La terapia vibratoria (1893)

Da La Scienza per Tutti, Anno XIII, N. 9, Settembre 1893.

“■ Fra tutti i metodi più o meno bizzarri in apparenza, applicati alla cura delle malattie nervose, pochi ve ne hanno più singolari di quello impiegato da qualche tempo all’Ospedale della Salpetrière dal professor Charcot. È la cura delle vibrazioni meccaniche.
■ Vi è una malattia grave del sistema nervoso, caratterizzata da un tremito incessante delle mani, un atteggiamento inclinato della persona, un andatura bizzarra la quale sembra far credere che l’ammalato debba cadere colla testa in avanti: è la paralisi agitante, detta anche malattia di Parkinson, una specie di nevrosi penosa, tormentosa, che toglie all’infelice che ne è colto, la possibilità di riposarsi o di dormire.

“Fig. 1. – Modo di usare l’elmetto vibrante. L’elmetto sormontato da un motore elettrico (fig. 3) è stretto alla testa da lamine metalliche flessibili.”

■ Già da qualche tempo lo Charcot aveva sentito dire da taluni individui colpiti da codesta infermità, come essi ritraessero un sollievo sensibile al loro mali dai lunghi viaggi in ferrovia o in carrozza. Quanto maggiori erano le trepidazioni delle carrozze del convoglio corrente a grande velocità, quanto più scosso era il veicolo dalle ineguaglianze del terreno e tanto maggiore era il sollievo che risentivano. Dopo una giornata di viaggio, si sentivano meglio e godevano d’ un benessere inesprimibile, tanto è vero che uno di essi aveva pensato di farsi sballottare per ore ed ore in uno di quei carri che servono al trasporto della sabbia e di altri materiali da costruzione. Al contrario di tutti i viaggiatori, i paralitici di Parkinson, si trovano più freschi e ben disposti all’uscire dai vagoni; quanto più lungo è stato il viaggio, più cattivo lo stato della linea e tanto più durevole è il loro miglioramento.

“Fig. 2. – Interno dell’elmetto vibrante e delle lamine metalliche che lo rendono aderente alla testa.”

■ Questo fatto venuto da varie fonti all’orecchio dello Charcot non andò perduto, perché gli servì come punto di partenza di una applicazione terapeutica delle più singolari. Non si poteva pensare a far passeggiare gli ammalati in strada ferrata da Dunkerque a Marsiglia o a metterli in omnibus per intere giornate, ci voleva ben altro. Che fece lo Charcot? fece costruire un seggiolone animato da un movimento alternativo per mezzo d’un verricello elettrico. Quei movimenti producono trepidazioni sensibilissime e possono paragonarsi a quelli delle tramoggie per la crivellatura delle materie industriali. Nulla di più intollerabile per un sano di quelle scosse che vi demoliscono, vi scombussolano, vi rompono i visceri; dopo appena un mézzo minuto di marcia bisogna domandar grazia. L’ammalato invece si riposa, si ristora come un sano sopra un morbido canapè, e più lo si scuote e meglio si sente. Dopo una seduta di quindici minuti egli è un altro uomo; le membra si sono rilassate, la stanchezza è scomparsa e la notte successiva dorme perfettamente.
■ La cura colle vibrazioni meccaniche non è circoscritta a quell’unica malattia; sembra che dovrà essere applicata ad un grandissimo numero di quei perturbamenti nervosi, più o meno bene definiti e dei quali la neurastenia offre l’esempio più completo. Molto prima dell’invenzione della seggiola trepidante, il dottore Vigouroux aveva pensato di assoggettare le isteriche alle vibrazioni di un immenso diapason; guariva così anestesie e contrazioni. Altri medici, Boudet, Mortimer-Granville, applicarono aste vibranti alla cura delle nevralgie, della nevralgia facciale ed in particolare delle emicranie. L’ultimo aveva inventato un piccolo percussore elettrico, analogo al martelletto dei campanelli elettrici, che si applicava sul punto indolenzito; sotto l’influenza di quell’urto ripetuto centinaja di volte in un breve lasso di tempo, il male cedeva.

