Visioni dell’antico Egitto presso le rive del Tevere (1914)

“(A proposito del gran ballo egizio dato dalla Società Romana)”

Da La Donna, Anno X, N. 224, 20 aprile 1914.
Di Anton Giulio Bragaglia.

” ■ Notti voluttuarie, nella mollezza blanda delle luci colorate più esangui o barbariche, nel velame dei vapori e degli incensi, nel fulgore abbacinante delle luci vive. E tante signore, belle come tante Salomè, come tante Erodiadi, come le antiche Regine.

“La festa egizia a Roma: UN SUPPLICE (La contessa Piccolomini).”

■ La velata luminosità dei sogni più fantasticamente sfarzosi, aureolando la maravigliosa bellezza ieratica della baronessa Nata-Blanc, la dea creatrice della evocazione grandiosa e lussuosa, ha vestito di un’aura fatata i saloni incantati, ove cento principesse romane imperavano.
■ La trionfale pompa dei costumi orientali più fastosi, e il favoloso pregio dei gioielli donde erano cariche le signore convenute innanzi alla misteriosa imponenza muta della Sfinge colossale, tutta evocavano la suggestività delle visioni sacre dell’antico Egitto, che la baronessa Blanc ha voluto far risorgere in una notte d’incantesimo.
■ Le stoffe preziose, le armature più belle, tra le tende orientali pieganti in alto e cadenti, tra gli abbigliamenti fantastici dei personaggi del Sogno di Bit-Anati, creavano una macchia decorativa di tono armoniosissimo, pur essendo essa costituita dai colori più selvaggiamente ardenti. Ogni particolare tendeva a difendere i veli del bel sogno. Così gli schiavi Numidi, e quelli di Siria, vestiti di pelli ferine, ancor essi erano ritti presso ogni porta delle sale interne, nel palazzo egiziano, a rappresentare i loro eguali antichi.

“Una ancella. (Fot. Gustavo Bonaventura – Roma).”

■ E tutte le sale erano egizie. Velluti, rasi, veli constellati, piume, serpenti verdi, merletti, ricami d’oro, pompe di tutto un sogno imperiale e divino, ridevano su le pareti e sul corpo delle principesse, fuggivano verso gli angoli delle alte sale, avvolgevano la sommità dei simboli, si profondevano negli angoli misteriosi di buio, apparivano e scomparivano tra le gigantesche piante esotiche, si muovevano sotto gli architravi, invadevano i soffitti.
■ I personaggi, solenni e belli, incensavano i misteriosi iddii, si immolavano con religiosità profonda, nella magnificenza nobilissima dell’ambiente ove fumavano gli aromi bruciati nei tripodi altissimi.
■ I lampadari dalla soave luce diffusa, non facevano meno stupefacenti le fughe di paesaggi egiziani, avvolti nelle nebbie sorte dalla valle del sacro Nilo, mentre gli antichi iddii rigidi e dritti, incassati nelle alte muraglie del palazzo favoloso, miravano, pietrificati, lo splendore della evocazione.
■ Gli strani idoli solenni, carichi di gemme sacre, vestiti d’oro e di porpora, quasi proteggevano con i misteriosi gesti bizzarri ed ambigui le belle principesse inchine. E i presenti, già stupiti, miravano la fantasticità della visione meravigliosa.
■ Però in fondo alla sala, in alto, nella mistica atmosfera, il fascino della regina Bit-Anati, sfarzosamente vestita tutta d’oro e di perle, riposava in un superbo letto egizio tra le pelli di leone, mentre quattro piccoli neri, immobili, le stavano accovacciati ai piedi, e mentre la tutta verde dorata principessa del soglio stava ritta presso il trono imperiale, incidendosi nella nera vastità dello sfondo.

“La contessa Piccolomini. (Impressione di G. Bonaventura – Roma).”

■ La bellezza di donna Nata-Blanc aveva prestato il suo fascino alla regina Bit-Anati per l’incantesimo dei presenti, e donna Margherita Ruspoli-Blanc aveva voluto parimenti vestirsi d’oro verde, nel personaggio del sogno. Intanto gl’idoli solenni si muovevano nelle eccelse nicchie.
Iside, la splendente baronessa Montanaro — Amset, il conte Enea Silvio Piccolomini, scolpito nell’indaco — Neont, la velata marchesa Dusmet, ornata dagli ori più gialli — Nephthys, donna Stefania Paternò, meravigliosa, muovevano le sacre persone tra i cento altri iddii: Maat, Anulus, Thout, Nhator, che celavano molte signorine e signore e signori, come le signorine di Sangro e Pignatelli, Mrs. Stoiceno, il barone Hye, Ms. Harricon.
■ Le dee si muovono e la folla di gente d’Asia e d’Africa agita le mitre, le armature, gli sciamanni, le braccia ignude, innanzi al favoloso spettacolo.


