comunale di Siena; Ghirlandaio nell’exconvento d’Ognissanti (Museo di San Marco) nel Cenacolo; hanno coperto la tavola e ravvolto i corpi e le teste dei personaggi rappresentati con bellissimi e svariati tessuti perugini. Nel Palazzo Ducale di Urbino essi servono ad avvolgere il corpo di S. Sebastiano in un quadro di Timodeo Viti, mentre che Antonio da Fabriano avvolge il corpo del Cristo in Croce con queste stoffe, e nel quadro di Mattelica Guido da Siena il corpo del Bambino; Duccio Boninsegna (pure a Siena nel Museo dell’Opera) le riporta in cinque quadri. Né bisogna dimenticare che a Torino il Borgognone nel quadro la consacrazione di S. Agostino, Spinello Aretino in Arezzo nella Chiesa di S. Domenico nel quadro la vita dei tre Santi e Mabuse nell’adorazione dei Magi si compiacquero riprodurre stoffe perugine e il grande Botticelli dipinse molte volte queste stoffe in dosso a Firenze nella Galleria Poldi Pezzoli, del pari che Cosmo Tura a Forlì nel quadro la Visitazione, Gaudenzio Ferrari nel battesimo di Gesù Cristo e nella flagellazione in Varallo Sesia. Il divino Raffaello volle anch’egli guernire la testa di un angiolo con queste stoffe nel quadro lo Sposalizio che è a Brera.
Il Luini le dipinse nei quadri «la Deposizione», «Maria al tempio», «il banchetto degli Ebrei» e « l’offerta degli Ebrei per la costruzione dell’Arca». Anche nella Galleria del Vaticano vi sono quattro storie di arte Fiorentina del 1400 rappresentanti la nascita di S. Giovanni Battista, il Banchetto di Erode, il miracolo di S. Giacomo e la testa di S. Giovanni Battista, tutti riproducenti tali stoffe; al pari d’un quadro di Sandro Botticelli, che ora si trova a Filadelfia di proprietà del collezionista Iohson, rappresentante la Maddalena che unge i piedi a Cristo.
Dal numero considerevole dei grandi pittori che vollero nei loro quadri usare come ornamento tali stoffe, dallo squisito gusto di disegno e dalla perfetta stilizzazione degli animali, si può sicuramente dedurre che molti artisti primitivi disegnarono per i tessitori formando la gloria dell’arte della stoffa nella più alta visione creativa e nella tecnica più squisita e più perfezionata, ove le gentili discipline dell’arte tessile seminarono idealità e raccolsero sorrisi d’amore perché molti di questi tessuti sicuramente furono doni nuziali. Essi presero il massimo sviluppo nell’epoca dell’arte romanica, ma pur troppo di tali esemplari, divenuti rarissimi, si trovano oramai soltanto dei frammenti in qualche reliquario conservato in astucci nei tesori di luoghi sacri come il Santo Santorum. In alcuni elenchi di confraternite del medio evo rinvenni descritta con ogni minuto particolare l’ornamentazione dei lini grifati con motti religiosi in azzurro. Nel testamento del vescovo Ridolfo dell’anno 915 si accenna a due tovagliette con animali sacri ornate all’estremità in azzurro. Quando il periodo romanico principiò a tramontare, si svilupparono più rapidamente i primi sentori di decorazione anche nelle biancherie religiose, con la riproduzione dell’agnello che con la zampa rivolta in alto finisce con la croce. Gli esemplari primitivi dell’arte tessile perugina sono poveri di ornati ma ricchi di disegni geometrici. Questi tessuti principiarono a prendere un vero sviluppo sotto l’influenza del Gotico settentrionale, pur conservando i proprii simboli tradizionali.
Dalla signoria di Tamerlano nel 1258 fino al 1402, tutti i paesi della Muraglia della Cina e del Gange sino al Mediterraneo accolsero tale industria, sempre più caratterizzata dalla stilizzazione dell’animale alla saracena, addolcendo un po’ la linea caratteristica italiana. Il senso ornamentale schematico delle stoffe trecentesche contiene spesso motivi ispirati dagli ornamenti Persiani e Cinesi e spesso si vede riprodotto l’animale cavalcato da una figura che innalza la croce o l’animale che va ad abbeverarsi alla fontana della vita, simbolo di sete della religione.