“Fig. 3. – Particolare del motore elettrico dell’elmetto vibrante.”

■ Il metodo fu da qualche tempo assai perfezionato da un allievo dello Charcot il dottore Gilles de la Tourette. Coadiuvato da due colleghi versatissimi negli studii elettrici, i dottori Mautier e Larat, fece costruire un apparecchio per la cura delle emicranie e delle cefalee nervose; l’elmetto vibrante (fig. 1). Si imagini un elmo modellato come gli elmi antichi e per la sua struttura analogo al conformatore dei cappellai. Infatti esso è formato di lamine d’acciajo che gli consentono di abbracciare perfettamente la testa (fig. 2). Sull’elmo a guisa di cimiero ci sta un motorino a correnti alternative di costruzione particolare, capace di fare circa 600 giri al minuto (fig. 3). Ad ogni giro si propaga sulle laminette metalliche una vibrazione uniforme che poi si trasmette al cranio da esse abbracciato. Le pareti craniche vibrano pur esse nel loro assieme e le vibrazioni per necessità trasmettonsi a tutto l’apparato cerebrale. La sensazione non è spiacevole; d’altra parte si può variare a norma della tolleranza del soggetto il numero e l’intensità delle vibrazioni. La macchina produce un ron ron che certamente contribuisce allo stordimento. In capo a qualche minuto si prova una specie di stanchezza generale, una tendenza al sonno, oltremodo benefico pei poveri nevrotici, afflitti dall’insonnia.
■L’elmetto vibrante fu già applicato sopra un numero rilevante di ammalati neurastenici, la massima parte dei quali ebbe a lodarsene. Il sistema riesce pure contro l’emicrania, e siccome questa è un male assai diffuso e contro il quale non si conoscono rimedii di sicura efficacia, è molto probabile che fra qualche tempo l’elmetto vibrante diventi di moda.”

Il ventaglio (1922)

Da Il Secolo XX, Anno XXI, N. 7, 1 luglio 1922.

“■ Il ventaglio è d’origine antichissima: come il caldo.
■ Uno storico degno di fede afferma che il primo gesto di Eva, capitando nel paradiso terrestre, non fu, come molti credono, quello di intessersi una cintura di foglie, ma quello, invece, di protendere, una mano; staccare da una pianta vicina una larga foglia aromatica, e farsene un ventaglio…
■ Il che dimostrerebbe che la prima donna nacque d’estate…

“Ventaglio Luigi XIV.”

■ Ma, secondo una leggenda cinese, il ventaglio sarebbe stato ideato dalla bella Kan-si.
■ La bella Kan-si era figlia di un potente mandarino, e assisteva, una sera, alla festa delle lanterne, festa tradizionale del suo paese. Le donne cinesi portavano, allora, la maschera: forse, per il chiaro simbolo di una maschera morale. Quella sera, alla festa delle lanterne, faceva un caldo da morire, e la bella Kan-si lottava tra la necessità di prendere aria e il pudore che le imponeva di non esporre il volto agli sguardi profani dei curiosi. La bella Kan-sì ebbe allora una trovata geniale: si tolse la maschera, ma la tenne vicinissima al volto, agitandola con grande rapidità, per modo che nessuno poteva vederle la faccia, ed essa, frattanto, si raffrescava.

“Ventaglio della Regina Antonietta.”

■ La trovata incontrò favore: di lì a poco, tutte le donne presenti alla festa delle lanterne imitarono la bella Kan-si. Così nacque — secondo la leggenda cinese — il ventaglio che ben presto sostituì la maschera.

“Ventaglio Italiano I. Impero (Cornelia mostra i suoi gioielli).”

■ Altre dieci, altre cento, altre mille leggende simili potrebbero essere ugualmente narrate, credute o non credute. Ma, certo, il ventaglio trova le sue prime origini nell’oriente, ove fu, prima, un semplice istrumento di utilità, costruito con foglie di loto e di palme intessute, cui si sostituirono, in seguito, le penne di pavone. Uno storico giapponese ne attribuisce la invenzione all’imperatore Won-Wang fondatore della dinastia del Tcéou (1134 a. C.), e assicura che soltanto un tardo successore di lui, Kao-tsong (il quale regnò dal 650 al 683 dopo Cristo) fece fabbricare ventagli meno primitivi, e cioè con penne di fagiano, poiché ciò sembrava di buon augurio.