■ La favola, genialmente pensata dalla baronessa Blanc, comincia a svolgersi nel scintillante e variopinto salone.
■ La regina Bit-Anati, adagiata sull’alto letto, si è abbandonata al sonno, ed il suo sogno comincia a sfolgorare mentre l’atmosfera della scena è ancora immersa nelle profondità cupamente azzurre che la sacerdotessa della dea Bastit — la contessa Piccolomini — tra il fumo dei tripodi, comincia a rischiarare con le luci degli altri tripodi incendiati.
■ I fuochi azzurri e purpurei di questi vestono allora la sacerdotessa, vagante intorno alla dormente Regina, e i vapori si elevano e i canti sommessi si spandono nella notte azzurra.
■ Tra le zampe colossali della sfinge, intanto, si desta la Memoria della Sfinge — la baronessa Maria Blanc — ed è tutta fremente, ancora, delle recenti visioni.
■ Albori pavonazzi e azzurrini e violacei, precedono le luminosità rosee dell’aurora imminente. La vibrante vita comincia a palpitare intorno, e quindi, fattosi il giorno vivo, echeggiando una solenne marcia trionfale, Ramsete II, il figlio del sole, Mai-Amon, quattrocentoventiquattresimo re d’Egitto, si avanza ed appare, superbo delle vittorie e del bottino mostruoso e dei prigionieri avvinti dalle pesanti catene.
■ Appresso al carro del vincitore s’avanza, prigione, la regina di Mount, circondata da venti guerrieri e trascinante catene d’oro.
■ Il vincitore — principe Rospigliosi — è così entrato con la prigioniera, marchesa della Gandara, circondata dal duca di Montragone, dal conte Middliton, dal marchese de Alcedo, dal barone A. Kanzler, dal conte Gisiti, dal marchese Buti Rossi, dal barone Skrhenskv, dal conte G., Chiassi, dal marchese Campanari, da don Mondo Chigi, dal sommo sacerdote conte Thaon de Revel.

“La baronessa Blanc, organizzatrice della festa, nella parte della Regina Bit-Anati. (Fot. Gustavo Bonaventura – Roma).”

■ Le musiche si profondono nelle vastità mistiche dei toni religiosi. La dea Bastit — donna Margot-Ruspoli, tanto bella nel suo costume azzurro — accenna con il miracoloso scettro, e allora, superba, magnifica, entra in una lettiga ornata da fregi d’oro Semiramide, vestita di nero e di oro, scortata dagli arcieri d’Assiria.
■ Da Babilonia la leggendaria imperatrice viene a inchinarsi ai piedi mostruosi della solenne Sfinge, affinché il popolo cosmopolita, spettatore, possa bearsi della bellezza di lady Rodd, ambasciatrice d’Inghilterra, nella veste della favolosa regina di Babilonia. Il comm. Adolfo Apolloni, alto e imponente, ornato di corazza e di arco, guida il corteo nel quale il prete assiro, barone Kanzler, il principe di Liechtenstein, il conte Zsepticki, il barone di Rothenan, il conte Negroni Morosini, il barone Ermanno Kanziler, fanno magnifica figura come personaggi meravigliosamente ridestati, dopo 1200 anni.
■ Però la geniale e squisita fantasia della baronessa Blanc non certo qui fa cessare le visioni suggestive.

“La baronessa De Renzis. (Impressione di R. Bettini – Roma).”

La Regina di Saba, d’Akum e dell’Homyar, tutta d’oro, entra seguita da nuovo corteggio: uno stuolo di principesse e uno di schiave impagabili. Con la bellezza di madame Terry, vengono così la duchessa di Castoria, donna Isabella Ruffo, la principessa di Cuttò, coronata di serpi, la marchesa Gourbon del Moute, la marchesa Spalletti, la contessa Szepiuschi e un Astrologo dal capo ornato di infule. La Regina di Saba s’inchina a Salomone — il principe di Lobkovitz, bianco-azzurro — e poi riparte, lasciando una tra le impressioni più belle.
■ Una sottile musica di arpe, preannunzia allora una bizzarrissima danza di piccoli neri. Poi l’elegantissimo e lento incesso di due snelle sacerdotesse di Tamit, vestite d’oro, recanti i turiboli fumanti — le signorine de Bildt e Walderen Rengers — precede Salambò, in costume bianco guarnito d’argento, che va a ringraziare, con le proprie sacerdotesse e i guerrieri, la immane Sfinge per la conquista del Sacro Velo.
■ La principessa di Castagneto, seguita da donna Rosalia Boncompagni, da donna Maria Sofia di Trabia, da donna Teresa Patrizi, da donna Ilda Orsini, giovani e piene di fascino, è entrata protetta dai guerrieri: don Andrea Boncompagni, marchese Dunnet, signor Barzeto, ecc.
■ Però Cleopatra, simboleggiata dalla principessa di Teano, che tutto poteva donare alla favolosa bellezza della domatrice di Cesare e nulla farle perdere, si avanza tra un tumultuoso popolo di guerrieri, di principesse, di ancelle, di coppieri, di sacerdotesse, di schiavi che portano cofani preziosi, uccelli rari, farfalle, palme, parasoli, e doni, doni, doni.
■ È circondata dalle più mirabili bellezze: la principessa Potenziani, la marchesa di Bugnano, la baronessa Aliotti, donna Giuseppina Giorgi Menotti, la signora Marconi, mrs. Parr, miss Lorillard Ronalds, la duchessa di Presenzano, donna Anna Camporeale, la contessina Bianconcini, donna Annarella Grazioli, e, tra gli uomini, il barone Campagna, don Giulio Torlonia, il principe di Solofra, che era un imponente etiope, il conte Palmieri, il principe d’Abro, Tyrwith, ecc.

“La Regina. (Impressione di G. Bonaventura – Roma).”