Tra gli esemplari più antichi e più rari trecenteschi vi è la perfetta riproduzione di un’urna sepolcrale etrusca trovata presso i Volumni a Perugia e rappresentante la lotta dei centauri contro i Lapiti alle nozze di Pirito, che riporta due iscrizioni, una in gotico e una in latino, ed in basso un bordo con la lotta dell’unicorno contro il cavallo marino, simboleggiante la verginità contro la seduzione: questo rarissimo esemplare, bellissimo per lo spirito del disegno e per la verità dell’azione, è artisticamente uno dei più ammirati. Una grande portiera con tre file di falconieri a cavallo col motto «amore amore» non può essere che un dono nuziale, al pari di altri col nome di donna: Iulia bella, Anna, Emma, bella Laura; di un altro con la parola «ardo» ed un altro ancora col motto «sirena» rappresentato da una donna in mezzo a due cavalieri. Un esemplare trecentesco, originalissimo per la sua rappresentazione, è il sacerdote che innalza la croce e calpesta il drago, facendogli uscire dalla bocca il fiore tricuspidale, che è la bestemmia. Tale rappresentazione fu ripetuta fino dagli artisti del 1600 e del 1700, come il fanciullo indemoniato dalla cui bocca esce un demonietto rappresentante anch’esso la bestemmia, o l’eresia.
La prima volta che io esposi al pubblico pochi esemplari di queste stoffe fu nel 1884, pregato dal compianto scultore Prof. Calandra, ottimo amico mio, e dal conte Sambuy, presidente dell’esposizione di Torino in quell’anno, a prestare tre belli esemplari della mia collezione per coprire i tavoli del castello medioevale, e così ritornarono all’onore del pubblico queste stoffe, che per un secolo erano state dimenticate, per non dire disprezzate, giacché una volta trovai in una chiesa un sacrestano che puliva le lampade con un bellissimo frammento esemplare. Nel 1907 il Comitato dell’esposizione Umbra mi richiedeva la mia collezione prestata in 46 esemplari e definita da molti giornali artistici una delle più belle e caratteristiche collezioni di stoffe tessute con simboli magici: anzi l’illustre storico Prof, Adolfo Venturi volle citarla nel quinto volume della Storia dell’arte come la più interessante e caratteristica collezione di stoffe italiane. Nel 1911 esponevo a Castel Sant’Angelo la completa collezione composta di cento esemplari che avevo potuto mettere insieme dopo mezzo secolo di ricerche, di enormi spese e di grandi fatiche. Le notizie storiche intorno a questa antichissima industria si perdono nella nebbia dei tempi, perché mancano i documenti scritti. Risulta che circa il 1380 si costituiva in Perugia la fratellanza dei tessitori, che fabbricavano le tovaglie, le coperte da letto, le portiere e i pannilini grifati in azzurro. Ciò dimostra che prima del 1380 questa industria esisteva, ma soltanto in forma privata. Nel rovistare anche l’Archivio di Stato a Firenze nel 1911, potei rinvenire dal protocollo di Ser Lapo Gianni, notaro poeta amico di Dante, questo documento per la vita di Giotto e per la storia dei tessuti. «Listrumento dice che Giotto affittava nel 1312 a messer Rubino Giliotti di S. Frediano il telaro paterno sul quale forsi aveva lavorato anche lui giovinetto?» dal che si rileva come il figlio del tessitore, oggi celebre pittore fiorentino, cedesse ora in affitto il telaio paterno. Ma vi è anche da supporre che alcuni disegni, se non tessuti da lo stesso Giotto fossero poi da lui dipinti nei suoi quadri preziosi. È bene ricordare che la fabbrica di Santa Maria Novella, promossa da Aldobrandino Cavalcanti, eseguita sui disegni dei frati Sesto e Ristoro, fu un focolare per le arti belle e con molta ragione Dante veniva iscritto nell’arte dei medici e degli speziali, che comprendeva anche i pittori. Un altro documento interessante lo potei trovare rovistando l’archivio della Confraternita della Mercanzia in Perugia. «Pietro d’Agnolo di Marino da Civitella d’Arno e Ipolito di Ser Guerriero, già capi maestri, debbono avere quattro ballozze di nostro mosto ogni vendemmia sino a che durerà la terza generazione mascolina come appare nei libbri di contratto di questa confraternita secondo la decisione della adunanza del 14 agosto 1502 con l’obligo di fare cinque maestri al anno; per tessere pannilini grifati e uccellati in turchino come appare dal contratto fatto per mano di Ser Guerriero nostro notaro». Questo documento dimostra chiaramente l’importanza che si dava a tale industria e quanto doveva essere fruttifera, se si premiavano le famiglie dei maestri fino alla terza generazione.