“Il ratto delle Sabine in un ventaglio dipinto da Romanelli.”

■ Di tali lussuosi ventagli fu proibito l’uso alle persone che non appartenessero a un certo determinato rango, consentendosi, alle altre, solo dei ventagli comuni: ecco perché ancor oggi, in molte cerimonie di gran pompa, si vedono, a fianco del personaggio che a quelle sovraintende (così per esempio, il Sommo Pontefice) due valletti recanti un ampio ventaglio di piume, aperto in cima a una lunga asta. Tale usanza si diffuse in particolar modo tra i popoli dell’antico Egitto (tanto che i principi al seguito del Re venivano chiamati appunto «porta-ventaglio del Re») essendo il ventaglio simbolo di felicità e di riposo celeste.

“Ventaglio attribuito a Watteau.”

■ Volta a volta che l’uso del ventaglio si andava diffondendo di popolo in popolo, il piccolo oggetto subiva una evoluzione, un miglioramento, un abbellimento, ma diveniva sempre meno pratico, perché, per esempio, presso i Romani, era in moda il ventaglio di piume con un manico così lungo che nessuno avrebbe potuto servirsene da solo. Onde, la necessità di schiavi che, dal nome del ventaglio, flabellum, furono detti flabelliferes, tanto più ricercati quanto maggiore era la loro grazia nell’adempiere al delicato incarico, non facile se si debba credere alla satira di Lucilio il quale racconta come «Ametrio, ventilando la piccola e leggiadra Artemidora dormente, la fece ruzzolare dal letto»…


“Ventaglio di Madame Tallien.”

■ Nell’uso europeo, il ventaglio fu introdotto all’inizio del dodicesimo secolo, ma solo le grandi dame ne avevano, poiché l’imperfezione dei mezzi di fabbricazione, la rarità delle fabbriche, e il pregiudizio, allora generale, che la ricchezza e la bellezza delle esteriorità fossero sinonimi, contribuivano ad aumentare considerevolmente il prezzo dei ventagli quasi tutti adorni di piume rare, di perle e d’oro. Soltanto nel sedicesimo secolo, l’uso si generalizza, in tal modo che Enrico Estienne scriveva, nei suoi Dialoghi del nuovo parlar francese: «le signore si sono così affezionate ai ventagli da non volerli abbandonare neppure durante l’inverno, e come d’estate, se ne servono per combattere il calore del sole, li usano d’inverno per combattere il calore del fuoco»…

“Ventaglio spagnuolo (fine XVII secolo).”

■ Si narra anche, a questo proposito, che alcune dame francesi chiedessero un giorno a Cristina di Svezia (la quale si trovava alla Corte di Luigi XIV) se convenisse portare il ventaglio d’inverno come di estate, al che l’altera regina, per la sua invincibile avversione a tutto ciò che facevano e dicevano le donne, rispose sdegnosamente :
— Non credo. Anche senza ventaglio (éventail) siete abbastanza sventate (eventées).
■ Ragione per cui, naturalmente, le gentildonne francesi adottarono subito il ventaglio anche per l’inverno…

“Ventaglio XVIII secolo appartenente alla Regina Vittoria.”