■ Passa Cleopatra ed entrano Erode ed Erodiade, dopo il nuovo cenno di donna Margot Ruspoli: la dea Bastit.
■ Don Guido Antici Mattei, dal costume sfarzoso, entra con madame Nelidow, conducendo Salomè innanzi alla muta Sfinge, per impetrare dalla onnipotente la grazia di perenne giovinezza alla bella adolescente. E Salomè è la signorina De Alcedo, che eseguisce innanzi alla dea una danza sacra, di assai squisita grazia, mentre una soave nenia egizia, modulata dalla gola di velluto di miss Clark, si spande dolcemente nell’aria muta e piena di fremiti.

“La duchessa di Castoria. (Impressione di R. Bettini – Roma).”

■ La Memoria della Sfinge si vela, si affoga nelle turchine profondità cupe dello sfondo e la visione muore.
■ Con le più accecanti luci, il valtzer della Vedova Allegra squarcia ad un trattol’atmosfera incantata.


■ Nei quadri plastici, quasi le medesime visioni sono state ripetute dagli stessi personaggi. La Regina di Saba è apparsa innanzi al trono di Salomone. Semiramide si è aggirata nei giardini pensili di Babilonia. Salomè ha danzato la sua danza e la principessa di Teano ha guidato questo spettacolo assai riuscito per la perfetta organizzazione.
■ Sarebbe temerario voler dire lo squisito buon gusto che ha inspirato le signore nel fasto dei loro costume; la ricchezza dei fiori e della decorazione; la finezza delle gioie, della musica e dei profumi, e la genialità delle idee che hanno composta così magnifica festa.

“Gruppo generale dei favolosi personaggi che hanno partecipato al Gran Ballo di beneficenza organizzato dalla Baronessa Blanc al Grand Hôtel di Roma.
(Gutavo Bonaventura, Roma)”

■ La baronessa Blanc non meglio poteva far trionfare la propria bellezza e la propria squisita fantasia, se non sognando questo bel sogno di Regina e adunando così eletta e sfarzosa folla di amici.”

Le suffragiste a Congresso (1920)

Da Il Secolo XX, Anno XIX, N. 8, 1 agosto 1920.
Di M. Ancona.

” ■ «Non vi sono state Erinni nelle ultime assise del femminismo»: così concludeva non senza meraviglia, le sue impressioni sul Congresso suffragista di Ginevra un giornalista svizzero, e ne attribuiva la ragione alla guerra che avrebbe, secondo lui, calmati gli spiriti bellicosamente anti-mascolini delle suffragette dei due mondi. Lo scrittore svizzero sbagliava: la calma del congresso di Ginevra, la mancanza di discussioni ardenti sui suprusi maschili e le ribellioni femminili, che caratterizzarono altre riunioni, sono state causate non dalla guerra, ma dal trionfo della stessa causa suffragista per cui si agitarono, prima della guerra, le Erinni del femminismo.

“La proclamazione delle vittorie suffragiste nella prima seduta.”

■ Dei 43 paesi rappresentati al Congresso 25 (in Europa l’Austria, la Cecoslovacchia, la repubblica Tatara di Crimea, la Danimarca, l’Ungheria, la Germania, l’Inghilterra, la Norvegia, l’Irlanda, la Finlandia, l’Ucraina, la Polonia, la Svezia e ia Russia; in Asia i sionisti di Palestina; in America gli Stati Uniti e il Canadà; in Affrica la Rodesia e l’Affrica orientale inglese; tutta l’Australia e la Nuova Zelanda) 25 paesi dico hanno concesso alle donne quello che le suffragiste chiedevano con le buone e le suffragette con le brusche, cioè i pieni diritti politici: due (la Serbia e il Belgio hanno dato il voto amministrativo: in quasi tutti gli altri la questione è già innanzi ai Parlamenti. Contro chi avrebbero dovuto agitarsi le moderne Erinni?

“Il manifesto del Congresso: «Elettori date il voto alle donne per salvare i bambini».”

■ Certo se la guerra, coi suoi dolori, e lo stesso imbarazzo di trovarsi per la prima volta con le rappresentanti dei paesi nemici, non avesse spenta la fresca vena dell’entusiasmo, il Congresso di Ginevra sarebbe stato un sol grido di trionfo e sì sarebbero rinnovellate le esplosioni di allegrezza che nel 1913 a Budapest salutarono le 4 o 5 delegate recanti l’annunzio ufficiale delle prime vittorie.
■ Ma l’entusiasmo rumoroso, gli applausi scroscianti che mancarono alle sedute ufficiali del congresso da parte delle più direttamente interessate, si ebbero invece nelle riunioni pubbliche serali. Nella sala del Palazzo Comunale di Plainpalais (sede del Congresso) o in quella vastissima della Riforma, una folla ogni sera più numerosa si accalcava attratta prima dalla curiosità di vedere le orientali dai costumi pittoreschi, o le americane dall’eleganza sfarzosa, Miss Royden, la predicatrice che aveva officiato il giorno prima dal venerando pulpito di Calvino, o Lady Astor dal sorriso affascinante: avvinta poi dall’eloquenza delle oratrici, dall’interesse stesso delle riunioni.
■ Altre volte, in occasione di altri congressi femminili (memorabili i due ultimi, quello dell’Alleanza internazionale suffragista a Budapest nel 1913 e quello del Consiglio Internazionale delle donne a Roma nel 1914), si era avuto uno spiegamento di forze intellettuali; ma mai prima del Congresso di Ginevra si erano rivelate le forze politiche femminili.
■ Il grande numero di deputate e di consigliere comunali, l’essere la assoluta maggioranza delle delegazioni composte di elettrici, diede al Congresso un’aura politica, che fu la sua caratteristica e la ragione prima del suo successo, proclamato piuttosto che dalle congressiste, dal pubblico svizzero, del meno suffragista, cioè, dei paesi occidentali.