Moltissimi dotti vollero amorosamente parlare della ricchezza della composizione leggiadra, della stilizzazione dell’animale e della parte simbolica che è molto interessante, perché prima venne compresa soltanto da pochi. Tra i simboli più usali credo necessario ricordare come in tutte le religioni primitive e nelle mitologie le figurazioni prendano una grande parte e si trovino spesso rappresentati alberi sacri di per se stessì o consacrati a diverse divinità. Accennerò soltanto al fico ruminale legato alla tradizionale leggenda delle origini di Roma ed alla quercia sacra a Romolo divinizzato. Fra gli alberi sacri alcuni ve n’erano sacrati al culto dei morti, quali, ad esempio, le piante ed i frutti del melagrano, il pino e il cipresso, albero scuro e triste ergentesi verso il cielo. Moltissimi sono i Monumenti sepolcrali e sacri che potrei citare di varie epoche e di varie arti, dove queste piante, e più di ogni altra il pino, simboleggiano la vita e rinascenza dell’anima. Oggetto di un recentissimo studio, ricorderò le caratteristiche chiese bisantine d’Atene, lavoro poderoso di Michel Stuch, dove ai segni cristiani nei bassorilievi ornamentali si sovrappongono con evidente predominio svariatissimi segni magici misteriosi e tra gli altri pini e pigne figurate sotto forme diverse volendo rappresentare la vita presente e la vita futura; le pigne dai molti frutti rappresentano ciascuna un’anima suscettibile di molte vite. Sull’albero della vita, dunque, un frutto giunto a maturazione si apre e lascia sfuggire dall’involucro lo spirito che torna al cielo, e la rappresentazione dell’albero della vita, che ha un movimento continuo dal sole alla terra e dalla terra al sole, simboleggia il mistero della generazione o della fecondazione che viene compiuto dal sole alla terra eterna madre. Gli etruschi vollero dare al fiore di loto il significato della vita: esso è presso tutti i popoli il simbolo della generazione e viene sostituito qualche volta dal trifoglio e dal giglio, più o meno stilizzati. L’albero fu creduto sacro perché può generare in se stesso e da se stesso. Ed i modesti tessitori, che eseguivano con eccellente gusto d’arte questi tessuti con simboli magici, li introducevano nelle case e nelle chiese a ricordare velatamente i segreti delle sette occulte. In questi tessuti l’albero della vita è in completa e rigogliosa fruttificazione come un augurio a chi li donava ed a chi li riceveva. Altre figurazioni simboliche sono: l’agnello porta-stendardo che si trova spesso in queste stoffe e forse era usato per le feste Pasquali; l’aquila, rappresentante il sole nei tessuti orientali, che si è poi convertita in bicipite, stemma dei Borboni del monte: il cane che rincorre la lepre e rappresenta come motivo decorativo l’amore dell’uomo per la donna — essendo la lepre il simbolo della fecondazione — riprodotto con molto «amore amore» perché destinato come dono nuziale. In alcuni tessuti si vedono costruzioni con castelli torriti, con cani di guardia e pavoni nell’alto con la coda aperta che fanno la ruota; si tratta del castello di Borgo S. Angelo — dove si fabbricavano le stoffe — del quale oggi è rimasta in piedi quasi pericolante una sola delle tre torri. In tutte le ricerche storiche da me fatte con l’aiuto d’illustri amici pubblicisti in mezzo secolo, mi risulta chiaramente che le piante, gli animali, le figure sotto una spiccatissima forma artistica nascondono il simbolismo ora sacro ora profano. Tra i belli esemplari del genere abbiamo