■ Così, esso divenne, a poco a poco, una piccola arma di civetteria femminile che, nascondendo la parte inferiore del volto permetteva, come una sottile maschera delle labbra, lasciando scoperti gli occhi, piccoli audaci giuochi di cui le dame moltissimo si dilettavano. Così un poeta poté scrivere che «il ventaglio di una bella dama è lo scettro del mondo».
■ E le belle dame, per verità, se ne servirono senza parsimonia, e ne vollero di sempre più belli, tanto che celebratissimi artisti si dedicarono a dipingerne, e taluno, conservato sino al nostri giorni, rappresenta oggi il valore di un capolavoro.
■ Ma non soltanto per le pitture o per i disegni i ventagli acquistarono pregio, sì anche per gli autografi che molte signore raccolsero su di essi. Oggi, la moda è alquanto passata, ma, sino a venti anni fa, nessuna signora sapeva sottrarsi alla consuetudine di chiedere a un uomo celebre, o. semplicemente a un adoratore, un verso, un motto, un pensiero di cui ornare il proprio ventaglio. Nel secolo scorso il ventaglio fu uno dei più gentili, comodi e comuni «galeotti» per le dichiarazioni d’amore…

“Ventaglio di Ninon de Lenclos.”

■ Non si creda pertanto, che l’uso di scrivere sopra i ventagli sia una trovata moderna: tutt’altro. I giapponesi — che del ventaglio fanno larghissimo uso — se ne servirono fin dai più remoti tempi come d’un vero e proprio taccuino sul quale annotavano per abitudine i loro appunti, e i Cinesi adottarono i ventagli-autografi per farne piccoli doni diplomatici. Si narra che, quando fu firmato il primo trattato tra la Cina e la Francia, il Commissario imperiale Huan offrì alcuni suoi autografi su dei ventagli. Il signor Di Lagrenée, plenipotenziario francese, rispose allora a quel dono con un altro ventaglio sul quale scrisse, improvvisandola, una lunga lirica, la quale costituisce ancor oggi, una rarità diplomatico-poetica conservata con molto riguardo in una ricchissima collezione cinese.

“Ventaglio Luigi XVI.”

■ Perché — è inutile dirlo — anche i ventagli han trovato i loro collezionisti i quali si sono specializzati nei diversi rami: ventagli dipinti, ventagli di piume, ventagli autografati, ventagli storici, ventagli bizzarri, e così via. La regina Vittoria patrocinò nel 1871 una grande esposizione di ventagli al South Kensington Museum e non è a dire quali e quante inimaginabili varietà ne comparvero da ogni parte. Nel 1874, una esposizione analoga ebbe luogo a Milano, e anche questa fu una nuova dimostrazione della infinità di tipi di ventagli che la fantasia umana è stata capace di creare.

“Ventaglio Luigi XIV.”

■ Né ancora la feconda fantasia dei fabbricanti si è esaurita: ecco che in questi ultimi anni se n’è creato un tipo nuovo.
■ Ma, ahimè! — buon’anima di Tomaso Carlyle! — anche il ventaglio, il piccolo grande alleato, della sottile civetteria femminile, è stato ridotto a un meccanismo: un arido ventilatore di celluloide, azionato da una molla, sostituisce il ventaglio fastoso di piume o trinato, il ventaglietto su cui un cavaliere aveva scritto, una sera….. ebbene, sì: al chiaro di luna… «amor che a nullo amato»…”

“Ventaglio moderno.”

Le donne italiane e l’industria del giocattolo (1916)

Da La donna, Anno XII, N. 285, 5-20 novembre 1916.

” ■ In altra parte del giornale [vedi in fondo: “Per il giocattolo italiano”, di Nino G. Caimi.] richiamiamo l’attenzione delle nostre lettrici sull’interessante problema dell’industria italiana dei giocattoli e del dovere patriottico che ha ogni donna veramente italiana di incoraggiare e favorire questa affermazione di italianità, anche perché i bambini formino i loro primi rudimenti di educazione e di gusto estetico su oggetti e creazioni industriali, che portino l’impronta e le caratteristiche nostre, di nostra gente.
■ Basta bambole tedesche e orsi americani! Si inventi, si crei, si comperi il giocattolo italiano! Vi è già in Italia una nascente industria del giocattolo nazionale, la si incoraggi, la si aiuti perché possa affermarsi vittoriosamente! Si chiamino a raccolta i nostri artisti e si chieda loro idee, foggie e creazioni nuove, ma soprattutto siano le donne italiane, le mamme italiane le prime, le più efficaci sostenitrici e propagandiste del nuovo verbo patriottico: Pei bimbi italiani vogliamo giocattoli italiani!