“Un gruppo di suffragiste sulla porta del Palazzo Comunale di Plainpalais.
In mezzo le delegate del Governo Giapponese e Turco.”

■ Per questo la più caratteristica delle riunioni del Congresso fu quella dedicata alle donne parlamentari: presidente la decana delle deputate europee, la imponente signotra Furuhjelm del parlamento finlandese,oratrici quattro deputate, una ex-senatrice e una ex-ambasciatrice; deputate e consigliere comunali affollate sul palcoscenico;argomento dei discorsi, l’esperienza personale delle donne parlamentari nella loro vita politica. E se il pubblico, benché stanco dopo una lunga serie di discorsi, fece una accoglienza trionfale all’ultima oratrice, Lady Astor, la popolarissima deputata inglese, non fu solo per la sua umana e vibrante eloquenza, ma perché vedeva in lei, così graziosa, elegante, giovane e vivace, la condanna di tanti pregiudizi contro le donne politiche o politicanti.
■ Un’altra caratteristica del congresso fu il grande numero di delegate ufficiali dei governi del vecchio e del nuovo mondo: non solo gli Stati emancipati (che si fecero rappresentare quasi tutti da deputate) ma anche moltissimi paesi che ancora non hanno dato il voto alle donne, dal Giappone alla Serbia, dall’Uruguay alla Turchia, mandarono a Ginevra le loro rappresentanti ufficiali. Solo la repubblica francese, sempre cavalleresca, mandò un uomo, l’on. Godard, e l’Italia, per non compromettersi, non mandò nessuno, (come, del resto, fece la Svizzera). Vero è che per rappresentare gli assenti c’era la delegata della Lega delle nazioni, la silenziosa signorina Wilson.
■ Ma più che i delegati, o le delegate ufficiali interessarono il pubblico le rappresentanti dei paesi nuovi al movimento femminista e suffragista: le donne dei paesi di lingua spagnola, venute dalla Spagna, dall’Argentina, dall’Uruguay, le balcaniche (serbe, bulgare, greche) e specialmente le asiatiche. Una riunione serale in cui parlarono, oltre alla elegantissima sig.ra Daniels, in rappresentanza del presidente degli Stati Uniti d’America, alla dott. Luisi (italiana di nome e di origine) pel governo dell’Uruguay, alla bellissima signora Terrouk Kibristy pel governo turco, tre indiane e due giapponesi, fu certamente la più pittoresca e la più riuscita delle sedute pubbliche. Sul piccolo palcoscenico, fra i fiori e le eleganze occidentali delle delegate europee e americane, accanto alle bionde figure evanescenti delle islandesi, erano uno spettacolo di per sé attraente le brune figure delle indiane, avvolte in sfarzosi veli trapunti d’oro e d’argento, le piccole giapponesi chiuse nel serico costume nazionale: e le une e le altre esprimendosi in eccellente inglese, si rivelarono oratrici provette e strapparono al pubblico gli applausi più sinceri e fragorosi; sia che la signora Gauntlet (una giapponese autentica nonostante il nome e il marito inglese) scusasse la lentezza delle sue compatriote nel partecipare al movimento suffragista; sia che con pacata eloquenza le signore Chandra Sen e Tata ricordassero le gloriose tradizioni della donna indiana come compagna dell’uomo e partecipe di quella vita politica e civile, dalla quale, con l’uomo, fu esclusa per la conquista inglese, e alla quale essa chiede di partecipare di nuovo ora che agli uomini indiani sono stati concessi i diritti politici: sia, infine, che la ardente poetessa Saroyni Naidu elevasse, con voce sonora e musicalmente modulata, un inno vibrante di poesia e scintillante di immagini.

“La sig.a Despard, sorella del maresciallo French e nota militante, in un gruppo di suffragiste inglesi.”

■ Quanto lontano tutto questo dalle tradizionali riunioni polemiche delle suffragiste! Eppure nella Svizzera, così poco femminista malgrado la sua grande democrazia, un ritorno all’antico non poteva mancare: e proprio per iniziativa delle associazioni locali fu fatto una specie di grande comizio con una conferenza polemica (bellissima conferenza del resto) della avvocatessa Vérone di Parigi con proiezioni di fotografie suffragiste e la presentazione al pubblico delle delegate dei 19 paesi emancipati dopo il 1913. I ginevrini parvero gustare moltissimo e il discorso della avv. Vérone e le fotografie argutamente commentate dalla signora Nathan e i discorsetti delle delegate: forse anche erano contenti di sentire un poco di buon francese dopo una valanga di discorsi in inglese e in… americano, e ne furono grati alla organizzatrice, la sig.na Gourd, una suffragista svizzera piena di grazia e di spirito.

“La sig.a Gauntlet, delegata del Gov. Giapponese.”