il pavone e il melagrano, la volpe e l’uva, la lotta dei centauri, le sirene, le arpie, l’asino, e la colomba che porta il ramoscello d’olivo nel becco e allude all’entrata di Gesù in Gerusalemme. L’asino si trova in due tessuti satirici, giacché nei tempi passati si era anche più feroci di oggi nella satira. In uno si vede il grifo, che, specchiandosi nell’acqua, diventa un somaro, e nell’altro il grifo e la grifa che creano un somarello. Il cane, simbolo della fedeltà, che si disseta nella fontana della vita, simbolo dell’amore che non ha riposo, ha significato palese tradotto nel fondale del quadro di Tiziano «l’amore alle fonti della vita» o «l’amor sacro o profano», dove il cane insegue la lepre. I cavalieri che con la spada in pugno si affrontano, fra iscrizioni in gotico abbreviato e che l’illustre paleografo Soldi Colber dopo molto studio volle spiegare «Cavaliere di cor bollente mi batto per l’onore della mia dama», furono contesti in un tessuto donato forse come premio di un torneo. I centauri che si combattono, simboleggiando le superbia, vengono rispecchiati in parecchi esemplari del secolo decimoquinto. Il cervo nel medio evo significava l’anima che brama il battesimo, come si rileva dalle parole del santo «Sicut cervus desiderat ad fontes aquarum». Come motivo simbolico viene citato in documenti ricordati dal Gay e dal Bock in senso simile a quello indicato dal salmo e lo troviamo in un tessuto di provenienza orientale riprodotto dal Fischbach nel musco di Norimberga. Uno dei più caratteristici motivi in materia è la lotta fra il cervo ed il lupo, simbolo della religione che vince l’eresia. Le teste dei cherubini, tanto frequenti nell’adornamento delle vesti dei leviti, sono di una finezza di disegno cinquecentesco direi quasi vaporoso. Le colombe poi, che nell’antichità erano il simbolo di Venere, nell’età cristiana invece rappresentano l’anima e mille volte si trovano dipinte nei muri delle catacombe. Il drago, motivo assai ornamentale tramandatoci dall’estremo oriente, è uno degli ornamenti più spesso riprodotti e significa, secondo Honorius (speculum Ecclesiae dominica in Palmis), il diavolo. L’elefante che porta la torre è nei tessuti perugini l’insegna del rione di Porta Erbunea, mentre viene indicato da Fazio degli Uberti come simbolo della castità (dittamundo, libro quinto, capitolo sesto). Nei tessuti orientali poi, secondo il Karabacek, esso è il simbolo della terra, mentre il drago significa il fuoco, l’anitra e l’airone rappresentano l’acqua e l’aquila l’aria. Il gallo per gli orientali è simbolo del fuoco ed il Fischbach ne riproduce la rappresentazione in un tessuto alessandrino del quinto secolo. Anche i nostri tessuti portano rappresentati i galli attorno all’albero della vita che ha sul culmine il giglio di Francia, ed io ne acquistai uno a Parigi da un collezionista di stoffe che lo credeva di provenienza orientale per la squisitezza del disegno, giacché i galli hanno un tale slancio di vita vibrante che sembra proprio di sentirli cantare. Anche il grifo è uno degli animali più ripetuti in queste stoffe e ne troviamo in più di venti forme differenti, ma, essendo lo stemma della città, si può quasi considerare come la marca di fabbrica. Uno dei più interessanti è quello riprodotto nella monografia di Perugia compilata da Sua Ecc. il Dott. Romeo Gallenga e che rappresenta la fontana di Perugia in mezzo a due griffi, esemplare unico da me donato al Municipio e che ora si trova esposto nella Pinacoteca di Perugia.