La Donna.”

Di Ester Danesi Traversari

” ■ Ho detto già come le donne friulane siano ispirate dalla più pura e appassionata italianità nelle loro opere civili, nelle loro opere di assistenza ospitaliera, in tutta la loro indefessa attività di guerra. Attività che in questa regione, vicina alle porte d’Italia e alla grande lotta gigantesca, richiede un più intenso fervore, un instancabile sentimento del dovere, una vibrante idealità.

“L’interessante mostra dei giocattoli italiani, organizzata a scopo di beneficenza a Udine. – Alcuni tipi di giocattoli nazionali.”

■ E pure le donne friulane, benché prese nel loro sentimento più profondo e nel loro tempo d’ininterrotto lavoro dalle opere di guerra, non hanno dimenticato di essere utili alla grande Madre anche nella creazione di opere di pace, e si sono adoperate e si stanno adoperando a formare nuove industrie, prima non esistenti, che debbono efficacemente sostituire quelle straniere di che il paese era invaso.
■ La sezione di Udine delle industrie femminili italiane, per opera della sua presidente, la prefettessa signora Bona Luzzatto Neilschott, che ad ogni iniziativa femminile s’interessa con grande attività e con grande intelligenza, ha fondato un Comitato per la fabbricazione dei giuocattoli, specialmente dedicandosi alla creazione di animali di ogni genere.
■ I grossi orsi bianchi, i teddy bars degli inglesi, le galline in vari colori, i galli chantecler veramente imponenti nella loro espressione orgogliosa, i cavallini, gli asinelli, i conigli, i cani, i topi, i pinguini, le foche, i porcellini… tutti i più svariati abitatori dei cortili, degli orti, dei mari e dei ghiacciai e delle foreste tropicali voi trovate raccolti nel laboratorio di Udine che le signore Renier e Nigris dirigono con impegno industrioso e artistico copiando i più bei modelli, creandone di nuovi con tali ottimi risultati ai quali sono per nulla superiori i prodotti della più raffinata industria straniera.

“Una delle caratteristiche della mostra: il giocattolo di stoffa e di lana.”

■ Nel piccolo ma nitido e ordinatissimo laboratorio provvisorio sono raccolte al lavoro tutte donne che si dividono i piccoli pezzi che compongono gli svariati animali di che son pieni i grandi armadi e che escono freschi e arguti dalle abili manine femminili.
■ Nello scorso ottobre la signora Bona Luzzatto Neilscholt volle riunire i prodotti dell’industria friulana dei giuocattoli in una piccola esposizione che è riuscita assai più importante di quanto la geniale promotrice osava ripromettersi.
■ Ivi figurarono assai lodevolmente i begli animali delle industrie femminili di Udine e con essi dei soldatini di piombo dell’ing. Facchini, dei lavori d’intaglio in legno del Martusiani ed altri prodotti dell’arte del ferro battuto e di altre più umili industrie fiorenti nel Friuli.

“Il soldato predomina tra i giocattoli ora di moda.”

■ Ora parte di questa esposizione emigrerà in quella del giuocattolo italiano che si terrà in Milano, e questo movimento di importante interesse nazionale è degno di ogni lode e di ogni incoraggiamento.
■ È necessario coordinare quest’industria nazionale che va sorgendo un po’ ovunque (anche nei laboratori femminili del Comitato di organizzazione civile di Venezia ho visto produrre di quegli animali, specialmente orsi). Non solo è utile far conoscere questa nuova nostra produzione, ma bisogna rendere agile e pratico tutto il movimento dell’industria operando similmente alla Francia che ha provvidenzialmente formato un’organizzazione nazionale quale la invocava anche in Italia Nello Tarchiani nel Marzocco, che provvederà a non disperdere forze produttrici e a mettere in valore degnamente il giocattolo italiano il quale spesso — anche se ben fabbricato — non risponde a quelle eleganti esigenze di presentazione alle quali ci ha abituato la più perfetta industria straniera.
■ Le donne possono molto operare in questa nuova, necessaria iniziativa che è tra le più sostanzialmente utili al paese, e mai saranno abbastanza lodate coloro che, disponendo di capacità e di mezzi, si adopereranno con savia modernità ad organizzare tale lavoro che apre un nuovo campo di ampia e patriottica attività femminile.”