■ Minor sfoggio di eloquenza, più abilità polemica, si ebbe nelle sedute del Congresso: dal 1913 l’Alleanza Internazionale suffragista non si riuniva e in questi 7 anni la questione del voto alle donne ha fatto tali passi da giustificare la proposta radicale di sciogliere addirittura l’Alleanza, o di dividerla in due gruppi, l’uno dei paesi emancipati, l’altro di quelli che ancora lottano per l’eguaglianza politica. Generosamente la Danimarca, per bocca del deputato Berendsen e della deputata Munch, sostenne a spada tratta che l’Alleanza deve continuare a vivere senza divisioni, col solo scopo di aiutare le donne ancora prive dei diritti politici a conquistarlo, e che a questo fine devono lavorare specialmente le donne dei paesi, per dirlo nel gergo suffragista, emancipati. Il Congresso adottò, come sempre accade, una via di mezzo: l’Alleanza continuerà a lavorare rafforzata dall’adesione delle società dei paesi di lingua spagnola e slava, dei paesi balcanici e dell’estremo oriente; lavorerà per il suffragio femminile, ma allargherà il suo campo d’azione anche a quelle che si chiamano questioni femminili e che possono interessare le donne dei paesi emancipati: e nel prossimo congresso le rappresentanti di questi paesi avranno una giornata tutta per loro, sotto la presidenza della decana delle deputate di tutto il mondo, la signora Furuhjelm, del Parlamento finlandese.
■ Per verità a Ginevra non si parlò solo del voto e anche le così dette questioni femminili furono trattate, specialmente nella discussione sulla proposta di una carta della donna: ma dalla discussione apparvero due cose: che in parecchi Stati (in quelli scandinavi per esempio) le donne hanno già ottenuto, dopo l’emancipazione politica, tutto ciò che un congresso mondiale può ragionevolmente chiedere, e forse qualche cosa di più: che su molte questioni (quella della protezione del lavoro femminile per esempio) non è possibile una unità di opinioni fra le donne di tutto il mondo. Perciò la carta della donna fu meno pomposamente battezzata programa minimo di rivendicazioni femminili e come tale comprende i desiderata delle suffragiste sulla abolizione della soggezione femminile (dalla schiavitù vera e propria all’istituto della autorizzazione maritale) sulla ricerca della paternità e la protezione dell’infanzia e della maternità, sulla legislazione del matrimonio e del divorzio, sulla protezione del lavoro femminile, sulla morale unica, ecc.

“Il Consiglio della Alleanza e le presidenti delle Associazioni suffragisti dei cinque Continenti nel salotto della sig.a Chapman Catt.”

■ Queste discussioni, la istituzione di un segretariato femminile in rapporto con la Lega delle nazioni incaricato di studiare e sottoporre alla Lega le questioni femminili internazionali, come quella per esempio della nazionalità della donna maritata, la trattazione degli affari interni della Alleanza, che raccoglie le Federazioni suffragiste di tutto il mondo, le elezioni del nuovo consiglio, nel quale entrò per la prima volta una rappresentante dell’Italia occuparono tutte le sedute del Congresso e, come accade in tutti i Congressi che si rispettino, non tutti gli argomenti furono esauriti, quantunque, a differenza di quel che accade nei Congressi maschili, chiacchiere inutili, e discorsi retorici quasi non se ne siano fatti, un po’ per il buon senso delle delegate, un po’ per l’energia della sig.a Chapman Catt, una presidente che sarebbe capace di far rigare dritto anche il Parlamento italiano. Qualche cosa dunque resterà da discutere al prossimo congresso il quale sarà fra due anni a Parigi, se le Francesi non avranno il voto prima, nel quale caso sarà a Bucarest. Che se anche le Rumene avessero il voto, si potrebbe andare nell’Uruguay, o addirittura nel Giappone — e le Francesi e le Rumene non sarebbero forse invidiose…
■ Ma a Parigi o a Tokio, a Bucarest o a Montevideo il prossimo congresso non avrà un aspetto molto diverso da quello di Ginevra: il grande svolto nella storia dei congressi suffragisti è stato da Budapest a Ginevra, dal 1913 al 20: allora si trattava di lottare per imporre il principio teorico della partecipazione delle donne alla vita politica; e la propaganda, la polemica, con gli avversari, uomini e donne, e magari contro gli uomini e le donne, informavano lo spirito delle associazioni e delle delegate: ora il principio teorico è accettato universalmente e si tratta solo di trovare il modo di metterlo in pratica, pacificamente, dovunque.
■ Ciò che, tuttavia, non è molto facile, come sanno le suffragiste svizzere, e anche quelle italiane.”

Per l’estetica delle stazioni ferroviarie (1927)

Da Le Vie d’Italia, Anno XXXIII, N. 2, febbraio 1927.
Di E. Tedeschini-Lalli.

” ■ Un articolo comparso nella Rivista del Touring del marzo 1912 illustrava e commentava i promettenti risultati del primo Concorso delle «Stazioni fiorite», che si era svolto nel precedente anno delle Esposizioni cinquantenarie.
■ L’articolo era del compianto ed amato nostro Presidente del Touring che, col prof. Vittorio Alpe, Presidente della Federazione Italiana dei Consorzi Agrari, aveva dato anima a questa iniziativa allora novissima in Italia.
■ «Siamo proprio agli albori — concludeva L. V. Bertarelli parlando dell’amore dei fiori coltivati per la decorazione — ma il movimento è incominciato e per ciò che riguarda le stazioni principia con vigore su basi pratiche e promettenti, Avanti!»
■ Con la fede e la costanza che a quelle tempre di organizzatori non faceva difetto, si proseguì infatti sulla buona via negli anni successivi e con risultati sempre migliori.
■ Lo spirito di emulazione, tenuto desto fra i Capi stazione, produceva i suoi frutti ed il loro gusto nell’arte della decorazione floreale si andava così a mano a mano formando e perfezionando.
■ Ma il sopraggiungere della guerra mondiale troncava sul nascere il promettente movimento e quei primi risultati andavano presto distrutti.
■ Finita la guerra, non vedemmo purtroppo tornare, con la pace, quella tranquillità sociale nella quale solo può nascere ed esercitarsi il culto del bello.