Rovistando gli archivi, ho potuto rinvenire un originale documento constatante che gli orefici erano anche scultori e dirigevano anche i tessitori: il documento dice: «Il Rosso, autore della tazza in bronzo della fontana di Perugia fusa da Giovanni e Nicolò Pisani di Ugulino di Vieri orafi che seguirono anche il reliquario del corporale di Orvieto nel 1338. Il Rosso e Ugulino di Vieri ebbero ogniuno scudi dodici per aver diretto le ottanta tovaglie con dame e cavalieri tutte svariate e venti pannilini con la Vergine e i Serafini in gloria per la Basilica di S. Francesco di Assisi come appare dal quaderno del priore Tarquinio di fra Giacomo. Matteo d’Ercolano deve avere scudi tredici per aver tussuto li 18 grandi copriporte e sette coperte da letto e sedici pannilini per sotto piatti, che furono per Margherita Malatesta moglie del conte Carlo di Montone. Per le nozze di Messere Astorre Baglioni nel 1513 furono eseguiti sei grandi pannilini con cavalieri affrontati e bordi uccellati e grifati e sei con dame e cavalieri e ventiquattro piccoli con cani e lepri e cervi. La madre badessa delle Colombe pagò nel 1487 fiorini otto per venti grandi pannilini grifati in azzurro e venti piccoli uccellati e grifati e quattro grandi tovaglie bordate per il refettorio. Annibale Mariotti cita nella sua storia di Perugia questo documento nel 1458. Braccio degli Baglioni fece fare una bella giostra in piazza a selle tedesche e pose per premio otto pannilini grifati et il primo fu ottenuto da Ridolfo Malatesta e fece venire in piazza un castello di legname nelle ruote ed infine un elefante di legname et un carro nel quale vi erano suoni ce canti e fu una bella festa per l’onore degli Ambasciatori del Duca di Savoia».
Il leone, che fu sempre il re degli animali, e nel simbolismo Maomettano viene raffigurato come re dominatore, nel simbolismo cristiano è il vero rappresentante della tribù di Giuda e per conseguenza anche di Gesù Cristo e nell’Apocalisse troviamo Cristo confrontato col leone. Il pavone, tanto frequente nei tessuti di origine normanna ed orientale, viene presentato superbamente anche perché le sue forme veramente artistiche e leggiadre molto prestansi nell’ornamentazione e lo pongono in una condizione privilegiata fra gli uccelli. Anche il Pellicano, simbolo dell’amore materno, che si squarcia il ventre per nutrire i suoi bambini, è rappresentato con molta eleganza e buon gusto, al pari della piovra, riprodotta nelle nostre stoffe come simbolo dell’avarizia. La sirena, simbolo della seduzione, viene rappresentata nei differenti secoli con grande differenza di carattere, ed infine anche incoronata; un esemplare raffigura la sirena in mezzo al cane e la lepre che si inseguono, simbolo della seduzione che insegue l’amore. L’unicorno, che ci pervenne dalla Cina, quale animale assai fantastico simile a un cavallo con un corno in fronte, nel simbolismo cristiano diventa il simbolo della verginità. Brunetto Latini racconta nel Tesoro, libro quinto, delle miracolose qualità di questo elegante animale, che spesso si trova affrontato nell’albero della vita intento a lottare con centauri o combattere con draghi alla fonte della vita.
Negli statuti perugini, che spesso accennano appena a qualche frase su tale industria, sta scritto che nei 1350 la corporazione dell’arte della lana si unisce all’arte della bambagia, e ciò risulta dalla matricola e dagli statuti che si occupano della produzione di tali tessuti bianchi e grifati in azzurro, e che nel 1529 tale corporazione si unì ancora a quella della seta e si fusero in tre statuti. Andai nella biblioteca del Senato a Roma, frugando trovai la matricola (Artis cappellarum) dalla quale si apprende che un ramo di questa corporazione fabbricava pannilini grifati in azzurro.
Ma a che dilungarmi abusando della pazienza delle mie cortesi lettrici, se dal fin qui detto devono essersi fatta un’idea dell’importanza di quei simbolici tessuti che racchiudono — nelle più sublimi idealizzazioni della vita, quali l’amore e il sentimento religioso — lo spirito di epoche ormai quasi leggendarie? Meglio vale, a complemento di questo studio, aprire le mie sale a quelle gentili abbonate di «Donna» che sian desiderose di contemplar da vicino i preziosi cimeli che formarono un tempo il vanto di nobilissime castellane e di ornatissime donzelle.”