Per il giocattolo italiano
Di Nino G. Caimi.

“■ Donna si è fatta già eco nelle sue pagine, di una tra le verità che la guerra non ha inventate, ma che però ha messo in valore, e che ha inchiodato davanti alla pubblica opinione con una evidenza e verità che parvero rivelazioni.
■ Nel primo divampare della guerra europea, l’Italia, come svegliandosi da un sogno, s’è accorta di una verità che precedentemente era rimasta tra i problemi di limitato interesse economico, o di accademico dibattito statistico, e cioè, dell’enorme contributo di danaro che annualmente un paese non ricco come il nostro offriva all’estero, non solo per oggetti di lusso, ma per un enorme quantità di prodotti che ingiustamente l’Italia doveva importare; fra questi, il giocattolo.
■ Nel 1913, dicono le statistiche come l’Italia abbia importato oltre 10.000 quintali di giocattoli, per un valore di circa 3 milioni di lire, provenienti in gran parte della Germania.
■ Per mutare questo indirizzo di cose occorreva un cataclisma come quello della guerra, ed un poco anche quel risveglio che la guerra ha portato ovunque.
■ Sotto lo stimolo della necessità, si è pensato che anche in Italia si sarebbe potuto avere una fiorente industria del giocattolo italiano, c mentre le poche fabbriche che prima vivevano assai modestamente per la fortissima concorrenza estera, aumentavano la loro produzione, si sentiva il bisogno di allargare gli orizzonti e il programma di questa industria. Si è pensato giustamente, che non bastava cercare di produrre in Italia più o meno a buon prezzo le bambole tedesche o i giocattoli di Norimberga, ma per dei bimbi italiani si doveva pensare ad un giocattolo italiano, rispondente ai nostri gusti e al nostro temperamento, e sopratutto, ai principî di educazione estetica infantile, che comincia col giocattolo.
■ Mentre quindi segnaliamo in questo stesso numero la geniale iniziativa delle signore di Udine per una riuscitissima esposizione del giocattolo friulano, mentre già abbiamo segnalato, con la dovuta lode, l’iniziativa della Principessa Laetitia, per la fabbricazione dei giocattoli per parte dei mutilati nel Castello di Moncalieri, Donna si propone di incoraggiare ogni manifestazione ed ogni tentativo atto a tracciare le linee e i gusti per il giocattolo italiano, e incoraggiare un’industria nazionale, pensando che tutte le donne, tutte le mamme, tutte le sue lettrici, possono e devono dare aiuto a questo nobile intento che è anche affermazione di italianità utile e pratica.
■ Intanto a Milano, con quel senso pratico che guida ogni affermazione della grande città lombarda, si è alacremente preparata, e si inaugurerà il 19 corr. una Mostra campionaria del giocattolo italiano per iniziativa di un benefico comitato di personalità maschili e femminili, a cui ha dato il suo valido patrocinio per la grande autorizzazione, quell’ente autorevole che è l’Unione Cooperativa.
■ Compongono il comitato esecutivo la signora Giulia Melzi D’Eril, il senatore dott. Luigi Della Torre, la signorina Boschetti Elisa, la signora Bettina Della Valle di Casanova, il cav. Pietro Cantù, il cav. rag. Alfredo Ficcarelli, il comm. arch. Giuseppe Gatti Casazza, il cav. Alessandro Mazzucotelli, il comm. ing. Carlo Tarlarini e l’ing. Antonio Vallardi, e colla maggiore fiducia sono attesi i risultati di questo convegno, destinato a mettere in evidenza le grandi energie italiane, e sopratutto a stimolare la grande schiera dei nostri artisti, che non dovrebbero disdegnare questa forma originale di applicazione artistica, e col concorso dei quali solamente sarà possibile dar vita ad un vero giocattolo italiano.”

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