“Stazione di Macomer (Cagliari) (Premio di medaglia d’oro).”

■ E le nostre stazioni furono ogni anno più trascurate. Nessuno poteva pensare, in quei disgraziati anni del dopo guerra, a ridar vita ad una iniziativa di abbellimento che avrebbe trovato certamente indifferente l’Amministrazione ferroviaria ed indolente o restio il personale.
■ A questo si poté pensare solo quando la pace sociale fu finalmente conquistata e lo Spirito e l’ordine nuovo ridestarono nei ferrovieri l’esatta e viva coscienza dei propri doveri.
■ In questa atmosfera di tranquillo lavoro, la rinascita di ogni sentimento generoso e gentile offriva la migliore e più sicura base per la ripresa della bella iniziativa.
■ Questo fu felicemente intuito dall’Ente Nazionale per le Industrie Turistiche quando, avvicinandosi l’anno giubilare, pensò di far assumere un aspetto più lindo e più gaio alle stazioni ferroviarie che avrebbero fatto gli onori di casa ai convogli dei pellegrini, accendendo fra esse una nuova e più vivace gara di abbellimento.
■ Fu così che, a distanza di molti anni, la serie dei concorsi si riapriva e questa volta in molto migliori e più promettenti condizioni.
■ Il vivo interessamento subito dimostrato da S. E. Ciano e dal Direttore Generale delle Ferrovie, i rapporti di collaborazione normalmente esistenti fra l’Enit e l’Amministrazione ferroviaria e la diretta partecipazione di questa all’organizzazione del Concorso, costituirono i nuovi e decisivi elementi della rapida affermazione della iniziativa, alla quale non era mancata l’entusiastica adesione dei due Istituti che ne avevano la tradizione, il Touring e la Federazione Italiana dei Consorzi Agrarî.
■ I risultati pratici della prima gara svoltasi durante l’Anno Santo, tutti li hanno potuto vedere trovandosi a passare o a sostare in stazioni ben note, che apparivano quasi irriconoscibili, tanto erano state trasformate nella loro veste, ora linda e pulita.
■ Dopo questa specie di esperimento così ben riuscito, non restava che persistere con metodo; e per il 1926 si pensò giustamente di portare la gara nelle linee delle regioni meridionali ed insulari.
■ La diretta partecipazione dell’Amministrazione ferroviaria consigliò di attenersi ai Compartimenti organici e furono così chiamate a concorrere le stazioni comprese nei Compartimenti ferroviari di Napoli, Bari, Reggio C. e Palermo e nella Delegazione di Cagliari.

“La stazione di S. Pietro Vernotico (Lecce). (Premio di medaglia d’oro)”

■ Di questo Concorso debbo particolarmente parlare.
■ Non basta aver avviato tanti ferrovieri nell’arte della coltivazione dei fiori destinati alla decorazione; non basta aver rallegrato la vista di migliaia di viaggiatori che hanno intravisto dai finestrini delle carrozze fuggenti le oasi policrome o hanno gradevolmente ingannato la noia delle lunghe attese nelle stazioni, dinanzi al verde riposante di un giardinetto, dove l’uggia scompare e il viaggiatore non si sente più solo se può ammirare una massa fiorita di pelargoni, di petunie, di dalie o di verbene, un pergolato di glicine spioventi o di rose rampicanti dai vivaci colori. Tutto questo deve essere fatto conoscere ed apprezzare anche a chi non ha potuto vedere; perché il principale valore di queste gare sta appunto nella loro azione educativa che lascia tracce durature nel personale e nel pubblico.
■ Quando, sul finire dell’anno scorso, il Comitato cominciò la organizzazione pratica del Concorso, ben rare erano le stazioni che presentassero appena qualche principio di adornamento floreale.
■ Le superfici di terreno adiacenti ai fabbricati, specialmente nelle stazioni dei Compartimenti di Reggio Calabria, di Palermo e della Sardegna, erano utilizzate per depositi di materiali o presentavano l’aspetto di terra incolta, con qualche pianta selvatica, sterpi ed erbacce.
■ Anche dove la passione di pochi era riuscita a creare un embrione di giardino, avevano pensato i successori a lasciarlo deperire, sfruttando, tutt’al più, i terreni adiacenti alle stazioni per coltivazioni ad orto o a cereali.

“Stazione di Gioia Tauro (Reggio Calabria). (Premio di medaglia d’oro)”

■ Tutto dunque era da fare ed il tempo disponibile era molto breve: in sei mesi dovevano sorgere fiori e piante dove non erano che erbe selvatiche. Si pensi ad un Capo stazione che, senza pur possedere, in molti casi, gli elementi primi dell’arte del giardinaggio, deve risolvere un problema così arduo, dedicandovi il poco tempo che gli resta fra un treno e l’altro, e quando glielo consentono le esigenze non lievi del servizio! Preparare ed adattare il terreno incolto, cercare semi e piante in centri spesso molto lontani, procurare l’acqua mancante o scarsa in molte stazioni del Mezzogiorno e della Sardegna e poi preservare le delicate culture dal clima torrido e dalle forti correnti di vento. Tante e così gravi difficoltà, in così breve spazio di tempo e con mezzi tanto limitati, potevano solo vincere la energia e lo spirito di iniziativa dei nostri Capi stazione, aiutati — giova dirlo — dall’Amministrazione e specialmente dai Capi dei Compartimenti ferroviarî.

“Stazione di Letojanni (Messina). (Premio di medaglia d’oro)”

■ Ben 510 stazioni, su 618 chiamate a concorrere, hanno preso parte alla gara e la relazione della Giuria ricorda che la percentuale dell’83% dei concorrenti non era stata mai raggiunta in nessuno dei precedenti concorsi.

“Stazione di Santa Flavia-Solunto (Palermo). (Premio di medaglia d’oro)”

■ Ma occorre aggiungere che in tutte le stazioni, anche in quelle che non hanno partecipato al Concorso, si nota la tendenza ad abbellire la propria sede e quei Capi stazione — pochi davvero — che non giunsero in tempo a presentare qualche cosa di completo, hanno pur preparato il terreno ed iniziato la disposizione delle aiuole, col proposito di provvedere, per la prossima stagione, alla trasformazione completa delle aree a giardino.

“Stazione di Piazza Armerina (Caltanissetta). (Premio di medaglia d’argento)”

■ Le coltivazioni ad orto od a cereali vanno così a mano a mano scomparendo o sono in gran parte sacrificate per l’impianto dei piccoli giardini. È il mirabile effetto dell’azione educativa di queste gare che spinge ad abbandonare l’attrattiva di un tornaconto immediato e personale per un più nobile ed alto concetto di estetica e di bellezza.

“Stazione di Trani (Bari). (Premio di medaglia d’oro)”

■ La giuria, dopo un esame attento e paziente dei pregi e dei difetti delle varie decorazioni, ha premiato 205 stazioni distribuendo 21 medaglie d’oro, 11 di vermeil, 102 di argento e 71 di bronzo, oltre a 52.000 lire di premi in denaro e gratifiche al personale subalterno di tutte le stazioni premiate.
■ Il primo premio è toccato alla stazione di Macomer. Nella modesta stazione sarda che trae la sua importanza ferroviaria dall’incrocio con le linee secondarie verso Nuoro e Bosa, nulla esisteva prima del Concorso. Quello che ha saputo fare in pochi mesi quel Capo stazione, Giovanni Spada, vincendo le avversità della dura roccia e dell’argilla arida, ha voluto descrivere con penna di maestro Carlo Montani nel quotidiano di Roma Il Messaggero, facendo giustamente di lui un modesto eroe della gara di quest’anno. Sacrificio e denaro ha egli speso con entusiasmo ed il giardino che adorna ora la stazione è un piccolo gioiello del genere. Il gusto nella distribuzione delle piante da fiori, degli alberi e dei piccoli viali hanno rivelato un’anima di artista.
■ Peccato che la fotografia che pubblichiamo della stazione non dia che una pallida idea del suo lavoro.

“Stazione di Carovigno (Lecce). (Premio di medaglia d’argento)”

■ Ma dobbiamo aggiungere che Giovanni Spada ha fatto qualche cosa di più che abbellire la propria stazione: ha voluto anche aiutare nella gara i colleghi delle altre stazioni della Sardegna, fornendo loro disinteressatamente fiori e piantine. Tanto ha potuto la passione dei fiori da far superare in lui ogni legittimo egoismo di concorrente!
■ E la Giuria ha tenuto particolare conto di questa virtù singolare.
■ Sulla Foggia-Bari molte stazioni hanno gareggiato in bellezza; ma più completa ed armonica è sembrata Trani. Le fanno ala due graziosi giardini a grandi aiuole con palme e rose rampicanti.
■ Piante spioventi in vasi ornano graziosamente i fanali del piazzale e le colonne della tettoia.
■ Nella regione partenopea alla stazione di Torre Annunziata C. son toccati gli onori della vittoria, attribuitile principalmente per il prodigio che ha compiuto quel Capo stazione nel saper difendere dalla violenza dei venti marittimi e dal fumo delle locomotive associato a quello delle officine, le belle aiuole fiorite e le mille varietà di piantine coltivate con amorosa cura nei 120 vasi adornanti con gusto le colonne del porticato.
■ Nel Compartimento di Reggio Calabria ha vinto le altre, per eleganza e sapienza di distribuzione, la stazione di Villa S. Giovanni.

“Stazione di Torre Orsaia (Salerno). (Premio di medaglia d’argento)”

■ Tutti gli adornamenti ottenuti in un terreno sabbioso e vincendo l’ira dei venti, dalla graziosa villetta tra i binari di corsa e quelli di manovra, alle aiuole che circondano il fabbricato viaggiatori, dalle vasche alla piscina armoniosamente distribuite, sono opera sapiente e paziente del personale della stazione che ha affrontato le spese non lievi con volontarie contribuzioni mensili.
■ Ricco di risultati è stato pure il vasto Compartimento di Palermo che ha dato la maggiore quantità di concorrenti e quindi di premiati. Ma le difficoltà non sono state minori che altrove!
■ Il clima incostante, il terreno prevalentemente roccioso, i venti frequenti e violenti hanno reso difficile la coltivazione di piante di abbellimento.
■ I lavori di S. Flavia Solunto hanno prevalso su quelli di Milazzo e di Termini Imerese, pure premiati con medaglia d’oro.
■ E pensare che l’anno scorso, correndo su quella linea incantevole che congiunge Messina a Palermo, potei ammirare l’unico adornamento della stazione di Flavia, costituito allora da un povero esemplare di ficus!
■ Pregi e difetti si alternano e direi quasi si compensano in tutte le altre stazioni premiate.

“Stazione di Boiano (Campobasso). (Premio di medaglia d’argento).”

■ Alcune fra le principali, a causa della disposizione dei binari, delle tettoie e dei piani di caricamento, non poterono dedicare spazio alcuno alle aiuole e la decorazione dovette limitarsi ai marciapiedi esistenti sotto la tettoia, con la scarsità di spazio imposta dalle esigenze del traffico. Ma questo non è certo difetto da attribuirsi al personale In alcuni casi invece si è ecceduto nella misura, perdendo la linea di sobrietà che deve sempre conservare una buona decorazione floreale, specie se destinata ad abbellire un fabbricato dalle linee semplici ed austere, come è generalmente una stazione ferroviaria.
■ Ebbi occasione di rilevare fin dall’anno scorso, commentando nella «Rivista delle Comunicazioni ferroviarie» i risultati del Concorso dell’Anno Santo, come in molti casi si veda trascurato l’aspetto generale per tener troppo conto dei particolari.
■ Si dà, ad esempio — dicevo — troppa importanza alla varietà policroma dei fiori ed alla rarità della specie, come se proprio dalla varietà e dalla rarità delle piante e dei fiori dipenda la bellezza di una decorazione. Ricordo a questo proposito il parere di uno dei più stimati tecnici dell’arte del giardinaggio, l’architetto Giuseppe Roda, che fu il relatore dei Concorsi dell’ante guerra.
■ «Molte volte — scriveva il Roda — è assai più decorativa una pianta comune ed indigena robusta e producente una gran massa di foglie di un bel verde vivace o di fiori a tinta brillante, che non una pianta esotica che si sviluppa male ed ha aspetto rachitico e malaticcio; si dovrebbe comprendere come sia assai più decorativa una massa di fiori di una sola specie e tinta che non una miscela di fiori a tinte varie ed alcune volte contrastanti le une alle altre».
■ Un altro difetto che si osserva quest’anno in molte stazioni è dato dal frazionamento eccessivo del terreno disponibile in troppo numerose aiuole, con la pretesa di farle diventare dei piccoli giardini in miniatura.
■ Non è questo lo scopo di tali gare tendenti solo a far sorgere gruppi di piante e di fiori che formano graziosa cornice ai fabbricati.
■ Anche quelle decorazioni artificiali e puerili formate con detriti di roccia, sassi o cemento sarebbe desiderabile che, in omaggio all’estetica ed al buon gusto, fossero del tutto abbandonate.
■ Sarà sempre più decorativo un gruppo di piante o una massa fiorita di pelargoni o di petunie che una figura d’Italia approssimativamente ottenuta con pietruzze e pianticelle.
■ Bellissimi effetti invece si sono ottenuti in questo come nel precedente Concorso con piante rampicanti, specialmente nelle medie e piccole stazioni.
■ L’uso di piante, siano esse a fogliame o a fiori — edera, passiflore o rose sarmentose — va diffondendosi e deve essere largamente consigliato, perché unisce all’effetto di bella ornamentazione una facile e poco costosa manutenzione.
■ Ma un’altra constatazione dobbiamo qui fare, che prova come anche il nostro popolo si educhi celermente all’amore non solo, ma anche al rispetto del bello: le piante ed i fiori delle stazioni sono stati ovunque rispettate anche dove si è fatto a meno di proteggere i giardinetti con appositi ripari.
■ Pensiamo anzi che si potrebbe trovare il coraggio sufficiente a togliere di mezzo tutte le protezioni antiestetiche e — diciamolo pure — alquanto incivili, costituite da steccati o staccionate di legno o di cemento, sostituendole tutt’al più con qualche filo di ferro o, meglio ancora, con siepi ornamentali.
■ Sono queste esigenze eccessive? Non lo crediamo e siamo certi che la prova sarà fatta e con sicuro successo.
■ Per ora dobbiamo limitarci a riconoscere che molto si è fatto in questi due anni e il primo benefico effetto è certamente già raggiunto: quello di risvegliare nel personale delle nostre stazioni l’amore alla pianta ed al fiore.
■ Occorre ora continuare con tenacia, facendo tesoro dell’esperienza. È questo il compito degli Enti promotori, affiancati alla Amministrazione delle Ferrovie dello Stato ed all’Ufficio Centrale del Dopolavoro ferroviario, la giovane ed attivissima istituzione, che già quest’anno ha concorso, con le valide forze della sua organizzazione vasta e fattiva, alla riuscita della gara.
■ Non si riposa però sugli allori.
■ È già pronto il programma generale per la continuazione dei Concorsi nei prossimi tre anni, durante i quali si risalirà a tappe le linee dei Compartimenti centrali e settentrionali. Quei di Roma, Ancona e Firenze saranno intanto il campo di contesa per il 1927.
■ Le gare si estendono così a mano a mano a tutte le linee della rete, senza perder di vista il già fatto; che dovrà essere, con opportuni inezzi, mantenuto e, ove occorra, corretto e migliorato.
■ Gare di gentilezza e di bellezza, manifestazioni non ultime dell’energia giovane che è insieme maturità feconda dell’Italia nuova!”

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